Da parte del ministro leghista Castelli
Fallito golpe giudiziario per bloccare il processo Sme in cui sono coinvolti Berlusconi e Previti
Con un atto che non ha precedenti nella storia giudiziaria, il guardasigilli leghista Roberto Castelli ha tentato di bloccare il processo Sme in cui sono coinvolti Silvio Berlusconi e il suo avvocato, nonché ex ministro e parlamentare forzista, Cesare Previti, imputati per aver corrotto i giudici romani. Un atto che per modi, tempi e finalità si configura come un vero e proprio tentativo di golpe giudiziario. Un tentativo per il momento fallito, ma non per questo meno grave.
Castelli è intervenuto in prima persona dopo che erano risultate vane tutte le tattiche dilatorie del collegio di difesa che ha letteralmente martoriato il processo attraverso infinite ricusazioni, revoche di avvocati e istanze varie con l'obiettivo di guadagnare la prescrizione del reato.
Con un tempismo assai sospetto e una procedura a dir poco anomala e sicuramente arbitraria, Castelli si è attaccato a un cavillo tecnico per non concedere a Guido Brambilla - uno dei tre giudici della corte che dovrà giudicare Berlusconi, e già trasferito al tribunale di sorveglianza - una seconda proroga di tre mesi del suo precedente incarico per concludere il processo Sme.

UN ATTO GRAVE E ARBITRARIO
Con un documento del ministero della giustizia firmato il 31 dicembre 2001 - incredibilmente in possesso dei difensori prima ancora dei giudici interessati - il governo aveva infatti disposto che Guido Brambilla deve essere trasferito al suo nuovo ufficio "entro i termini di legge'', ossia subito. Con l'effetto di annullare il lavoro processuale fin lì svolto e ripartire da zero con un nuovo collegio giudicante.
Il giudice Brambilla, prima che fosse assegnato al processo Sme, aveva chiesto il trasferimento al tribunale di sorveglianza. Poi, a processo in corso, dopo aver tentato di annullare la richiesta di trasferimento, aveva chiesto e ottenuto una proroga del proprio mandato di tre mesi, rinnovabile per altri tre. A firmare la proroga era stato "un magistrato all'epoca incaricato della reggenza della direzione generale dell'organizzazione giudiziaria''. Una reggenza che "è stata ritenuta non conforme all'ordinamento ministeriale dalla Corte dei conti'' che, com'è noto, è un ente amministrativo. Pertanto quella proroga non sarebbe stata valida. E quindi - è la tesi del ministero - non poteva essere accettata la richiesta di una ulteriore proroga.
Una motivazione palesemente pretestuosa e arbitraria, visto che non era un atto dovuto ed è la prima volta che si mette in discussione la prassi consolidata di concedere proroghe ai giudici già impegnati in processi. E nemmeno può essere considerato un semplice atto di sfiducia verso il giudice Brambilla. Non ve ne sarebbe stato motivo se è vero, come si dice, che egli proviene dalle file di "Comunione e Liberazione'' e abbia proprio in Formigoni e in Buttiglione il suoi punti di riferimento politici. Inoltre, Brambilla faceva parte del collegio che ha assolto Berlusconi per il caso Macherio. L'unica spiegazione a una tale condotta è politica, ed è quella di sabotare il processo che qualora si risolvesse in una condanna metterebbe in discussione la vita stessa del governo.
Un tentativo di sabotaggio per il momento fallito perché il 10 gennaio il presidente della Corte d'Appello Giuseppe Grechi ha deciso di "applicare'' (termine tecnico che equivale ad assegnare) il giudice Brambilla al processo Sme. Il magistrato potrà così continuare il suo lavoro nel processo fino alla sua conclusione senza dover ricorrere ad alcuna proroga. I difensori di Berlusconi e Previti stanno invece studiando possibilità di ricorso o di trovare altri appigli per chiedere il trasferimento del processo in altra sede.

UNA CARRIERA ALL'OMBRA DELLA P2E DELLA MAFIA
Comunque vada, l'azione di Castelli testimonia l'impazienza e l'urgenza di Berlusconi di sottrarsi completamente ai processi che pendono sulla sua testa.
Il processo Sme (di cui riassumiamo a parte la storia) testimonia, come del resto gli altri processi in corso a carico del neoduce Berlusconi e della sua banda, che l'inarrestabile ascesa economica e politica dell'attuale presidente del consiglio è frutto di una condotta tutt'altro che cristallina e fortemente segnata da rapporti mai chiariti con la massoneria e la mafia. Vale ricordare che l'attività di imprenditore di Berlusconi ebbe inizio intorno ai primi anni '60 grazie ad una fideiussione della Banca Rasini di Milano implicata, secondo un rapporto della Criminalpol di quegli anni e successivamente confermato dal faccendiere mafioso Michele Sindona, nel riciclaggio di denaro sporco proveniente da traffici illeciti di Cosa nostra siciliana. Nel 1983 lo stesso Berlusconi fu indagato nell'ambito di un'inchiesta su droga e riciclaggio e ancora nel 1998 per i suoi rapporti con Marcello Dell'Utri sarebbe stato indagato per concorso esterno in associazione mafiosa e per l'eventuale ruolo avuto sia da Berlusconi che da Dell'Utri per le stragi di Capaci (1992) e di Firenze, Roma e Milano (1993). Inchieste chiuse con archiviazioni o richieste di archiviazioni.
è altrettanto evidente che la carriera di Berlusconi si è costantemente realizzata sotto il segno della P2 e di Craxi. Anche se il neoduce ha sempre cercato di minimizzare la sua affiliazione alla loggia segreta di Gelli (avvenuta il 26.1.78, con il numero di tessera 1816, codice E19.78), in realtà egli deve sicuramente il suo folgorante "successo'' negli affari all'intervento dell'organizzazione massonica. In particolare, il suo improvviso e misterioso balzo da piccolo imprenditore edile a grande speculatore delle aree fabbricabili milanesi e del cemento è stato possibile grazie ai fiumi di miliardi a tasso agevolato concessigli dai dirigenti del Monte dei Paschi di Siena e della Banca nazionale del lavoro tutti a quel tempo di provata fede piduista. Per non parlare dello sfacciato appoggio di Craxi e della P2 nella successiva scalata al monopolio dell'emittenza privata e della carta stampata.
Ora che Berlusconi, dopo l'uscita di scena di Craxi, è "sceso in campo'' per porsi in prima persona alla testa della nuova destra neofascista, piduista e presidenzialista, per completare il suo nero disegno politico e difendere i suoi sterminati interessi, vuole che venga posta una pietra tombale sul suo passato e i suoi loschi affari che rappresentano attualmente il suo punto più debole e vulnerabile.
Egli non ha esitato così a far valere il proprio peso di capo del governo, capace di cambiare leggi, reati, forme di processo e ora, tramite la mossa di Castelli, anche di condizionare il tribunale che deve giudicarlo, per risolvere le sue beghe personali e giudiziarie. Non ci vuol molto a capire che egli si muove come il nuovo duce a cui nulla può essere negato a cominciare dall'impunità. E proprio come Mussolini pretende una magistratura docile, manipolabile, completamente asservita all'esecutivo.
"Se non si rispettano le regole - ha affermato il procuratore di Milano Gerardo D'Ambrosio in un'intervista a la Repubblica del 9 gennaio sugli sviluppi del caso Sme - si sconfina nella dittatura; questi non sono problemi del palazzo di giustizia, sono problemi della stessa democrazia''.

16 gennaio 2002