Referendum alla Fiat di Pomigliano
Fallito il plebiscito di Marchionne
Il 37,98% dei No, danno ragione alla Fiom respingendo il diktat del nuovo Valletta

Fino all'ultimo minuto Marchionne, il nuovo Valletta della Fiat, ha proseguito a gettare sul tavolo con arroganza e brutalità l'infame ricatto: o i lavoratori della Fiat di Pomigliano approvano in grande maggioranza il mio piano di ristrutturazione (con deroghe pesantissime e inaccettabili al contratto nazionale di lavoro, allo Statuto dei lavoratori e persino alla Costituzione), o sindacati tutti, compresa la Fiom, firmano l'accordo (che prevede turni 24 ore su 24, compresi i sabati e le domeniche mattina, aumento dei tempi di lavoro, tagli alle pause, lavoro straordinario triplicato, disdetta di tutti gli accordi aziendali) o chiudo lo stabilimento, sposto la produzione in Polonia e metto sulla strada 5 mila lavoratori, senza contare l'indotto. Non basta. I capi e capetti della Fiat sono stati mobilitati nei reparti e casa per casa per intimidire e ricattare i lavoratori perché votassero a favore del piano Marchionne. È in questo asfissiante clima padronale che si è tenuto il 22 giugno il referendum sindacale nello stabilimento di Pomigliano.
Le urne sono state aperte alle ore 8 del mattino e sono state chiuse alle 21. Per favorire la partecipazione al voto, l'azienda ha sospeso momentaneamente la cassa integrazione; un provvedimento questo inusuale e interessato, nella speranza che l'affluenza al voto avrebbe favorito i sì. Nelle prime due ore della giornata, i capi reparto hanno organizzato delle riunioni per catechizzare i lavoratori. Di più, di peggio. Pare che abbiano dato l'ordine di fotografare la scheda per controllare il voto dato. Con questi presupposti, era logico aspettarsi una larghissima partecipazione al voto. Anche perché pur considerandolo illegale e illegittimo, anche la Fiom aveva dato indicazione di partecipare al referendum per evitare schedature e ritorsioni repressive.
Ma ecco i dati, quelli resi pubblici. Su 4.881 aventi diritto hanno votato tra operai e impiegati in 4.642 (pari al 95%). I sì sono stati 2.888 (62,2%), i no 1.673 (37,98%), più 22 schede bianche e 59 schede nulle. Dunque ha vinto il sì com'era prevedibile non solo per il ricatto occupazionale di Marchionne, una pistola alla tempia l'aveva definito il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ma per lo strabordante schieramento formatosi a favore della Fiat: dai sindacati complici, Cisl, Uil, Fismic e Ugl, al governo del neoduce Berlusconi, alla giunta regionale campana e quella comunale di Pomigliano tutt'e due di "centro-destra", dal PDL del piduista di Arcore al PD liberale di Bersani; gli si è aggiunta anche la Cgil di Epifani. Ma è un risultato molto al di sotto delle aspettative padronali e governative. Il plebiscito richiesto da Marchionne che doveva oscillare tra il 70 e l'80% dei lavoratori interessati, è fallito. Una corposa parte di operai ha infatti resistito al diktat del nuovo Valletta e ha detto no! Una resistenza, diciamolo, coraggiosa, quasi eroica. L'aspetto interessante e significativo da rilevare è che i lavoratori che hanno bocciato il piano Marchionne (1.673) sono molti di più degli iscritti che Fiom e Slai-Cobas, ossia le due organizzazioni sindacali che non hanno firmato l'accordo, contano nello stabilimento napoletano della Fiat.
Cosa accadrà ora? Nulla è ancora certo. I sindacati complici e collaborazionisti che hanno sostenuto il sì chiedono all'azienda di passare all'applicazione del piano sottoscritto, cioè l'investimento di 700 milioni di euro, l'organizzazione delle linee per la produzione della nuova Panda, le modifiche nell'organizzazione del lavoro e nelle relazioni sindacali, di stampo neofascista, aggiungiamo noi. Ma dal vertice Fiat trapelano malumori, trapelano giudizi insoddisfatti sul risultato referendario. Dunque rimangono ancora in piedi le ipotesi "alternative" cui più volte ha fatto riferimento Marchionne: quella di portare tutto in Polonia, oppure chiudere Pomigliano, licenziare tutti, creare una nuova società nello stesso stabilimento e riassumere il personale con contratto individuale con le stesse condizioni poste nell'accordo sottoposto a referendum.
Da parte sua la Fiom ha continuato a sostenere che questo referendum è illegittimo perché si è svolto sotto ricatto occupazionale e perché si chiede ai lavoratori di votare su principi che non possono essere intaccati da una vertenza aziendale. Che l'esito di esso è pertanto privo di validità. Il sindacato guidato da Landini ha anche precisato che non avrebbe firmato l'accordo Marchionne anche in caso di vittoria dei sì, e non avrebbe desistito dal difendere gli interessi dei lavoratori di Pomigliano in tutte le sedi possibili. La lotta continua. il primo appuntamento è lo sciopero generale del 25 giugno. Per il 1° luglio a Pomigliano è prevista l'assemblea nazionale dei delegati del gruppo Fiat e delle aziende di tutto il Mezzogiorno, per decidere il da farsi.
Tornando allo svolgimento del referendum, per tutto il giorno una Squadra del PMLI guidata dal compagno Franco Di Matteo, Responsabile campano del Partito, e seguita e incoraggiata dal Segretario generale Giovanni Scuderi, ha diffuso il documento dell'Ufficio politico del PMLI di sostegno alla Fiom e contro l'accordo separato. I lavoratori, e in particolare gli operai, l'hanno accolto con interesse. La presenza del Partito ai cancelli della Fiat di Pomigliano è stata registrata da alcune emittenti televisive e da qualche giornale.

23 giugno 2010