A Cancun
FALLITA LA CONFERENZA DEL COMMERCIO MONDIALE
I PAESI POVERI NON ACCETTANO IL DIKTAT DELL'IMPERIALISMO USA, UE E GIAPPONE
Gli imperialisti si rifaranno con gli accordi bilaterali
IL WTO IN PROFONDA CRISI TENTERA' DI RIFORMARSI

La conferenza del commercio mondiale che si è tenuta in Messico, a Cancun, dal 10 al 14 settembre avrebbe dovuto rilanciare la liberalizzazione degli scambi in base alle decisioni assunte nel precedente vertice di Doha del 2001. Si è invece chiusa con un nuovo fallimento dopo quello di Seattle del 1999; i paesi poveri, quelli coalizzati nel G21 guidato da India, Cina, Sudafrica e Brasile, financo il "gruppo di Cairns'' dei maggiori paesi esportatori agricoli che comprende Australia e Nuova Zelanda, hanno respinto i diktat degli imperialisti Usa, Ue e Giappone; questi premevano per l'applicazione delle cosiddette "questioni di Singapore'', ovvero la definizione di accordi di ulteriore liberalizzazione sugli investimenti, sulla concorrenza, sulla trasparenza dei mercati pubblici e ulteriori facilitazioni degli scambi con la modifica delle procedure di sdoganamento.
Obiettivo di Usa, Ue e Giappone è l'abbattimento delle protezioni che ancora esistono nel Sud del mondo contro l'offensiva delle multinazionali europee, americane e giapponesi. Di contro i tre non mollavano sulla difesa dei propri sussidi in agricoltura che "proteggono'' i loro mercati interni dalla concorrenza dei prodotti degli altri paesi. Il braccio di ferro tra i 148 paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto, nella sigla inglese) durante la cinque giorni di lavori si è chiuso con un nulla di fatto; Usa, Ue e Giappone non sono riusciti come a Doha a imporre, senza votare, un documento finale e i negoziati proseguiranno nella primavera prossima a Ginevra. Ai ministri del commercio estero è affidato il compito di concludere il ciclo di negoziati aperto a Doha entro il 2004; non è detto che ci riescano. Il Wto è finito in una crisi profonda e tenterà nel frattempo di riformarsi. Fermo restando che i paesi imperialisti si rifaranno con gli accordi bilaterali dove possono far valere con più efficacia il loro peso politico, economico e finanziario.
Le premesse del fallimento della conferenza di Cancun erano maturate dopo l'accordo Usa-Ue del 13 agosto. Il commissario europeo Pascal Lamy e il suo collega americano Robert Zoellick, rappresentante speciale per gli affari commerciali, messe da parte per un momento le guerre commerciali fra le due sponde dell'Atlantico, dettavano la linea per Cancun: promesse di alleggerire i propri sussidi all'agricoltura in cambio di passi in avanti sulle "questioni di Singapore''. In particolare a Usa e Ue interessavano le questioni della liberalizzazione degli investimenti, una volta arenati i negoziati sull'Accordo multilaterale degli investimenti (Ami), l'accordo che nelle intenzioni dei paesi imperialisti dovrebbe permettere alle multinazionali di investire in paesi terzi ignorando anche i "piccoli laccioli'' delle legislazioni nazionali in materia di diritti dei lavoratori, protezione della salute e dell'ambiente.
L'intesa Usa-Ue spingeva gli altri paesi a coalizzarsi per respingere tale progetto e per mettere sul tavolo della discussione a Cancun la riduzione dei sussidi agricoli di Usa, Ue e Giappone. In base a stime di economisti, il meccanismo dei contributi della Ue alla propria agricoltura, che difficilmente finiscono nelle tasche dei singoli contadini, è tale che una mucca europea ha diritto a due euro al giorno di aiuti pubblici, più del reddito pro capite della maggioranza degli esseri umani del pianeta. Il Giappone ha un meccanismo simile mentre gli Stati Uniti sovvenzionano gli agricoltori con un sostegno diretto al loro reddito. In ogni caso il risultato è quello di mantenere alti i prezzi dei generi alimentari sul proprio mercato interno, a scapito delle masse popolari quando vanno a fare la spesa, e al tempo stesso penalizzano l'ingresso dei prodotti agricoli dai paesi del Sud del mondo.
"Il nostro nemico comune sono i sussidi in agricoltura dei grandi paesi industrializzati e non ci sarà nessuna chiusura del round dello sviluppo del Wto lanciato a Doha senza una sostanziale riforma del commercio in agricoltura'' dichiarava il ministro del commercio argentino Sergio Marchi, a nome dei paesi del G21, dopo l'accordo in tal senso raggiunto con quelli del gruppo di Cairns alla vigilia della conferenza. E così è stato.
I rappresentanti americani e europei hanno tentato in vari modi di dividere il fronte avversario, comprese le minacce di ritorsioni negli scambi bilaterali, ma non sono riusciti a imporre i loro diktat. Il tentativo di Ue e Giappone di inserire comunque nel documento finale un capitolo sugli investimenti ha portato il 15 settembre all'uscita per protesta dalla sala della delegazione dei paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico, uscita che ha segnato il fallimento della conferenza del Wto.
L'americano Robert Zoellick commentava: "ci terremo i nostri sussidi e andrò in giro ad aprire i mercati'' paese per paese, sulla base di accordi bilaterali ma non con tutti. "Abbiamo visto chi era contro e chi era con noi - minacciava Zoellick - e vedremo con chi è il caso di farli''. Gli Usa puntano a scavalcare le organizzazioni imperialiste internazionali quando queste non rispondono all'unisono con i desideri della Casa Bianca, come nel caso dell'Onu sull'aggressione all'Iraq, e hanno pronta nel cassetto l'arma degli accordi bilaterali o la costruzione di aree economiche sotto la loro egemonia, e in contrapposizione alla concorrente potenza imperialista europea, come la grande zona di libero scambio dall'Alaska alla Patagonia.
A richiedere una riforma del Wto per tirarlo fuori dalle secche in cui si è cacciato era in prima fila la Ue. Il commissario europeo Pascal Lamy lamentava l'insuccesso della conferenza e definiva il Wto una "organizzazione medievale'' per le difficoltà dei paesi più forti a governare, cioè a comandare, i 148 paesi membri con la regola dell'unanimità. Una riforma dei meccanismi decisionali era sostenuta anche da Prodi e dal viceministro per il Commercio estero italiano, Adolfo Urso, che chiedeva una "rappresentanza per aree'' dei paesi membri. Una riforma per garantire ai paesi imperialisti il controllo di un organismo che invece si dovrebbe sciogliere.