FASSINO, UN ANTICOMUNISTA LIBERALE

Il neosegretario dei DS, Piero Fassino, l'anticomunismo ce lo ha iscritto nel suo dna politico.
52 anni, torinese e, come si definisce egli stesso, "sabaudo'', Fassino è un rampollo e degno rappresentante della "buona'' borghesia piemontese (la famiglia possiede un'impresa di carburanti), classe dalla quale non ha mai preso le distanze.
Nonostante le origini socialiste della famiglia, la formazione di Fassino è affidata ai padri gesuiti da sempre tra le fucine predilette dalla borghesia per forgiare i governanti e i quadri del capitalismo.
Nel '69 si iscrive alla FGCI e partecipa al movimento studentesco, come oggi afferma lui stesso, "non con l'eskimo'' ma "con la cravatta'' tanto che "mi hanno perfino scambiato per un poliziotto''. La sua adesione al PCI avviene da destra e su basi esplicitamente anticomuniste. In un'intervista al supplemento del Corriere della Sera, Sette, del 1° novembre 2001, confessa che già allora si considerava "un riformista e un socialdemocratico'' e la decisione di iscriversi al PCI maturò perché quest'ultimo "aveva protestato contro l'invasione in Cecoslovacchia. Mi sono iscritto al PCI `contro' il comunismo. Contro quel comunismo là... Contro lo stalinismo, contro la gerontocrazia sovietica, contro il totalitarismo''.
Entrato nel '77 nella segreteria provinciale torinese del PCI con l'incarico di responsabile delle fabbriche la sua fulminea carriera nel partito coincide con la grande battaglia del 1980 alla Fiat, conclusasi con il tradimento dei rinnegati del comunismo di Botteghe Oscure. Un tradimento che oggi Fassino ammette senza vergogna, affermando che "l'esigenza di ristrutturare della Fiat era vera'', che nessuno dei dirigenti sindacali e del PCI sosteneva l'occupazione della fabbrica e che egli stesso si incontrò, in segreto, "coi dirigenti Fiat per trovare una soluzione''.
In quel PCI che ormai aveva già fatto una scelta di campo accettando tutti i capisaldi e le compatibilità del capitalismo, fu quasi facile per Fassino far contare i "galloni'' conquistati sul campo di battaglia a fianco della Fiat per scalare la federazione cittadina (1983) e poi quella provinciale e imporre la sua ricetta socialdemocratica e filopadronale della cogestione e della concertazione, tra classe operaia e "i settori più dinamici della borghesia produttiva''. Sua fu la famigerata parola d'ordine del "patto per lo sviluppo'', che poi fu adottata a livello nazionale.
L'allora segretario del PCI Enrico Berlinguer intuisce subito le potenzialità del giovane e ambizioso tecnocrate per dare impulso al processo di socialdemocratizzazione e la decomunistizzazione del partito, tanto che nel 1984 lo vuole in direzione preferendolo a Diego Novelli. Tre anni dopo entra inoltre nella segreteria nazionale. Da allora, troviamo Fassino sempre in prima fila, a stretto fianco dei segretari di turno, prima Occhetto poi D'Alema, per traghettare il PCI nel PDS e poi nei DS e per spingere sempre più a destra la politica della Quercia, guadagnandosi prima la poltrona di responsabile Esteri nel PDS e nel 1994 anche la vicepresidenza dell'Assemblea parlamentare della Ueo.
Quando "finalmente'' l'ex-PCI corona il sogno governativo, Fassino si guadagna la poltrona di sottosegretario agli Esteri e di responsabile delle Politiche comunitarie presso la presidenza del Consiglio con Prodi, di ministro del Commercio con l'estero nel primo e secondo governo D'Alema, e infine di ministro della Giustizia nel governo Amato. Incarichi dove si distingue nel portare avanti una politica di stampo liberticida e razzista, tale da fare concorrenza alla politica forcaiola e fascista del Polo e della Lega.
Insomma, un tecnocrate d'assalto e spregiudicato la cui ambiziosità e i cui buoni rapporti con gli ambienti dell'alta borghesia e con tutti i leader del suo partito, gli hanno sempre permesso non solo di rimanere a galla, ma di assumere un ruolo da protagonista nei vari passaggi che hanno portato il PCI revisionista al rinnegamento ufficiale del comunismo e ad abbracciare il socialismo liberale. Non per nulla Fassino si vanta di essere - tra i leader diessini - un socialdemocratico e un riformista della prima ora, di essere stato "tra i protagonisti della nascita del PDS e dell'ingresso nell'Internazionale Socialista'' e pure di essere stato il primo dirigente dell'ex-PCI a rendere omaggio sulla tomba del controrivoluzionario e anticomunista ungherese Imre Nagy. Non a caso non perde occasione per attaccare il socialismo, sostenendo che "non è un modello di società'', ma solo "un pensiero, un sistema di valori'' che dovrebbero servire per "lottare per cambiare la società'', come, "diceva, appunto, Bernstein'' (il capofila degli antichi revisionisti e socialdemocratici, suo campione e maestro). Per contro il capitalismo invece "rappresenta lo stadio di organizzazione dell'economia e della produzione al quale l'umanità oggi è pervenuta. Non accusatemi di praticarne il culto - sostiene in un'intervista a Liberazione del 30 giugno 2001 - è l'ambito in cui ci si muove, si combattono battaglie, si risolvono conflitti'' e comunque "non esiste `altra' società, diversa da questa, in cui viviamo ed operiamo''.
In qualità di sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi si è distinto nella politica imperialista, interventista e militarista, facendosi fautore dell'espansionismo economico e militare dell'Italia e dell'esercito professionale interventista. Sua l'enunciazione del principio dell'"esercizio di leadership'' e di "potenza mondiale'' da parte dell'Italia, e suo anche quello delle "tre direttrici'' della politica imperialista italiana, Europa centrale, sud-orientale e bacino del Mediterraneo. Inoltre, sempre come vice di Dini, ha avuto un ruolo trainante e da protagonista nell'intervento militare in Albania, deciso dal governo Prodi con l'appoggio del Polo neofascista e l'acquiescenza del PRC, intervento da lui stesso definito spudoratamente parte integrante "della nostra strategia di proiezione dell'Italia nell'Europa centrale e nei Balcani''.
Come ministro del Commercio con l'Estero con il governo del rinnegato D'Alema ha proseguito e rafforzato l'espansionismo italiano verso l'Europa dell'Est e in altri paesi, e stretto ulteriormente i già ottimi rapporti da sempre coltivati con il mondo dell'economia, dell'industria e della finanza. Fu lui ad organizzare l'incontro tra l'avvocato Agnelli e il duo Veltroni-D'Alema dietro le quinte del congresso del Lingotto, con il quale il padrone di casa dette il suo beneplacito allo sdoganamento ufficiale degli ex comunisti. Eccellenti i rapporti di Fassino anche con altri esponenti della grande industria e della finanza, come Cantarella, Tronchetti Provera, Benedini.
è proprio su questi ottimi rapporti con la grande e media borghesia del Nord che il duo Rutelli-Fassino ha basato la strategia dell'Ulivo, risultata fallimentare per tentare di riconquistare posizioni elettorali nell'Italia settentrionale facendo concorrenza al Polo sullo stesso piano ultraliberista, federalista e razzista.
Come governante, parlamentare e dirigente dei DS, Fassino ha dimostrato di essere un guerrafondaio da prima linea, sostenendo con convinzione le aggressioni imperialiste prima alla Federazione Jugoslava e ora all'Afghanistan.

5 dicembre 2001