Intervistato da "l'Unità"
Fassino rilancia il presidenzialismo berlusconiano e mussoliniano
Mentre da una parte si sottrae vilmente alla battaglia referendaria, lasciando campo libero alla campagna della Casa del fascio e delle tv del neoduce Berlusconi in favore del Sì, la "sinistra" borghese non si vergogna, dall'altra, di intensificare le offerte di inciucio al "centro-destra" per aprire, subito dopo il referendum del 25-26 giugno, un tavolo di trattative per una controriforma condivisa della Costituzione.
Nel "centro-sinistra" uno dei più sfacciati sostenitori di questa linea capitolarda è il rinnegato Fassino, che l'ha ampiamente e chiaramente riconfermata con una recente intervista al quotidiano portavoce del suo partito, "l'Unità" del 9 giugno scorso. In questa lunga intervista di due pagine, in cui fa il punto anche sul ritiro dall'Iraq, sul partito democratico, sul governo Prodi e su altri temi all'ordine del giorno, il segretario della Quercia derubrica infatti la controriforma costituzionale della Casa del fascio a una semplice "revisione costituzionale che è un brutto impasto di separatismo e neostatalismo": come dire solo un tentativo tecnicamente malriuscito, un "brutto pasticcio", come ama ormai definirlo a ogni piè sospinto, e non quella controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione che realmente è a tutti gli effetti.
A suo dire la devolution bossiana in essa contenuta non avrebbe nemmeno "nulla a che vedere con il federalismo", ma porterebbe addirittura a un "rigurgito di neostatalismo", mentre il Senato federale sarebbe solo "una finzione". In altre parole, vuole dire Fassino, ci sarebbe troppo poco federalismo nella controriforma berlusconiana, e se "centro-sinistra" e "centro-destra" si mettessero intorno a un tavolo, potrebbero fare ben di più. Lo stesso vale per il "premierato forte": "Il presidente del Consiglio - dice Fassino - viene investito di poteri in sé giusti, senza che siano conferiti poteri di controllo e di indirizzo al Parlamento. Per di più il cambiamento di 50 articoli, cioè di un terzo della Carta costituzionale, è stato fatto sulla base di un voto a maggioranza semplice". Ossia, il segretario della Quercia non si sogna nemmeno di contestare i super poteri di stampo mussoliniano al premier. Quelli vanno benissimo, tant'è vero che il "premierato forte" era proprio una proposta avanzata dal suo partito nella Bicamerale golpista di D'Alema, largamente condivisa dalla destra e dalla "sinistra" borghese e appoggiata perfino dal falso comunista Cossutta. La sola cosa che Fassino si riduce a rimproverare alla destra borghese è di aver varato il "premierato forte" senza rivestirlo di una conveniente foglia di fico (i "contrappesi" parlamentari), per renderlo più "democraticamente" compatibile e digeribile per il Paese; e soprattutto di averlo fatto da sola, senza il concorso della "sinistra" borghese.
Dunque, dice in pratica Fassino a Berlusconi, Bossi, Fini e Casini, sui contenuti della vostra "riforma" non siamo tanto lontani e ci possiamo intendere, purché ci sediamo intorno a un tavolo. Qual è allora il senso del No di Fassino al referendum? Il segretario della Quercia lo spiega bene nel seguente passaggio, dopo aver dichiarato di essere favorevole alla sfiducia costruttiva, anche se secondo il modello tedesco più che quello berlusconiano: "Sono anche per riconoscere al presidente del Consiglio maggiori poteri di quelli che ha oggi: la nomina dei ministri, ma anche la possibilità di revoca. E credo che si debba riconoscere al premier il diritto di chiedere al Presidente della Repubblica lo scioglimento delle Camere, motivandolo politicamente. Si può perfino valutare l'opportunità che, se questa richiesta è accompagnata da un voto del parlamento che chiede di andare alle elezioni, questo costituisca un vincolo più stringente per la discrezionalità del capo dello Stato. Così come è giusto, dopo cinque anni di esperienza, sottoporre a verifica il funzionamento del federalismo per vedere come migliorarlo e completarlo, ad esempio con il federalismo fiscale. Insomma, il nostro "No" non è il rifiuto delle riforme, né la semplice conservazione di quello che c'è. Anche noi vogliamo aggiornare la seconda parte della Costituzione e riformare le istituzioni. Ma bisogna fare riforme vere e buone. E lo si potrà fare se, con la vittoria dei "No", si toglie dal tavolo la brutta riforma voluta dalla destra".
In conclusione, per il rinnegato Fassino il No al referendum non è un No di principio, politico, antifascista e antiberlusconiano, ma solo un passaggio "tecnico" strettamente necessario a sgombrare il terreno per fare una "vera" controriforma neofascista, presidenzialista e federalista della Costituzione insieme a Berlusconi, Bossi, Casini e Fini. E non solo per lui, visto che il democristiano Prodi, che quando la Casa del fascio approvò la legge cosiddetta della "devolution" la definì "una sciagura per il Paese" e un "pericolo per la democrazia", ora preferisce chiamarla anche lui "un pastrocchio" e limitarsi a criticarne solo certi aspetti "tecnici", come i costi per lo Stato, o la troppo timida riduzione dei parlamentari, che il "centro-sinistra" vorrebbe addirittura più drastica, e promette formalmente di "avviare un dialogo con il centrodestra dopo il referendum in caso di vittoria del No". Mentre invece ha messo completamente la sordina sul secessionismo e sul "premierato forte", che evidentemente non gli fanno più tanta paura, ora che con la conquista di Palazzo Chigi il testimone delle "riforme istituzionali" è passato di nuovo nelle mani sue e della "sinistra" borghese.

21 giugno 2006