Approvata dal parlamento nero la "riforma'' costituzionale
IL FEDERALISMO DELL'ULIVO SPEZZETTA L'ITALIA
Le Regioni potranno legiferare su quasi tutto (sanità, scuola, ambiente, ecc.). Introdotto il principio di "sussidiarietà'' che consentirà di dare ai privati i principali servizi. Regioni, province e comuni possono applicare tributi propri
Il 28 febbraio alla Camera e l'8 marzo al Senato, il parlamento nero ha approvato in seconda e definitiva istanza la "riforma'' federalista dello Stato. Un'approvazione con i soli voti della maggioranza ulivista, imposta con la procedura dell'articolo 138 della Costituzione, perché la "casa delle libertà'' per protesta non ha partecipato al voto, mentre Rifondazione ha votato contro.
Il confronto tra maggioranza e opposizione in chiusura di legislatura sul disegno di legge costituzionale presentato dal "centro sinistra'', che istituisce l'ordinamento federale della Repubblica, era stato fortemente voluto dal candidato ulivista Rutelli, appoggiato da Veltroni e dagli altri alleati, per vari motivi: saggiare la coesione interna della coalizione che sulla carta lo sostiene; riguadagnare spazio nell'elettorato federalista delle regioni del Nord, quelle considerate più a rischio per l'Ulivo; recuperare consensi anche a "sinistra'' alimentando la sua immagine di candidato anti-Berlusconi.
Contrari alla prova di forza con Polo e Lega, invece, si erano mostrati D'Alema e Amato, che evidentemente dando per scontata la vittoria del "centro destra'' alle politiche, si preparano già a gestire in proprio il loro futuro politico riservandosi uno spazio di trattativa con i futuri vincitori, e proprio sul terreno delle "riforme'' costituzionali interrotte dal fallimento della Bicamerale.
Del resto, al di là dello scontro politico sul modo con cui è stato approvato, il contenuto del provvedimento ricalca sostanzialmente quello che era stato votato all'unanimità in Bicamerale, tant'è vero che, a parte la sparata propagandistica di Bossi che l'ha definito un decentramento "di tipo stalinista'', gli attacchi del "centro destra'' sono stati nel merito assai contenuti, più orientati a criticare singoli aspetti della "riforma'' ritenuti non sufficientemente spinti in senso federalista, che a respingere in blocco il provvedimento a livello di principio e di impostazione politica.

SOVVERTIMENTO COSTITUZIONALE
Ma si tratta di critiche di tipo elettoralistico. In realtà, checché ne dica il bandito Bossi, sempre pronto ad alzare la posta, quello varato dal parlamento non è un federalismo all'acqua di rose, un cambiamento di facciata per lasciare tutto com'è nella sostanza, ma un federalismo vero, che capovolge l'attuale ordinamento dello Stato e pone le premesse per la sua completa disgregazione. E questo emerge chiaramente fin dall'articolo 1 del provvedimento, che riscrive completamente l'articolo 114 che apre il titolo V della seconda parte della Costituzione, laddove si afferma, ribaltando completamente la piramide istituzionale, che "La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato''. Ciò in aperto e fraudolento contrasto con l'articolo 5 della prima parte della Carta, che recita: "La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali''. Ciò che prima era in testa, e dal quale promanava l'ordinamento della Repubblica, cioè lo Stato unitario, ora è in coda, declassato a ultimo anello della catena istituzionale. Si è quindi operato surrettiziamente un gravissimo strappo alla prima parte della Costituzione, sancendo di fatto - anche se la parola "federale'' non compare formalmente in nessuna parte del documento approvato - la cancellazione dello Stato unitario e la sua trasformazione in Stato federale a tutti gli effetti.
Il secondo pilastro su cui poggia la controriforma federalista è il ribaltamento della distribuzione dei poteri e delle competenze tra Stato e Regioni. Mentre la Costituzione fissa quali sono le materie di competenza legislativa delle Regioni, riservando tutto il resto allo Stato, la controriforma federalista ribalta ancora una volta il principio, fissando quali sono le (ridotte) competenze dello Stato e riservando tutto il resto alle Regioni (articolo 117). Allo Stato resta l'esclusiva su un numero assai ristretto di materie di interesse generale, come la politica estera e la difesa, la moneta, la giustizia, l'immigrazione, l'ordine pubblico, la fissazione di livelli minimi di prestazioni sociali, la legislazione elettorale e poco altro.
Vi è poi un elenco di materie di interesse "concorrente'' tra Stato e Regioni, su cui queste ultime hanno comunque la priorità a legiferare "salvo per la determinazione dei principi fondamentali'' riservata allo Stato. Si tratta di materie come i rapporti internazionali e con l'Ue, il commercio estero, la tutela e sicurezza del lavoro (un pericolosissimo principio dal quale potrebbe passare una sorta di federalismo contrattuale), l'istruzione, l'alimentazione, la salute e tante altre. Tutto il resto non espressamente menzionato è comunque di pertinenza delle Regioni. E su tutte le materie di loro competenza le Regioni possono persino stipulare accordi con Stati e organizzazioni estere.
Se a ciò si aggiunge la recente "riforma'' costituzionale che ha istituito il presidenzialismo regionale, con l'elezione diretta dei presidenti di Regione e l'ampliamento dei loro poteri e delle giunte, si comprende bene come sia stato rovesciato dalle fondamenta l'ordinamento della Repubblica in senso effettivamente federalista.

SUSSIDIARIETA' E FEDERALISMO FISCALE
Il terzo pilastro della controriforma è costituito dal cosiddetto "principio di sussidiarietà'', sancito nel riscritto articolo 118 della Costituzione, già applicato ampiamente con la "riforma'' federalista "a costituzione invariata'' di Bassanini sul decentramento amministrativo, che si può così riassumere: 1) le funzioni amministrative spettano in via prioritaria ai Comuni, e nella misura in cui non riescono a farvi fronte sono trasferite via via alle istanze superiori, Province, Città metropolitane, Regioni, fino allo Stato centrale ("sussidiarietà verticale''). 2) Tutte le attività di interesse generale (amministrazione, servizi, assistenza, sanità, ecc.) spettano ai privati, singoli e associati, e solo nella misura in cui non riescono a farvi fronte intervengono le strutture pubbliche, a partire dalle autonomie locali fino allo Stato centrale ("sussidiarietà orizzontale''). Il pubblico, insomma, interviene solo laddove il mercato fallisce o non trova abbastanza convenienza e profitto.
Su immigrazione, ordine pubblico e sicurezza, per venire incontro al Polo e alla Lega, il nuovo articolo 118 istituisce anche un coordinamento tra Stato e Regioni su queste materie specifiche. Non è la delega diretta ed esclusiva di queste materie a Regioni e Comuni, come chiedevano i neofascisti e i razzisti per avere mano libera contro gli immigrati, ma nella sostanza è un concreto passo in quella direzione.
Il quarto pilastro che sostiene l'edificio federalista è l'"autono-mia finanziaria di entrata e di spesa'' di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, come stabilito nel nuovo articolo 119 della Carta costituzionale. Un principio del resto già reso operativo con il decreto legislativo delegato del 18 febbraio 2000 varato dal governo del rinnegato D'Alema, che a partire dal 2001 trasferisce alle Regioni potere impositivo per ben 40 mila miliardi e l'intero fondo sanitario nazionale, con l'obiettivo di arrivare alla completa autonomia finanziaria entro il 2013. Un meccanismo che incoraggiando l'ingordigia e l'egoismo delle borghesie delle regioni ricche aumenterà ancora di più il distacco e l'arretratezza delle regioni più povere, favorendo la frantumazione dello Stato unitario nazionale. E non basterà certo a frenarla l'istituzione del risibile "fondo perequativo'' per le regioni più povere, una sorta di cassetta delle elemosine destinata comunque a sparire quando la "riforma'' andrà definitivamente a regime.

AFFOSSARE LA LEGGE SUL FEDERALISMO
Questa legge va dunque totalmente respinta e affossata, senza farsi ingannare dalle apparenti contraddizioni tra destra e "sinistra'' neofasciste, che riguardano esclusivamente questioni elettoralistiche e di bottega. "Morbido'' o "forte'', o addirittura "mediocre'', come lo ha scioccamente definito il trotzkista Pintor su il manifesto del 1° marzo, sono solo termini ingannevoli e di comodo. Il federalismo è ormai entrato da tempo e stabilmente nel corredo genetico di tutti i partiti del regime neofascista. Perfino le critiche del PRC alla "riforma'' federalista dell'Ulivo riguardano non tanto il contenuto quanto il metodo che ha portato alla sua approvazione, in cui "ha perso la politica, quella vera, quella che chiede una partecipazione popolare sui contenuti concreti che guardano agli interessi in campo, al rapporto tra pubblico e privato'' (Graziella Mascia su Liberazione del 2 marzo).
Per noi invece, come chiarisce il documento del CC del PMLI dell'8 marzo 2000, " il federalismo è una vera e propria iattura per l'unità del popolo italiano e del Paese, un ritorno al passato, all'Italia divisa in molti Stati prima dell'Unità, un regalo fatto ai capitalisti delle regioni del Nord che hanno bisogno di sganciare il Sud per poter meglio competere con le altre parti d'Europa nel mercato unico europeo e mondiale''.