Intimando al premier di dimettersi
Il fascista ripulito Fini si rifà il partito per fare le scarpe a Berlusconi
Il neoduce sfida FLI a votare contro il governo in parlamento

Il 15 novembre i finiani di Futuro e libertà (FLI) hanno ritirato ufficialmente la loro delegazione dal governo: un ministro (Ronchi), un viceministro (Urso) e due sottosegretari. Contemporaneamente anche il MPA di Lombardo ha ritirato il suo sottosegretario, e con ciò si è aperta di fatto la crisi di governo. Berlusconi però non è per niente rassegnato a dare le dimissioni, anzi si barrica a Palazzo Chigi, sfida il "traditore" Fini a farlo cadere in parlamento e minaccia di scatenare "la guerra civile" chiamando "il popolo" a scendere in piazza se tenteranno di formare un governo senza di lui.
La decisione di uscire dal governo era stata minacciata da Fini alla convention di FLI di Perugia, ed è diventata esecutiva dopo un inutile tentativo di mediazione di Gianni Letta e il fallimento della trattativa tra il presidente della Camera e Bossi per una "crisi pilotata" che potesse portare a un nuovo governo Berlusconi con l'appoggio dei finiani. Dopo questo passo irreversibile FLI garantisce al governo solo il suo voto sulla Legge di stabilità (ex Legge finanziaria) in discussione in parlamento, per "responsabilità istituzionale", ma ha annunciato che subito dopo presenterà insieme all'UDC di Casini e all'API di Rutelli una mozione di sfiducia del governo alla Camera.
Intanto il PD e l'IDV hanno già presentato insieme un'analoga mozione di sfiducia alla Camera, in risposta ad una mozione di fiducia al governo Berlusconi che la maggioranza aveva presentato al Senato. L'intento dichiarato di Berlusconi, compiendo questa nuova forzatura istituzionale, è quello di ottenere prima la fiducia al Senato, dove i numeri sono ancora dalla sua parte, per poi chiedere a Napolitano, nel caso dovesse cadere a Montecitorio, di sciogliere solo la Camera e andare alle elezioni anticipate solo per il rinnovo di questa. Tutti i partiti parlamentari hanno accettato comunque l'appello di Napolitano a posticipare questa "guerra delle mozioni" a dopo l'approvazione della Legge di stabilità, presumibilmente quindi a dicembre, per non dare un segnale negativo ai mercati e mettere in pericolo i conti dello Stato.

Il colpo di acceleratore
Il colpo di acceleratore decisivo verso questa situazione di crisi dagli esiti ancora imprevedibili è stato impresso dal discorso di Fini alla convention perugina del 6 novembre. Fino ad allora era ancora formalmente in piedi il "patto di legislatura" che Berlusconi si era rassegnato di malavoglia a proporre al leader di FLI, sulla base dei 5 punti su cui aveva chiesto e ottenuto recentemente il voto di fiducia, pur di assicurare la sopravvivenza del suo governo. Anche se a parole il neoduce minacciava ad ogni pie' sospinto le elezioni anticipate mostrandosi sicuro di vincerle, troppo importanti erano infatti le questioni in ballo per non tentare invece di evitare una crisi, o almeno di rimandarla a primavera: i suoi processi prima di tutto, che sarebbero ripartiti senza lo scudo del "legittimo impedimento" nel caso che Napolitano avesse favorito la nascita di un "governo tecnico" invece di sciogliere le Camere. E il federalismo, indispensabile da dare in pasto al suo alleato Bossi per tenerlo stretto al suo fianco; federalismo che avrebbe rischiato di saltare e avrebbe potuto essere usato come esca dai suoi avversari per far cambiare cavallo al caporione della Lega.
Ma in un sol colpo Fini ha sgombrato il campo da ogni ipotesi di accordo sulla prosecuzione di questo governo, mettendo imperiosamente sul piatto la questione della crisi, e mostrando tutta l'ambiziosità del suo disegno politico. Che è quello di costruirsi subito un partito politico con centomila iscritti e forte di migliaia di amministratori locali, per fare le scarpe al neoduce e togliergli l'egemonia del "centro-destra": "Abbiamo un progetto ambizioso - ha proclamato davanti ai suoi sostenitori in delirio a Perugia dopo aver demolito la figura del premier sul piano politico e morale - non vogliamo fare un partitino ma essere la destra che incarna il liberalismo e il moderatismo europei. Non siamo contro il PDL, né contro Berlusconi. Noi siamo molto oltre il PDL e molto oltre Berlusconi".
Con ciò l'ambizioso fascista ripulito ha dichiarato praticamente chiusa la stagione di Berlusconi e aperta una tutta nuova di cui egli si candida ad essere il protagonista. E dando subito seguito alla sua strategia ha chiesto a Berlusconi di ammettere che la sua stagione è finita, dichiarare la crisi e formare un nuovo governo, con dentro anche l'UDC, con un programma e una composizione interamente da ridiscutere. O altrimenti, lo ha avvertito, "se tirerà a campare per non tirare le cuoia, come dice Andreotti, se davvero pensa di rimanere a Palazzo Chigi aspettando che passi la bufera, allora la nostra delegazione non rimarrà un minuto di più al governo".
Da questo momento in poi la situazione è precipitata velocemente verso la crisi. Com'era prevedibile l'ultimatum di Fini ha mandato su tutte le furie il neoduce, che ha respinto con rabbia al mittente la richiesta di dimissioni e anzi lo ha sfidato ad avere il coraggio di votargli contro in parlamento. Ha perfino valutato la possibilità di non andare al G20 di Seoul per restare a Roma ad organizzare la controffensiva, nel timore che al suo ritorno potesse trovare qualche brutta sorpresa. Un timore accresciuto dalle prime avvisaglie di presa di distanza dal governo del gruppo parlamentare di FLI, che votando a favore di emendamenti dell'opposizione sul trattato italo-libico sull'immigrazione mandava sotto la maggioranza per ben tre volte.

La mediazione di Bossi
Alla fine il premier si è deciso, controvoglia, ad accettare la proposta di Bossi, preoccupato per le sorti del federalismo che vede allontanarsi, di tentare una mediazione col suo avversario per esplorare la possibilità di una "crisi pilotata" verso un Berlusconi bis. Il neoduce era diffidente, poiché fiutando una trappola temeva che una volta date le dimissioni Napolitano avrebbe potuto affidare l'incarico a qualcun altro per l'odiato "governo tecnico": a Pisanu, o al governatore di Bankitalia Draghi, o perfino a Tremonti, che avrebbe potuto soffiargli la poltrona con il tacito accordo della Lega. Bossi lo ha rassicurato che mai la Lega avrebbe accettato un altro premier e ha chiesto "garanzie" in tal senso a Fini: Napolitano avrebbe dovuto garantire il reincarico certo a Berlusconi, e in cambio FLI avrebbe avuto un adeguato numero di posti nel nuovo governo, una riforma parziale della legge elettorale, e in più sembra ci sarebbe stata nel piatto anche l'offerta di sacrificare gli ex "colonnelli" di AN passati alla corte del neoduce. In sostanza un rimpasto, e comunque senza l'ingresso dell'UDC, che la Lega assolutamente non vuole.
Da parte sua sembra che Fini abbia non solo rifiutato queste proposte, ma abbia addirittura rilanciato rispetto a Perugia, non contentandosi più di un Berlusconi bis ricontrattato, ma chiedendo invece un altro governo, sia pure sempre di "centro-destra", guidato da personaggi come Pisanu, Letta, Maroni, o anche Tremonti, ma senza Berlusconi. Sta di fatto che la trattativa si è conclusa con un nulla di fatto e, anche se Bossi nega il totale fallimento della sua mediazione sostenendo che Fini non sarebbe tuttora pregiudizialmente contrario a un Berlusconi bis, la crisi ha continuato a procedere come se lo fosse, dal momento che al suo ritorno dal G20 Berlusconi ha rotto ogni indugio preparandosi allo scontro aperto con coloro che ormai bolla come "traditori" da annientare.
Anzi, nel vertice del 15 novembre ad Arcore con Bossi, ha preteso e ottenuto dal caporione del carroccio un "patto di ferro" (si dice non senza un'accesa discussione, perché costui avrebbe insistito per una mediazione ed era disposto anche a riconsiderare il veto all'UDC pur di evitare una "crisi al buio"), facendosi giurare che mai più avrebbe cercato di trattare con Fini per una "crisi pilotata" e un Berlusconi bis. È chiaro che il nuovo Mussolini non si fida più neanche del suo più stretto alleato e teme, forse non a torto, che costui possa fargli uno sgambetto come nel '94, se le cose dovessero mettersi male.

Tentativi di ammucchiata
In questo scontro tutto all'interno del "centro-destra" la "sinistra" borghese continua a giocare un ruolo del tutto marginale e ad andare a rimorchio delle iniziative del fascista ripulito Fini. Fino all'ultimo ha avuto paura di presentare la mozione di sfiducia al governo continuando a chiedere che fosse Fini a "staccare la spina", e decidendosi a presentarla solo dopo che il PDL ha presentato la mozione di fiducia al Senato. Bersani intrattiene contatti continui col leader di FLI e con Casini, non facendo mistero di essere pronto a votare la loro mozione, ed è arrivato addirittura a proporre "un esecutivo con chi ci sta", con FLI, l'UDC e anche con la Lega, a cui sarebbe disposto a regalare il federalismo se rompesse l'alleanza con Berlusconi. Proposte che trovano sponda anche tra certi finiani, come Briguglio, che in un'intervista a La Repubblica del 15 novembre auspica, in caso di elezioni, una "alleanza costituzionale", o "patto per l'Italia", per andare uniti contro Berlusconi, che raggruppi il nascente "terzo polo" formato da FLI, UDC, MPA e API con il PD, ma aperta anche a Vendola e Di Pietro, e persino a settori della Lega e dello stesso PDL. Guidata da chi? Ma da Fini, ovviamente, che per Briguglio ne sarebbe "il leader naturale".
Ma non è affatto detto che l'ibrida ammucchiata antiberlusconiana che si va formando in parlamento riesca a sloggiare il neoduce da Palazzo Chigi. Anche perché costui, abbarbicandosi alla poltrona, ha riaperto il calciomercato e si mostra sicuro di spuntarla anche alla Camera riuscendo a comprare i deputati di FLI ancora pencolanti, mettendo sul piatto anche i cinque posti di governo e sottogoverno che si sono liberati col ritiro dei finiani, più altri cinque posti ancora vacanti che si era tenuto in serbo proprio per simili occasioni. In ogni caso, anche dovesse essere sfiduciato alla Camera, è pronto a far scoppiare una crisi istituzionale pur di sventare un governo senza di lui e andare alle elezioni per restare al potere, perché non può assolutamente permettersi di esporsi senza scudo ai colpi della magistratura. C'è perfino chi comincia ad avanzare la proposta di concedergli un salvacondotto giudiziario se accettasse di farsi da parte!
E anche questo conferma che non è con le manovre parlamentari o con i colpi di palazzo, tantomeno con indecenti scambi sottobanco, che si può abbattere il nuovo Mussolini, e che ci vuole invece un nuovo 25 Aprile affinché venga buttato giù con la lotta di massa nelle piazze, in modo da prevenire non solo un suo possibile ritorno ma da assestare anche un colpo demolitore al regime neofascista. Che altrimenti non solo resterebbe intatto, ma continuerebbe ad andare avanti anche sotto altri governi e altri politicanti della destra e della "sinistra" borghese.

17 novembre 2010