Approvato dal Consiglio dei ministri su proposta della Moratti
Un finto obbligo scolastico a 18 anni
In realtà l'obbligo scolastico è fino alla terza media. Dopo può essere esentato mediante l'apprendistato, scaricato sui genitori
Spalancate le porte al lavoro minorile
A tre mesi dal primo decreto legislativo n° 59 del 19 febbraio 2004 inerente la "Definizione delle norme generali relative alla scuola dell'infanzia e al primo ciclo d'istruzione"; il 21 maggio, sempre su proposta del ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, Letizia Moratti, il Consiglio dei ministri ha approvato altri due decreti legislativi in attuazione della legge-delega 53/2003 inerenti il "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione" e la definizione delle norme generali relative "all'alternanza scuola-lavoro" per il secondo ciclo della controriforma scolastica Berlusconi-Moratti.
Si tratta di altri due tasselli fondamentali per la piena realizzazione della scuola della seconda repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, classista, meritocratica e aziendalista varata dal parlamento nero sul modello di Mussolini e Gentile con la legge delega n° 53 del 28 marzo 2003.

Il "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione"
Con questo decreto il governo del neoduce Berlusconi non solo spazza via un principio cardine su cui si basa la scuola statale intesa come servizio pubblico uguale per tutti e a tutti garantito; non solo assesta l'ennesima picconata alla Costituzione antifascista del 1948 in quanto cancella con un provvedimento di rango inferiore il principio dell'obbligo scolastico per tutti garantito dall'articolo 34 sostituendolo con un mero "diritto-dovere all'istruzione e alla formazione garantito dalla Repubblica per 12 anni"; ma addirittura modifica in senso peggiorativo il già odioso "obbligo formativo" di 9 anni (cinque anni di elementari, tre di medie, uno di superiori) introdotto con la legge n. 144 del 17 maggio 1999 dai governi di "centro-sinistra".
Ne consegue una grave limitazione al diritto all'istruzione pubblica, che in virtù di questo decreto non è più inteso come un diritto oggettivo uguale per tutti e a tutti garantito, ma diventa un affare individuale, riservato solo a chi ha i mezzi economici e le condizioni sociali per poterselo permettere.
Nel decreto viene anche sancita la responsabilità dei genitori o di "coloro che a qualsiasi titolo ne facciano le veci" per l'adempimento del "dovere di istruzione e formazione" dei propri figli, prevedendo sanzioni che "saranno ulteriormente inasprite" per i genitori inadempienti in base alle norme vigenti. Ai Comuni e ai presidi manager invece è demandato il compito di vigilare sull'adempimento dei genitori di mandare i figli a scuola fino a 18 anni e di segnalare all'Anagrafe nazionale degli studenti istituita presso il ministero dell'Istruzione i casi di trasgressione a tale "dovere" e le relative richieste di intervento.
Il cosiddetto diritto-dovere inizia al primo anno della scuola primaria, con un percorso che si divide in due rami nella secondaria superiore e che termina a 12 anni di istruzione o formazione, a meno di una qualifica professionale ottenuta prima. Il percorso quadriennale di istruzione e formazione, previsto dalla stessa legge 53 approvata l'anno scorso per il conseguimento di una qualifica, è completamente sparito dal testo del decreto a favore di una "qualifica professionale di durata almeno triennale". Siamo, quindi, alla riduzione per decreto della stessa durata minima prevista dalla legge. Inoltre i 12 anni del diritto-dovere non coincidono né con la durata quinquennale degli studi liceali né con quella almeno triennale dei percorsi per ottenere una qualifica. Si ferma prima del completamento del liceo e dura un anno in più per gli altri.
Dunque il decreto da una parte costringe i ragazzi a frequentare la scuola-azienda fino a 18 anni ma dall'altra non rappresenta affatto un innalzamento dell'obbligo scolastico dal momento che a 15 anni gli studenti andranno a lavorare gratis nelle aziende fino ai 18 anni.

L'alternanza scuola-lavoro
Il secondo decreto introduce l'alternanza "scuola-lavoro". Al sistema dei licei farà da alternativa una scuola professionale che "offrirà agli studenti" che la frequentano (o meglio, ai lavoratori precoci) "la possibilità di acquisire esperienze lavorative direttamente nelle aziende e immediatamente spendibili sul mercato del lavoro".
A 13 anni e mezzo o prima, se, come prevede la legge, si comincia a 5 anni e mezzo, lo studente sarà costretto a scegliere tra due sistemi (istruzione o formazione professionale e apprendistato) che sono nettamente separati fra loro e falsamente posti sullo stesso piano in quanto la loro finalità, durata e contenuti sono profondamente diversi e gerarchicamente ordinati. Da una parte ci saranno i licei, dove ai figli della borghesia e dei più ricchi sarà garantito il raggiungimento dei livelli più alti dell'istruzione, e, dall'altra parte, la formazione e l'avviamento al lavoro, dove saranno confinati, irregimentati e spremuti i figli dei lavoratori e dei ceti meno abbienti che non hanno i mezzi per frequentare i licei.
Le stesse istituzioni di riferimento cambiano: allo Stato i licei, alle Regioni, alle borghesie locali e alla Confindustria il resto.
In questo modo i padroni avranno a disposizione un esercito di giovani da plasmare secondo le proprie esigenze sotto il ricatto di un'eventuale assunzione futura e mano d'opera gratis da spremere e sfruttare per meglio competere sui mercati mondiali. Infatti secondo Confindustria con i due decreti approvati dal Consiglio dei ministri e le novità introdotte dalla Moratti "la scuola è più aperta al territorio e l'impresa diventa anche luogo formativo". Il decreto sull'alternanza scuola-lavoro, in particolare, costituisce per i padroni di viale dell'Astronomia "un passo importante nell'avvicinare i giovani al lavoro, aspetto essenziale per la competitività del nostro Paese".
In questo contesto le tanto sbandierate "passerelle" che secondo la Moratti offrono la possibilità di cambiare indirizzo all'interno dei vari percorsi formativi appaiono più che mai la classica foglia di fico dietro cui si nasconde un sistema scolastico neofascista, rigidamente classista, meritocratico e aziendalista che fin dai primi anni del primo ciclo opererà una odiosa selezione di classe attraverso il "portfolio dello studente" e i "servizi di orientamento" che marchieranno anno dopo anno gli studenti col chiaro obiettivo di separare i più "bravi e meritevoli", che avranno accesso al liceo, dai meno bravi e i "somari" che invece saranno incanalati e confinati nella formazione professionale o nell'apprendistato. Non a caso il decreto conferma fra l'altro che è possibile conseguire una qualifica anche attraverso l'apprendistato, così come delineato dal decreto 276/03 sul "mercato del lavoro" che non prevede più alcun vincolo alla formazione esterna degli apprendisti e non precisa la quantità di ore da destinare alla formazione. Perciò l'amara realtà che si profila all'orizzonte è l'equiparazione del valore formativo di percorsi scolastici con un numero considerevole di ore dedicate alla formazione con quello del lavoro tout court, e quindi è l'istituzionalizzazione del lavoro minorile.
Gli istituti tecnici e professionali saranno trasformati in scuole-azienda e le aule in reparti produttivi dove gli studenti figli dei lavoratori e delle famiglie più povere saranno fortemente penalizzati e saranno addestrati a diventare un esercito di soldatini docili e obbedienti pronti a garantire lauti profitti ai capitalisti e addestrati a svolgere al meglio le proprie mansioni. Mentre nei licei solo ai rampolli della borghesia sarà concesso il privilegio di raggiungere i gradi più alti dell'istruzione, formare i futuri quadri e dirigenti della classe dominante per perpetuare il dominio della borghesia.
Non che finora la scuola borghese aiuti i figli del popolo e sia un modello positivo per le masse giovanili, non che finora il padronato e la Chiesa non la influenzino pesantemente. Solo che si tratta di un'influenza più indiretta che diretta, realizzata attraverso l'ideologia dominante che permea i programmi, le strutture e il personale docente.
Ora invece il padronato, il clero e le borghesie locali, attraverso la regionalizzazione, avranno mano libera e il controllo pieno e diretto sull'istruzione e l'Italia imperialista disporrà delle migliori condizioni per lanciarsi nella "competizione globale dei mercati".
La controriforma Moratti e i conseguenti decreti applicativi faranno fare un salto all'indietro di mezzo secolo al sistema scolastico italiano peggiorando perfino la situazione antecedente la Grande Rivolta del Sessantotto e addirittura quella precedente al 1962, anno in cui venne istituita la scuola media unica, com'era ai tempi del fascismo e fino a tutti gli anni '50 quando la scuola era inequivocabilmente di classe, selettiva e meritocratica col famigerato Avviamento professionale; trasforma la scuola in un servizio individuale a pagamento accessibile solo a chi ha i mezzi economici per permetterselo e cancella ogni riferimento alla scuola intesa come servizio pubblico; opera una separazione classista fra l'istruzione liceale, riservata ai figli dei più ricchi, e la formazione professionale, dove saranno confinati i figli del proletariato e delle classi meno abbienti ai quali sarà negata ogni possibilità di successo scolastico e di fatto sarà impedito il raggiungimento dei livelli più alti dell'istruzione; impone la canalizzazione precoce degli studi per cui già a 13 anni lo studente deve scegliere tra licei e formazione professionale; sancisce la definitiva equiparazione fra scuola pubblica e scuola privata conferendo a quest'ultima "pari dignità" non solo sul piano finanziario ma anche e soprattutto sul piano legislativo e normativo; abolisce di fatto l'obbligo scolastico sostituendolo con un mero "diritto-dovere all'obbligo formativo"; consegna la formazione professionale in mano al padronato e alle regioni; reintegra il voto di condotta influente nel profitto; introduce la scolarizzazione precoce dei bambini; cancella il tempo pieno alle elementari; taglia migliaia di cattedre e posti di lavoro per il personale docente e Ata e rilancia in grande stile il carrierismo per i professori e la gerarchizzazione delle funzioni.