All'unanimità gli iscritti Fiom della Fiat di Pomigliano respingono l'accordo Marchionne
Fallita la marcia per il sì ordinata dall'azienda e organizzata dai capi dello stabilimento
Landini: "una farsa il referendum sotto ricatto"

La Fiom tiene e marcia compatta contro l'accordo capestro di Marchionne, sottoscritto dai sindacati complici Cisl, Uil, Fismic e Ugl. Al No del Comitato centrale e delle segreterie regionale della Campania e provinciale napoletana si è aggiunto il No degli iscritti Fiom della Fiat di Pomigliano. Un no secco, espresso all'unanimità nella riunione tenutasi il 16 giugno scorso. Nel documento approvato gli iscritti hanno appoggiato la posizione assunta dal vertice Fiom. L'assemblea ha giudicato inaccettabile e illegittimo l'accordo sottoscritto dalle altre organizzazioni sindacali. "Inaccettabile perché sotto la minaccia della Fiat di chiudere lo stabilimento. Illegittimo perché in violazione dei diritti fondamentali dei lavoratori previsti dalla Carta Costituzionale, dalle leggi europee e nazionali, dallo Statuto dei lavoratori e dal Contratto nazionale di Lavoro dei Metalmeccanici". Anche il referendum, indetto per il 22 giugno è ritenuto inaccettabile e illegittimo e in ogni caso non vincolante per la Fiom "perché riguardante diritti indisponibili delle lavoratrici e dei lavoratori". Anche se si consigliano i lavoratori a "partecipare al referendum, al fine di evitare azioni di rappresaglia individuale da parte dell'azienda".

Indietro di 50 anni
L'accordo Marchionne "porta indietro di più di 50 anni - si legge nel volantino dove è riassunto il No della Fiom - le condizioni e i diritti dei lavoro. Cambiano i turni, le pause, l'organizzazione del lavoro. Con un aggravio pesantissimo per la salute delle lavoratrici e dei lavoratori". Per la prima volta in Italia "si scrive che per le lavoratrici e i lavoratori di Pomigliano non varrà più il Contratto nazionale sugli orari di lavoro, sul trattamento di malattia, sulle qualifiche". Inoltre, c'è "un punto di gravità senza precedenti, mai sottoscritto in nessun accordo". Si tratta del punto 15 dove la Fiat pretende che "tutte le parti contenute nell'accordo diventano una sorta di contratto individuale di lavoro e che il lavoratore che viola questo nuovo contratto è passibile di provvedimenti disciplinari fino al licenziamento". Così i lavoratori di Pomigliano perderebbero "la tutela dell'art.18 dello Statuto dei lavoratori e della stessa Costituzione". La Fiom non accetta e non accetterà la cancellazione di diritti fondamentali dei lavoratori. Comunque vada il referendum "assolutamente immorale e illegittimo, la Fiom continuerà a dire No all'accordo e a tutelare in tutte le sedi i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori di Pomigliano".

Le intimidazioni dei capi e dei capetti
Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, lo ha detto e ripetuto in ogni sede: questo referendum è una farsa perché si svolge sotto il ricatto di Marchionne di chiudere lo stabilimento, lasciando in strada 5 mila dipendenti, senza contare l'indotto, in caso di vittoria del No. I lavoratori, minacciati di licenziamento, non sono liberi di scegliere. Diversamente, chi accetterebbe un accordo che aumenta i turni e i tempi di lavoro, triplica il monte ore straordinario obbligatorio, riduce le pause, sposta la pausa mensa alla fine del turno, anzi permette che questa pausa diventi lavoro straordinario, eliminandola di fatto, cancella i precedenti accordi, prevede sanzioni pesanti per i sindacati che indicono lo sciopero e sanzioni per i lavoratori, fino al licenziamento, se violano una delle parti del suddetto accordo. Inoltre deroghe al contratto di lavoro in caso di malattie e altro ancora. "Quando si fanno votare le persone - ha affermato il leader della Fiom - bisogna che esse siano libere, e invece il 22 si vota sotto la minaccia di chiusura dello stabilimento. Marchionne ci sta puntando la pistola alla tempia". "Se passa il principio che per fare investimenti - ha aggiunto - bisogna derogare dal contratto e dai principi costituzionali, per il sindacato tutto è finita: fuori e dentro la fabbrica".
La scelta tattica della Fiom non sarà quella di disertare il referendum ma di partecipare alla votazione; in particolare per evitare alle lavoratrici e ai lavoratori ritorsioni repressive da parte dell'azienda. A questo proposito va denunciata con forza l'infame campagna di intimidazione messa in essere dai capi e capetti della Fiat i quali da giorni contattano nei reparti, in modo capillare, i lavoratori per chiedere loro come si comporteranno nel referendum e per schedarli. La stessa operazione è stata ripetuta andando casa per casa dai lavoratori attualmente in cassa integrazione. Sembra essere tornati agli anni bui della Fiat di Valletta e poi di Romiti. A proposito di Romiti, Marchionne ha pensato che fosse possibile replicare la famosa "marcia dei 40 mila dei quadri Fiat" del 1980 a Torino.

Il flop della marcia pro-Marchionne
Di nuovo i capi e i capetti sono stati mobilitati, in contemporanea con una dichiarazione pubblica di Marchionne che accusava vigliaccamente la Fiom di determinare la chiusura dello stabilimento Giambattista Vico di Pomigliano e lo spostamento delle produzioni in Polonia, per convincere i lavoratori a partecipare alla fiaccolata a sostegno dell'accordo separato del 15 giugno. Ma il corteo che si è svolto per le vie di Pomigliano, sabato 19 giugno, la "marcia di regime" come l'ha chiamata il segretario Fiom Landini, ha fatto totale fallimento. Portando anche le mogli e i figli non erano più di 1.500. E poi, più che una manifestazione di lavoratori sembrava un raduno del PDL che si è presentato con il vertice campano al completo, capitanato da Nicola Cosentino, indicato da più collaboratori di giustizia come il referente della camorra, e con gruppi di militanti con tanto di bandiere di partito. Dei sindacati complici, era presente la Cisl, la Uil si è sfilata all'ultimo momento, mentre l'Ugl vi ha partecipato tramite alcuni iscritti senza bandiere, a titolo personale.

La pugnalata di Epifani
È da considerarsi una vera e propria pugnalata alle spalle la posizione assunta dal segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani. Partecipando a una riunione della Confartigianato aveva detto che i lavoratori dovevano andare a votare nel referendum e che avrebbero votato Sì. Un modo questo indiretto, opportunista, per invitare a non bocciare l'accordo. È però nell'intervista a la Repubblica del 18/06 che Epifani si schiera apertamente dalla parte della Fiat e contro la Fiom. Si doveva confrontare con la Cgil, ha attaccato, "prima e non alla fine della vicenda e forse, nella trattativa, avrebbe fatto meglio a dichiarare prima la sua disponibilità sui 18 turni". Poi si lamenta perché "al Comitato centrale (della Fiom, ndr) non siamo stati invitati". Per il segretario della Cgil i lavoratori devono partecipare al referendum, ma non dice nulla sul ricatto di chiusura dello stabilimento di Marchionne. Andare a votare e votare sì, perché è normale che i lavoratori "vogliano tornare a lavorare" anche alle condizioni di super sfruttamento imposte dall'azienda. "Adesso c'è questo nuovo piano. Noi ne cogliamo tutta l'importanza". E sulle deroghe contenute nell'accordo afferma: "come ho già detto al Congresso: facciamo norme contrattuali più leggere (come previsto nella controriforma contrattuale varata nel gennaio 2009, ndr) che si adattino meglio alle diverse realtà. A quel punto le deroghe non sono più necessarie".
Tanta l'amarezza espressa dal segretario napoletano della Fiom, Andrea Amendola, che si è sentito pugnalato alle spalle dalle parole di Epifani: "tra noi - ha detto - c'è sempre stato un rapporto dialettico, ma stavolta si è superato il segno".

Solidarietà negli altri stabilimenti Fiat
Segni crescenti di solidarietà intanto si stanno sviluppando tra i lavoratori del gruppo Fiat Auto. In testa gli operai delle carrozzerie e della Powertrain di Mirafiori, i quali hanno scioperato contro l'accordo di Pomigliano d'Arco la mattina del 17 giugno e sono sfilati in corteo fino alla porta 2 della fabbrica. Non solo. Hanno anche scritto una lettera aperta a Marchionne su cui sono state raccolte rapidamente 2.500 firme dove, tra l'altro, si legge: "fare la nostra parte per noi vuol dire sforzo e lavoro, ma anche, e allo stesso modo, difesa della nostra salute e dei nostri diritti: la messa in discussione di questi per i lavoratori di Pomigliano è per noi la messa in discussione dei nostri: per questo siamo con loro, ci consideri in campo. La raccolta delle firme è proseguita negli altri stabilimenti torinesi del gruppo Fiat, tra cui la Bertone e l'Iveco. Iniziative analoghe sono in corso anche alla Fiat Auto di Cassino (Frosinone) e alla Sevel di Atessa Val di Sangro (Chieti). In quest'ultimo stabilimento giovedì 17 è stato effettuato uno sciopero di 2 ore con un'adesione pari al 60%.
L'Ufficio politico del PMLI ha redatto un forte documento di solidarietà con la Fiom e contro l'accordo separato di Pomigliano, di cui viene pubblicato il testo a parte.

23 giugno 2010