Tardiva e risibile confessione del giullare del "centro sinistra'' che si candida a sindaco-podestà di Milano
FO CONTINUA A IMBROGLIARE SUL SUO PASSATO REPUBBLICHINO
Roberto Vivarelli, un altro ex "ragazzo di Salò'' che non si pente
Dopo che la "sinistra'' del regime neofascista, fattasi sponsor della tesi storica dei fascisti sul revisionismo storico, ha "concimato'' con aberranti e vomitevoli tesi il seme della "pacificazione'' e della "conciliazione nazionale'' tra fascisti e antifascisti e ha persino riabilitato il fascismo nella versione più mostruosa e sanguinaria che fu la cosiddetta "repubblica di Salò'', ("bisogna comprendere le ragioni dei vinti'', ebbe a dire il presidente della Camera Violante), ora la confessione del proprio passato repubblichino comincia a diventare un "titolo di merito'' presso i media del grande capitale. Cosicché molti degli ex "ragazzi di Salò'' che dopo la Liberazione si sono rifatti una "verginità'' antifascista tenendo ben nascosto il loro passato, ora possono venire allo scoperto e addirittura essere acclamati per il coraggio di metter fine alla "stagione delle reticenze'', di aver fatto cadere "un tabù''.
Lo dimostra la vergognosa campagna stampa montata dal Corriere della Sera (CdS) intorno al libro autobiografico dello storico Roberto Vivarelli, che dopo essersi accreditato come vate e custode della tradizione più intransigente dell'antifascismo, dopo aver preteso di dar lezioni sulla coerenza intellettuale e l'intransigenza morale, ha oggi sentito il bisogno di rendere nota ma soprattutto rivendicare senza alcun pentimento la sua esperienza adolescenziale a fianco dei repubblichini di Salò, che comprende persino la partecipazione all'esecuzione di tre partigiani.
Soprattutto oggi Vivarelli ci tiene a far sapere che lui non si è mai pentito e non ha mai rinnegato quella scelta, e di andar fiero di non aver mai accettato l'"impostura sulla quale si è preteso di fondare la nostra repubblica'': considerare liberatori gli invasori angloamericani e invasori gli alleati tedeschi che difendevano il nostro territorio, "... meglio, molto meglio esser stati dalla parte dei vinti...''. Insomma siamo all'apologia della Rsi e del nazifascismo.
Vivarelli non è però il solo ex repubblichino riciclatosi a "sinistra'' senza mai essersi autocriticato per il suo passato.
Anche il "giullare della sinistra'' Dario Fo, premio Nobel per la letteratura e ora disponibile a candidarsi sindaco per il "centro sinistra'' a Milano, dopo essersi presentato per quarant'anni come l'attore "più rivoluzionario'' d'Italia, come "mangiademocristiani'' e "mangiapreti'', dopo aver flirtato con la sinistra extraparlamentare, da "Lotta continua'' ad "Avanguardia operaia'' spingendosi fino a fiancheggiare di fatto il terrorismo dando vita assieme alla moglie Franca Rame a "Soccorso Rosso'', oggi ammette senza imbarazzo e senza pudori di aver indossato la divisa dei repubblichini di Salò.
Una confessione, seppur tardiva, che poteva essere per l'attore l'occasione di fare finalmente chiarezza su quell'imbarazzante passato, con una sincera, seria e dovuta autocritica. Invece da ipocrita e imbroglione trotzkista qual è, ha scelto la strada della menzogna, dell'ipocrisia, della autocommiserazione e dell'autoassoluzione, con l'aggravante di assolvere pure tutti i repubblichini.
Tantopiù che il suo passato repubblichino non è una novità.
Già negli anni '70 era saltato fuori questo scabroso e ingombranante "marchio'', ma allora scelse un'altra strada per giustificare la sua adesione alla Rsi.
Nel 1975, Giancarlo Vigorelli, in un corsivo pubblicato sul quotidiano dell'Eni Il Giorno, scriveva: "Anche Fo sa di avere in pancia l'incubo dei suoi trascorsi fascisti''. Fo querelò il giornalista e il quotidiano per diffamazione, e la vicenda si concluse con la pubblicazione di una "rettifica''.
Le argomentazioni presenti in tale rettifica Fo le rilancia anche nel 1978 al processo per diffamazione intentato contro il settimanale di destra Il Nord che nel 1977, aveva rispolverato ancora una volta i suoi trascorsi fascisti, additandolo come "repubblichino e rastrellatore'' di partigiani. A la Repubblica del 22 marzo 1978 Fo dichiara "Io repubblichino? Non l'ho mai negato. Sono nato nel '26. Nel '43 avevo 17 anni. Fin a quando ho pututo ho fatto il renitente. Poi è arrivato il bando di morte. O mi presentavo o fuggivo in Svizzera''. E motiva di essersi arruolato volontario per non destare sospetti sull'attività antifascista del padre, quindi d'accordo con i partigiani amici del padre.
Nella sentenza che assolve per intervenuta amnistia il direttore de Il Nord e condanna il collaboratore per la sola asserzione "Fo intruppato nel battaglione `A. Mazzarini' della Gnr'', si legge tra l'altro che Fo "anche se ha cercato di edulcorare il suo arruolamento volontario (nei paracadusti repubblichini, ndr) sostenendo di aver svolto la parte dell'infiltrato pronto al doppio gioco (...) le sue riserve mentali lasciano il tempo che trovano''. Inoltre pur non essendo accertata la partecipazione di Fo alle operazioni in Val Canobbina cui fecero sicuramente parte i paracadutisti di Tradate, "lo rende in certo modo moralmente corresponsabile di tutte le attività e di ogni scelta operata da quella scuola nella quale egli, per libera elezione, aveva deciso di entrare. è legittima dunque per Fo non solo la definizione di repubblichino, ma anche quella di rastrellatore''. La sentenza non fu appellata.
Fo torna ora su quel periodo, ma la sua versione dei fatti è un'altra volta cambiata. "A differenza di Vivarelli che, sebbene per poco, ci credette - dichiara Fo al CdS del 6 novembre scorso -, io lo feci per ragioni molto più pratiche: cercare di imboscarmi, di portare a casa la pelle (...)''. "Io e tanti miei amici chiamati alla leva, per evitare il fronte le pensavamo tutte''. E per evitare di essere deportato in Germania "la scappatoia'' fu quella di "arruolarmi nell'artiglieria contraerea di Varese. Una contraerea mancante dei pezzi fondamentali, i cannoni. Una situazione ideale per noi, che contavamo di tornarcene tranquillamente a casa. In permesso perenne''. E invece, continua Fo "era una trappola. Appena arruolati ci caricarono sui treni merci, ci fecero indossare divise tedesche e ci affidarono all'esercito del Reich, per farci addestrare sul serio. In realtà ci usarono come bassa manovalanza (...) A un certo punto capimmo che ci avrebbero trasportati in Germania a sostituire gli artiglieri tedeschi massacrati dalle bombe. E allora altra fuga. L'unico scampo era arruolarsi nella scuola dei paracadutisti di Tradate, a due passi da casa mia. (...) Finito l'addestramento, fuga finale. Tornai nelle mie valli, cercai di unirmi ai partigiani, ma non era rimasto nessuno''. "Eravamo proprio così - conclude -, disertori continui, giovanotti spaventati, disorientati. Uomini in fuga, ingaggiati con la truffa, incastrati con la violenza. Buona parte dell'esercito di Salò era composta da gente come noi, senza bandiere, preoccupata di una sola cosa: sopravvivere''. E la tesi che si era arruolato nella Rsi su incarico delle formazioni partigiane...? Mentiva ieri o mente oggi? La verità è che Fo continua ad imbrogliare sul suo passato repubblichino, un passato che oggettivamente non rinnega. E del resto che egli sia un incallito imbroglione trotzkista lo dimostra la sua storia politica, a prescindere dai trascorsi fascisti. Una storia che lo ha visto oscillare da posizioni "ultrasinistre'', filoterroriste e anticlericali, quando si trattava di ingannare tanti rivoluzionari negli anni della contestazione giovanile, a quelle ultraparlamentariste che lo hanno visto rifluire senza pudori nell'ovile della borghesia negli anni '80. Cosicché non solo si guadagna lo sdoganamento della Tv di Stato che lo aveva cacciato nel '62, ma perfino quello del grande capitale italiano che decide di assumerlo come insegnante di uno stage nella sua accademia per eccellenza, la Bocconi, e perfino del governo americano che negli anni '90 gli concede il visto di ingresso. Poi arriva il Nobel che va a ritirare inchinandosi ai reali di Svezia e infine lo sdoganamento del Vaticano, che tramite le Edizioni Paoline gli offre di scrivere un saggio.
La "scesa in campo'' per la poltrona di sindaco di Milano diventa la ciliegina sulla torta della sua parabola ultraparlamentarista. Non è un caso che a tirargli la volata sia stato un suo vecchio compagno d'armi di Lotta continua (è stato direttore) Enrico Deaglio, ex direttore del craxiano Reporter, ex conduttore di programmi tv su Raitre e oggi direttore del settimanale Diario. Candidatura accolta con entusiasmo dal PRC e dall'area della cosiddetta "sinistra alternativa'', dal Leoncavallo a Radio Popolare, che definiscono Fo "patrimonio per le sinistre e per tutta la città''. Peccato che questo presunto patrimonio, affondi le sue radici in un trascorso repubblichino mai abiurato ed è stato ininterrottamente alimentato da un passato prossimo e un presente di imbroglione e rinnegato del comunismo.