Tramite la penna velenosa della trotzkista luxemburghiana Rina Gagliardi
"Liberazione" rilancia la visione di "Mao anarchico" per attaccare Stalin, il socialismo e il partito del proletariato
Nemmeno un cenno alla lotta di Mao contro il revisionismo


Anche "Liberazione" ha voluto unirsi al coro dei calunniatori e detrattori di Mao alimentando quella che ormai si prefigura come una vera e propria campagna orchestrata e sostenuta dalla reazione internazionale contro il grande maestro del proletariato internazionale.
L'ha fatto dedicando la copertina e ben due pagine dell'inserto della domenica del 20 agosto a un velenoso articolo della trotzkista luxemburghiana Rina Gagliardi dal titolo "Il 'nostro' Mao Tse Tung". Il che è già tutto un programma.
La Gagliardi, infatti, da opportunista patentata qual è, non ha attaccato Mao usando gli stessi termini e la stessa tattica frontale degli anticomunisti dichiarati, ma è ricorsa alla tipica, viscida e subdola tattica trotzkista che è quella di svuotare e manipolare il pensiero e l'opera di Mao per poi usarlo per attaccare Stalin, il socialismo e il partito del proletariato.
"Conviene oggi parlare non di Mao Tse Tung (o Zedong), - avverte - ma di quello che è stato per noi Mao, nel Sessantotto e nella sua onda lunga, gli anni '70. Il 'nostro' Mao, così come una generazione intera, nell'occidente in subbuglio, l'ha percepito, vissuto, 'usato', amato, propagandato".
In questo modo la Gagliardi evita non solo di fare i conti con il Mao autentico, ma anche con il PMLI che di Mao è l'erede in Italia e che da quasi 40 anni si è impegnato per far conoscere e applicare nelle condizioni concrete del nostro Paese il suo pensiero e la sua opera. L'operazione è particolarmente velenosa perché tenta di far passare fra le nuove generazioni, che ancora poco o nulla conoscono di Mao, l'idea che solo due siano state fin qui le interpretazioni di Mao in Italia: quella dei trotzkisti e degli spontaneisti come "il manifesto", "Lotta continua", in cui militava anche Marco Rizzo, che avevano una visione anarchica di Mao, come di un eretico da scagliare contro l'esperienza sovietica e della Terza Internazionale; e, l'altra, frutto, come spiega la Gagliardi, del "settarismo dogmatico, dottrinario e anche ridicolo che caratterizzava i gruppi emme-elle, dal Pcdi a 'Servire il popolo'". Queste sue parole sono il distillato del suo livore antimarxista-leninista: cita due raggruppamenti morti e sepolti che costituivano una grottesca copertura a sinistra del PCI, il primo, e della DC e della reazione, il secondo (molti dirigenti dei quali sarebbero poi confluiti opportunisticamente proprio nel suo PRC e nel PdCI); mentre perfidamente ignora l'interpretazione del PMLI, cioè dei marxisti-leninisti autentici di allora e di oggi.
Ne viene fuori un Mao irriconoscibile, svuotato, manipolato, lontano mille miglia dal maestro del proletariato internazionale che è stato e che noi conosciamo, colui che ha fornito degli enormi contributi teorici e pratici al marxismo-leninismo, alla costruzione del socialismo, alla difesa del pensiero e dell'opera di Stalin e dell'Urss socialista, alla lotta contro il revisionismo moderno di cui, guarda caso, la Gagliardi non fa alcuna menzione.
Costei rilancia invece la visione di Mao come un comunista eretico, "libertario" ossia anarchico e spontaneista. "Di vero e di fondato, in questa nostra identità 'cinese' e maoista, - scrive, infatti - c'era il grande e diffuso interesse per il 'modello' di socialismo che ci pareva di intravedere in Cina - comunque diverso da quello sovietico, comunque vicino, vicinissimo a ciò che noi tentavamo di fare e di essere".
E continua: "Vivemmo la sua figura come quella di un leader 'libertario', capace di scatenare l'iniziativa di massa contro le gerarchie calcificate, capace di mettere in discussione la sacralità del partito, capace di pensare - trotskysticamente, suo malgrado - alla 'rivoluzione permanente'". (sic!)
È evidente che la Gagliardi attribuisce a Mao quelli che erano i desideri e le speranze degli opportunisti, dei trotzkisti e degli ultrasinistri come lei che già allora lavoravano per sabotare la rivoluzione socialista e la nascita e la costruzione di un autentico partito marxista-leninista nel nostro Paese.
Alla fine nemmeno "Liberazione" e la Gagliardi riescono comunque a tenersi del tutto fuori dal coro anticomunista imperante che tenta di dipingere Mao come un despota e un sanguinario e così fa ammenda di fronte alla classe dominante borghese: "Sottovalutammo gravemente i costi umani - e sociali - della rivoluzione culturale, proprio come avevamo sottovalutato la sconfitta, anzi, il fallimento drammatico del 'grande balzo in avanti'. Non vedemmo la brutalità autoritaria con cui venivano regolati i conti interni al partito. Non fummo capaci, allora, di prendere le distanze da slogan come 'il potere sta sulla canna del fucile' e risolvemmo la questione della violenza un po' sbrigativamente".
Nonostante ciò l'ignava Gagliardi fa un ultimo tentativo di salvare la faccia e consapevole che la montagna di falsità e di calunnie su Mao e la Grande rivoluzione culturale cinese potrebbero sbriciolarsi, grazie anche alla presenza e all'azione del PMLI, conclude opportunisticamente il suo articolo lasciando aperto il giudizio definitivo sul pensiero e l'opera di Mao: "Per quel che mi concerne, l'atteggiamento 'giusto' è ancora quello dell'epochè. Della sospensione del giudizio".
Per quel che ci concerne invece il verdetto storico è già stato pronunciato: noi stiamo con Mao e con gli altri maestri del proletariato internazionale e lottiamo per l'Italia unita, rossa e socialista!
Noi avevamo capito fin dal 1967 da che parte stavano questi zelanti servi trotzkisti che si definivano "maoisti".
Infatti, oggi siedono nel governo Prodi della "sinistra" borghese e hanno votato di buon grado l'invio delle truppe italiane di occupazione in Libano.

6 settembre 2006