Lo afferma il professore Gallino
Non ci sono i soldi per abolire lo scalone di Maroni? E' falso
Sia il presidente del consiglio, Romano Prodi, sia il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ai quali si è aggiunto con fastidiosa solerzia il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, sostengono un giorno sì e un altro pure che i soldi per abolire lo scalone di Maroni (l'elevamento dell'età pensionabile da 57 a 60 anni dal 1° gennaio 2008) non ci sono. Per cui non esiste alternativa a una proposta di semplice gradualità di questo provvedimento. Peccato che questo assunto dato per certo e inopinabile, per giustificare ulteriori tagli alle pensioni pubbliche e favorire quelle private, sia senza fondamento, sia cioè falso!
Il professore di sociologia all'Università di Torino, Luciano Gallino, è andato a vedere i bilanci dell'Inps e ha scoperto che lo scalone può essere abolito "a patto che si separi l'assistenza dalla previdenza". Una misura questa più volte approvata e mai attuata. "Certamente è possibile abolire lo 'scalone' - dice Gallino - ma bisogna riqualificare i bilanci previdenziali. Sulla previdenza pesano le gestioni assistenziali, che già la legge 67 dell'88 voleva separare: l'obiettivo è rimasto lettera morta. Queste gestioni - continua - o spese assistenziali, a fronte delle quali non ci sono contributi versati e che sono dunque a carico della fiscalità generale, costano allo Stato 30 miliardi di euro l'anno, il 2 per cento del Pil".
Qualcuno potrebbe obiettare che, tolti questi 30 miliardi resta un deficit di 20 miliardi di euro dato che il saldo tra spesa e prestazioni è negativo per 50 miliardi di euro. "Ma non è così - spiega il professore - in quanto il restante deficit rientra in forma di tassazione sulle pensioni. In Italia le pensioni sono tassate come redditi ordinari, dunque, a conti fatti, su quei 20 miliardi di uscite lo Stato ne incassa quasi 28 mld dalla normale tassazione sul reddito dei pensionati. Perciò - è la conclusione - alla fine il saldo risulta attivo per il bilancio pubblico, per quasi 7.300 miliardi". Questo calcolo emerge da un rapporto appena pubblicato dall'Università La Sapienza di Roma sullo "stato sociale 2007" dal quale si apprende che sono i pensionati a finanziare il bilancio pubblico e non viceversa.
Un altro dato interessante messo in evidenza da Gallino è che "tra i fondi previdenziali dell'Inps in attivo è quello dei lavoratori dipendenti". E se sulla carta risulta in passivo è "solo perché gli accollano i disavanzi di ex fondi tra cui anche quello dei Dirigenti d'azienda".
In una lettera aperta all'Inps il professore torna in modo dettagliato su questi dati, partendo dalla cifra complessiva del debito "previdenziale" coperto dallo Stato pari a 72,3 miliardi di euro per il 2007. Quasi 5 punti del Pil. Spulciando i bilanci però si scopre che questa cifra "riguarda non il pagamento delle ordinarie pensioni, bensì gli oneri non previdenziali i quali ammontano a 74,2 miliardi di euro, coperti dallo Stato per la cifra che si è detto". Si tratta di interventi per il mantenimento del salario (2,5 miliardi); oneri a sostegno della famiglia (2,7 miliardi); assegni e indennità agli invalidi (13,5 miliardi); sgravi degli oneri sociali e altre agevolazioni (12,7 miliardi). Si tratta di oneri per lo più sacrosanti che lo Stato ha deciso di sostenere appoggiandosi (dal 1988) all'Inps. Quindi il debito coperto dallo Stato non riguarda la spesa previdenziale ma quella assistenziale da sostenere con la fiscalità generale.
Circa il Fondo pensioni lavoratori dipendenti (Fpld) i bilanci Inps segnalano che "in senso stretto avrà un avanzo di esercizio di 3,5 miliardi. In altre parole i contributi che entrano superano di 3,5 miliardi le pensioni che escono. Ma poiché - aggiunge - ad esso sono stati accollati, con gli anni, degli ex Fondi che generano rilevanti disavanzi (trasporti, elettrici, telefonici, più l'Inpdai, l'ex Fondo dirigenti di azienda che quest'anno sarà in rosso per 2,8 miliardi) il Fpld farà segnare un passivo di 2,9 miliardi di euro". L'aspetto singolare di questa vicenda è che il passivo di questi ex fondi per un totale di 6,3 miliardi "è generato da poche centinaia di migliaia di pensioni. Per contro le pensioni del Fpld sono 9 milioni e 600 mila, ben il 96 per cento del totale". Ma guarda caso "sono proprio anzitutto quest'ultime di cui la riforma delle pensioni vorrebbe ridurre l'entità, in base all'assunto che i lavoratori attivi non ce la fanno più ad alimentare un monte contributi sufficiente a pagare le pensioni di oggi e di domani".
"A noi sembra quindi - dice in conclusione - che chi disegna o brandisce scenari catastrofici per il 2040 lasci fuori dal disegno un po' tanti elementi. Tra di essi: il peso economico delle gestioni assistenziali...; il fatto che i contribuenti, quelli che pagano i contributi, non stanno affatto diminuendo, bensì aumentano regolarmente da diversi anni (più 121 mila nel solo 2007); il peso rilevante dei deficit che non riguardano il Fondo dei lavoratori dipendenti in senso stretto; il fatto ancora, che prendere come un assioma il rapporto pensioni/Pil significa voler misurare qualcosa con un elastico, visto che il rapporto stesso può cambiare a seconda che il Pil vada bene o vada male".

11 luglio 2007