Col sostegno di Tremonti e quindi del governo Berlusconi
Il berlusconiano Geronzi nominato presidente delle Generali
A Pagliaro il vertice di Mediobanca
La lega pretende il controllo delle banche del nord

Cesare Geronzi, il banchiere laziale protagonista di alcuni degli scandali finanziari più clamorosi degli ultimi anni come Cirio e Parmalat, è riuscito a scalare la presidenza delle Generali, la più grande compagnia di assicurazioni italiana e tra le prime a livello europeo.
Geronzi lascia così la presidenza di Mediobanca, che ha messo nelle mani di Renato Pagliaro, e prende il timone della compagnia triestina scalzando con un colpo di mano Antoine Bernheim, che aveva tentato una vana resistenza e al quale è stata lasciata la carica puramente decorativa di presidente onorario.
Decisiva, per chiudere la partita col suo rivale, sul quale ha pesato negativamente anche l'età molto avanzata, è stata la sua amicizia personale con Gianni Letta e con Giulio Tremonti. Come dire col governo e la Lega, e non a caso la spinta finale per sbarcare finalmente a Trieste, dopo mesi di assedio del fortino Generali, è arrivata giusto all'indomani del risultato elettorale. Geronzi era salito al vertice della banca d'affari milanese che fu l'impero di Cuccia nel 2007, completando un avventuroso e discusso percorso nel mondo della politica e della finanza, che lo vede comprare e rivendere banche decotte, operare scorpori e fusioni, moltiplicare le cariche e le partecipazioni non solo nelle banche ma anche nell'alta velocità ferroviaria, nell'editoria, nella pubblicità, nel mondo del calcio, sempre intascando regolarmente i profitti e accollando allo Stato e ai risparmiatori le perdite. Il tutto senza mai smettere di tessere e coltivare legami intricati col potere politico e i governi di turno.
Non si contano i casi giudiziari in cui è implicato. Oltre ai crac Parmalat (usura aggravata e concorso in bancarotta fraudolenta) e Cirio (estorsione e bancarotta societaria), ci sono lo scandalo dell'Italcase, per il quale è stato condannato in primo grado e assolto in appello, quello di Federconsorzi e il caso Telecom, con l'accusa di frode fiscale operata dalla banca lussemburghese Hopa da lui controllata insieme al finanziere Gnutti. Si dice anzi che il suo interesse per le Generali sia stato motivato dall'esigenza di scansare censure al suo stato di "onorabilità", essendo le regole in vigore nel settore assicurazioni più elastiche di quelle vigenti nel settore bancario. Ma non ci può essere solo questo.

Battistrada del neoduce Berlusconi
Geronzi era arrivato al vertice di Mediobanca dopo la fusione della banca di piazzetta Cuccia con la sua controllata Capitalia, erede della Banca di Roma e di una serie di istituti del Sud e del Nord Italia da lui rilevati. Il suo ingresso nel "salotto buono" della finanza italiana ha aperto la strada a quello della famiglia del neoduce Berlusconi, fino ad allora tenuta ai margini dall'intricata rete di società della cosiddetta "galassia del Nord" controllata da Mediobanca e nella quale i vertici dell'industria e della finanza hanno sempre trovato la camera di compensazione per stabilire i loro reciproci interessi ed equilibri. Adesso Mediolanum, la controllata della Fininvest e di Ennio Doris, possiede il 3,38% di Mediobanca. Una partecipazione tutt'altro che piccola, se si pensa che la più grossa, quella del francese Bolloré, è del 4,99%, e tutte le altre non superano o sono inferiori a quella posseduta da Mediolanum.
Adesso che Geronzi è salito al vertice di Generali, il cui pacchetto di maggioranza è controllato da Mediobanca col 14,75%, ma che a sua volta vi partecipa con un 2%, per il neoduce si schiude un territorio di caccia vastissimo, dato che la compagnia triestina ha in cassaforte la bellezza di 400 miliardi di euro di denaro amministrato, un terzo dell'intero prodotto interno lordo italiano. Arrivare a mettere le mani su questo enorme forziere, non solo per arricchire le sue società ma anche per finanziare tutta una serie di imprese faraoniche e propagandistiche funzionali al suo regime neofascista, da Alitalia a Telecom, dal ponte sullo stretto all'Expo milanese ecc., rappresenta un obiettivo assai ghiotto e ormai a portata di mano per il nuovo Mussolini. Inoltre questo forziere fa gola anche ai suoi stretti alleati della Lega, che vogliono capitalizzare la loro vittoria elettorale facendo il salto dal controllo della rete di piccole imprese e piccoli istituti di credito a quello delle grandi banche, a cominciare da IntesaSanpaolo e Unicredit, e della media e grande industria di tutta l'Italia settentrionale.
Non a caso, come abbiamo già sottolineato, la scalata di Geronzi alle Generali è stata fortemente sponsorizzata dal vice presidente del Consiglio Letta e dal ministro dell'Economia Tremonti, notoriamente vicino alla Lega. E il prossimo passo del banchiere laziale, anche se da lui ufficialmente negato, sarà quello della fusione tra Mediobanca e Generali, per arrivare ad un controllo totale dell'intera galassia economico-finanziaria del Nord sotto l'egida del nuovo Mussolini e del suo stretto alleato Bossi.

La Lega come la DC
D'altronde il caporione leghista non fa mistero di puntare alle grandi banche del Nord: "Chi è intelligente ha capito che abbiamo vinto tutto, quindi, fatalmente, ci spetta anche una fetta di banche", ha detto il caporione della Lega Nord dopo le elezioni regionali cominciando a introdurre l'argomento. Successivamente, andando brutalmente al sodo, ha precisato: "Ci prenderemo le banche del Nord. La gente ce lo chiede, e noi lo faremo". E ha aggiunto: "Non c'è dubbio che nelle più grosse avremo i nostri uomini".
Detto fatto. I risultati di questa nuova strategia della Lega si sono visti subito con il rinnovo dei vertici di Unicredit e IntesaSanpaolo. Le pressioni leghiste del neogovernatore veneto Zaia e del sindaco di Verona Tosi sull'amministratore delegato di Unicredit, Profumo, hanno prodotto i loro effetti, determinando l'elezione di un loro uomo, Gabriele Piccini, a capo di una rete territoriale appositamente creata e l'attribuzione di nuove deleghe sulla base delle aree geografiche. Mentre per quanto riguarda IntesaSanpaolo le pressioni del neogovernatore Cota e del ministro Tremonti (insieme, curiosamente, a quelle del sindaco di Torino, il PD Chiamparino, rampognato per questo dal suo partito) hanno portato la Compagnia di San Paolo alla designazione dell'ex ministro dell'Economia del precedente governo Berlusconi, Domenico Siniscalco, a presidente del consiglio di gestione dell'istituto di credito al posto di Enrico Salza, attuale numero uno insieme a Giovanni Bazoli.
La strategia leghista è chiara ed quella di impadronirsi del controllo delle Fondazioni che a loro volta controllano le banche. Fondazioni che risentono fortemente della presenza e del condizionamento delle amministrazioni locali. Con l'obiettivo dichiarato di mettere le banche "al servizio del territorio", ossia per finanziare le spese dei comuni amministrati dalla Lega e le imprese che la sostengono economicamente, elettoralmente e politicamente. In altre parole per ricreare quell'intreccio economico-politico di tipo clientelare che ha tenuto in piedi per decenni il potere democristiano in quell'area del Paese, nel quadro dell'obiettivo finale che è quello di staccare del tutto il Nord dal resto d'Italia.
D'altra parte questo partito neofascista, razzista e secessionista non è la prima volta che tenta di crearsi una sua fonte di finanziamento attraverso il controllo delle banche. Si pensi infatti al Credieuronord creato da Bossi che fu salvato dal fallimento attraverso l'intervento della famigerata Banca popolare di Lodi di Fiorani scaricandone il costo sui correntisti. Questo a dimostrazione di quanto sia falsa e demagogica la propaganda della Lega secondo cui essa sarebbe "geneticamente diversa" dai partiti di "Roma ladrona".

21 aprile 2010