La giravolta di Marchionne su Fiat di Termini Imerese
Doveva diventare il più grande stabilimento del Mezzogiorno e invece sarà chiuso

Del fantomatico progetto "Fabbrica Italia" proposto dall'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, sei mesi fa circa, allo stato c'è solo una cosa certa: la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese alla fine del 2011 e il conseguente licenziamento di 2000 lavoratori tra diretti e indotto. Ma il nuovo Valletta appena 4 anni fa la pensava in modo del tutto diverso e fece promesse di sviluppo industriale e occupazionale dello stabilimento siciliano del tutto disattese, per non dire tradite.
Nel 2006, infatti, nel corso della sua prima visita a Termini Imerese, Marchionne parla con i dirigenti e con le maestranze e i sindacati. A loro dice che, le sue intenzioni sono di fare di questo stabilimento il più grande del Mezzogiorno con 2.500 nuove assunzioni e capace di produrre 200 mila auto all'anno. Non solo. In questo progetto c'era anche l'obiettivo di inglobare tutto l'indotto portando gli organici complessivamente a 5 mila unità. Il tutto da realizzare con la collaborazione della Regione Sicilia che avrebbe messo a disposizione i terreni per l'ampliamento degli impianti. Mentre l'investimento previsto di 1,2 miliardi avrebbe visto la partecipazione per metà della Fiat, 250 milioni la Regione e altri 450 milioni il governo.
Sulla carta pareva una grande opportunità di sviluppo industriale e occupazionale per la provincia palermitana e per via indiretta per tutta la Sicilia. Per un po' le cose vanno avanti, i geologi fanno i sopralluoghi sui terreni previsti per l'ampliamento della fabbrica, i titolari dell'indotto vengono contattati per programmare il loro assorbimento, viene definito nel dettaglio l'investimento necessario. Ma poi, tra il 2006 e il 2008, le intenzioni della Fiat cambiano progressivamente. Intanto si dimette il presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, condannato per mafia, con il quale Marchionne aveva preso i suddetti accordi ed esplode la crisi finanziaria internazionale.
Crescono le preoccupazioni dei lavoratori e dei sindacati. In parte attenuate da un accordo siglato dall'azienda, i sindacati, il ministero dello sviluppo economico e dalla Regione il 9 aprile 2008 che prevede la produzione della Lancia Ypsilon, l'assunzione di 250 nuovi addetti e l'obiettivo di costruire 120 mila macchine all'anno, con 550 milioni di investimento di cui il 20% di parte pubblica. Anche in questo caso il progetto va un po' avanti: iniziano i corsi di formazione, viene comprato un nuovo capannone per organizzare la produzione, arrivano i nuovi robot, dell'investimento previsto ne vengono spesi 90 milioni.
La doccia fredda arriva a inizio 2009. Così, all'improvviso, non se ne fa più niente. La Fiat annuncia, come se non fosse nulla, la chiusura dello stabilimento entro la fine del 2011. Una decisione, afferma Marchionne, "non trattabile e irrevocabile". E di conseguenza, da allora, si moltiplicano i tempi in cui gli operai sono messi in cassa integrazione. Ancora oggi è così.
C'è tempo per poco più di un anno. Se nel frattempo la Fiat non cambierà, o non gli sarà fatto cambiare idea, se non interverrà un nuovo progetto industriale che offra una proposta produttiva e la salvaguardia dell'occupazione lo stabilimento di Termini Imerese rischia per davvero di chiudere i battenti per sempre dopo 40 anni dalla sua costruzione. Che avvenne nel 1970 col contributo finanziario determinate della Regione Sicilia. All'inizio si chiamerà SicilFiat. In una realtà dove c'è solo agricoltura, artigianato e pesca, rappresenta una grande novità e una importante possibilità di sviluppo economico e sociale. Da principio gli occupati saranno 350 e la 500 la prima auto prodotta. Nel 1974 arriva la 126 e nel '78 la Panda con un poderoso incremento occupazionale che passa da 1500 a 3200 unità. Negli anni '80 gli organici arriveranno fino a 4 mila.
Quello della chiusura è un epilogo assolutamente inaccettabile e da evitare in qualsiasi modo! Tutti, azienda, governo, Regione, sindacati devono essere chiamati a rispondere delle loro responsabilità.

9 dicembre 2010