Intercettazioni
Il governo imbavaglia la stampa
Come ai tempi di Mussolini
La legge sulle intercettazioni, con la quale il governo mira a tagliare le unghie ai magistrati e imbavagliare la stampa, sta per essere approvata a passo di carica da un Senato nero militarizzato e pressato dalle truppe del neoduce Berlusconi, anche con sedute notturne e domenicali. Spaventato dall'avanzare delle inchieste sulla corruzione in cui risultano coinvolti i suoi uomini più fidati, da Bertolaso a Scajola, da Verdini a Bondi, il nuovo Mussolini ha deciso di contrattaccare usando contro magistrati troppo zelanti e giornalisti troppo ficcanaso l'arma finale: riesumando cioè il disegno di legge contro le intercettazioni elaborato dai suoi scagnozzi Alfano e Ghedini e che contiene anche norme terroristiche e punitive contro la libertà di informazione e di stampa. Quel provvedimento cioè, che era stato approvato con voto di fiducia dalla Camera nel 2008, ma il cui iter si era arenato per contraddizioni in seno alla stessa maggioranza e in seguito alla richiesta di Napolitano di correggere certi suoi aspetti troppo palesemente anticostituzionali per poter essere da lui firmato.
Sotto l'incalzare delle inchieste, però, il neoduce ha dato ordine non solo di sbloccarlo e di farlo approvare in tempi rapidi dal parlamento nero, al più tardi entro la fine di giugno-primi di luglio, ma ha pure chiesto ai suoi uomini - due ex toghe (nere in questo caso) come il sottosegretario alla Giustizia Caliendo e il relatore della legge Centaro - di rafforzare ulteriormente, attraverso ben 12 emendamenti, il carattere neofascista, liberticida e anticostituzionale del provvedimento. E così, a fronte di un aggiustamento della formula usata per consentire le intercettazioni (da "evidenti indizi di colpevolezza" a "gravi indizi di reato"), per fare contento Napolitano ed ammansire i magistrati, il testo approdava in Commissione Giustizia del Senato, presieduta dal neofascista del PDL Berselli, ulteriormente peggiorato rispetto alla già infame e sconcia versione uscita dal voto della Camera. A cominciare dalla cancellazione pura e semplice della clausola voluta allora dalla finiana Bongiorno, presidente della corrispondente commissione di Montecitorio, che lasciava una scappatoia al diritto di cronaca permettendo la ricostruzione degli atti dell'inchiesta non coperti dal segreto istruttorio almeno in forma di riassunto.
Con la nuova versione della legge in discussione al Senato, invece, non solo i giornalisti non potranno pubblicare nulla, neanche in forma di riassunto, delle inchieste giudiziarie fino alla fine delle indagini preliminari e al rinvio a giudizio degli imputati (il che con i tempi attuali significa anche due o tre anni di silenzio assoluto sia sugli atti giudiziari che sulle intercettazioni), ma sono state raddoppiate tutte le pene e le sanzioni previste per chi trasgredisce: due mesi di carcere e un'ammenda da 4 a 20 mila euro, con la sospensione dalla professione per chi pubblica (che sia giornalista, scrittore di libri o anche semplice autore di blog su Internet poco importa), anche solo come contenuto o in forma di riassunto, atti o documenti di un procedimento penale; pena aumentata fino ad un anno di carcere se le intercettazioni pubblicate erano destinate alla distruzione. Se poi il giornalista è condannato insieme alla "talpa" che ha fatto uscire gli atti rischia fino a 6 anni come quest'ultima. Anche per gli editori sono previste multe salatissime, fino a 465 mila euro, così da costringerli a svolgere un'azione preventiva di dissuasione e repressione dei direttori di testata, dei giornalisti e degli scrittori da loro dipendenti.
C'è perfino il cosiddetto "emendamento D'Addario", concepito apposta dal neoduce dopo la vicenda delle escort a Palazzo Grazioli, che punisce con la reclusione fino a 4 anni chi effettua registrazioni o riprese senza il consenso dell'interessato.

Una tenaglia per bloccare magistrati e giornalisti
Questa legge fascistissima è concepita come una tenaglia, agendo sia dal lato delle intercettazioni, per ostacolare, limitare e boicottare in tutti modi le indagini dei magistrati sui reati che tipicamente coinvolgono i potentati politici, come quelli di corruzione e di mafia, sia dal lato dell'informazione, castrando il diritto dell'opinione pubblica di venire a conoscenza di questi reati e di chi li commette. Per quanto riguarda le intercettazioni la legge è congegnata in modo da renderle praticamente impossibili o quasi, attraverso tutta una serie di divieti, sbarramenti burocratici e condizionamenti: a cominciare, come denuncia l'Associazione nazionale magistrati (ANM) dalla famigerata clausola degli "evidenti indizi di colpevolezza" per poterle richiedere, che è vero che è stata sostituita con "gravi indizi di reato", ma che è stata fatta rientrare dalla finestra attraverso il riferimento all'art. 192 del Codice di procedura penale, secondo il quale l'intercettazione deve comunque essere suffragata dalla "valutazione della prova ai fini della colpevolezza". Così in pratica, secondo il procuratore aggiunto di Palermo, Ingroia, per disporre un'intercettazione "ci vorrà la stessa prova che ci vuole per condannare un imputato".
Inoltre si possono intercettare solo le utenze intestate agli indagati o comunque da essi utilizzate. Perciò se durante un'intercettazione per un dato reato e per un dato indagato si viene a conoscenza di altri reati e altri possibili soggetti da indagare non si può fare nulla, e anche per le intercettazioni ambientali occorre avere la certezza che in quel dato posto si stiano per commettere reati. Checché ne dica il governo, che spergiura che per le inchieste di mafia e di terrorismo non cambierà nulla, con questa legge non sarebbero stati possibili arresti di boss mafiosi latitanti come Riina e Provenzano, e nemmeno avrebbero potuto prendere il via le indagini sul capomafia Matteo Messina Denaro. Come denunciano molti magistrati, infatti, molte inchieste di mafia hanno preso il via da intercettazioni a catena e da inchieste su reati minori. Per esempio l'inchiesta sulla "clinica degli orrori" Santa Chiara di Milano nacque da un'altra minore per reati di truffa. Per di più per poter intercettare ad un pm non basterà più l'autorizzazione del Gip, ma ci si dovrà rivolgere ad un tribunale di tre giudici nel capoluogo più vicino. L'intento del governo è evidente: rendere più difficoltosa, lunga e incerta ai pm la procedura per avviare un'indagine.
Le intercettazioni saranno inoltre concesse solo per 30 giorni, rinnovabili di altri 15 più 15 ma solo per comprovata necessità, e solo in casi eccezionali di altri 15 giorni per un totale di 75. Scaduto quest'ultimo termine, anche se si stava per sventare un omicidio o catturare un pericoloso latitante, tutto viene bloccato. Come ha detto il sottosegretario Daniela Santanché: "Anche i mafiosi hanno diritto alla privacy". Senza contare che d'ora in poi i budget a disposizione delle procure per le intercettazioni sarebbero rigidamente contingentati: finiti i fondi assegnati cesserebbero anche le indagini, indipendentemente dai risultati raggiunti. La legge è pure retroattiva, perché è vero che sarà applicata solo alle nuove inchieste, ma per le vecchie concede solo tre mesi di tempo per "mettersi in regola".
Ma non basta. Come ulteriori paletti a salvaguardia dei politici corrotti dalle inchieste la legge prevede che se in un'intercettazione incappa un parlamentare occorre fermare tutto e chiedere l'autorizzazione al parlamento. Analogamente, se capita di intercettare un'utenza facente capo ai servizi segreti (il caso Abu Omar insegna), occorre fermarsi e informare Palazzo Chigi, che ha 30 giorni di tempo per apporre il segreto di Stato. In ogni caso, anche se non lo mettesse, addio segretezza delle indagini. E, ciliegina sulla torta, se ad incappare in un'intercettazione è un ecclesiastico (anche qui l'inchiesta sulla "cricca" degli appalti di Anemone e Balducci, in cui sono coinvolti anche un prete e un cardinale, insegna) occorre che il magistrato informi nientemeno che il segretario di Stato vaticano. Con quali effetti sul buon esito delle indagini si può facilmente immaginare.

Ondata di proteste in tutto il Paese
Se questa legge fosse stata già operante non ci sarebbero state, o comunque l'opinione pubblica non avrebbe potuto sapere assolutamente nulla, o l'avrebbe appreso solo dopo molti anni, delle tante inchieste di corruzione e malaffare che sono emerse in questi anni, come lo scandalo per i lavori del G8 e della Protezione civile, la vicenda di corruzione che ha travolto l'ex ministro Scajola, il caso del senatore camorrista del PDL Di Girolamo, l'inchiesta su "calciopoli", lo scandalo dei "furbetti del quartierino", lo scandalo Parmalat e tanti altri.
Come ai tempi di Mussolini il neoduce Berlusconi vorrebbe cancellare malaffare e scandali semplicemente facendoli sparire dai giornali e mettendo i pm sotto il controllo del governo, per proteggere la sua banda di gerarchi e lacché ladri, corrotti e mafiosi e per dare all'opinione pubblica interna e al mondo una rappresentazione falsa e idilliaca del regime neofascista fatto a sua immagine e somiglianza, nascondendo il puzzo nauseabondo che emana sempre di più da esso.
Per fortuna contro tutto ciò sta montando nel Paese una forte e sdegnata ondata di proteste, che coinvolge gran parte dei magistrati, giuristi, giornalisti, movimenti democratici come il "popolo viola" e anche semplici cittadini. Un appello, sottoscritto anche dal PMLI e da "Il Bolscevico", già lanciato da tempo dall'ex garante per la Privacy Stefano Rodotà e da altri autorevoli giuristi e costituzionalisti, sta viaggiando verso le 200 mila adesioni. Un altro appello sul sito nobavaglio.it ha già raccolto oltre 150 mila firme. La Federazione nazionale della stampa (FNSI) ha preso decisamente posizione contro la legge-bavaglio del governo, promuovendo manifestazioni di protesta come quella svoltasi lo scorso 28 aprile davanti al Senato e quella indetta per il 19 giugno in piazza Navona. Il suo presidente Roberto Natale, nell'annunciare una "battaglia frontale e totale" al provvedimento, ha dichiarato: "Siamo pronti ad appoggiare qualsiasi tipo di disobbedienza civile messo in atto dai giornalisti perché la situazione è davvero drammatica". Anche la Federazione degli editori di giornali (FIEG) appoggia le proteste dei giornalisti ed ha firmato il loro appello. Perfino i comitati di redazione di alcune testate di proprietà del neoduce, come Tg5, News Mediaset, Sport Mediaset, Studio Aperto, Videonews, aderiscono alla proposta della FNSI di una mobilitazione permanente in vista di uno sciopero generale della categoria. Con un duro comunicato la testata televisiva Sky ha annunciato il ricorso alla Corte europea di Strasburgo contro il "grave attacco alla libertà di stampa e di espressione".
Un appello in difesa della libertà di stampa, che ha raccolto già circa 8 mila adesioni, è stato lanciato dagli editori di libri, soggetti anch'essi alla legge-bavaglio. Lo hanno firmato tutte le case editrici ad eccezione di Mondadori e Einaudi di proprietà del neoduce, che l'hanno sprezzantemente liquidato come "un'operazione di marketing editoriale". Lo scrittore Roberto Saviano, di recente oggetto degli strali del nuovo Mussolini in quanto i suoi libri sulla mafia denigrerebbero l'Italia, ha dichiarato che con questa legge non avrebbe neanche potuto pubblicare il suo libro Gomorra.
Sorpreso dalla marea montante della protesta il nuovo Mussolini è stato costretto a studiare degli aggiustamenti tattici. Intanto, come segno di "buona volontà" ha dato ordine ai suoi giannizzeri di cassare, bontà sua, l'emendamento che raddoppia le pene e le sanzioni per i giornalisti. Poi di studiare qualche altro ammorbidimento della legge per assicurarsi il voto dei finiani e la firma di Napolitano, e possibilmente anche un'opposizione non frontale da parte del PD, con la mediazione del presidente del Senato Schifani. Ma solo "il minimo indispensabile", quanto basta per superare lo scoglio del Senato e arrivare alla Camera con un testo blindato da votare con la fiducia, per chiudere la partita prima possibile.
E a ben vedere il pericolo ora è proprio questo, e cioè che la legge passi grazie a qualche "ammorbidimento" e la sostanziale acquiescenza dell'imbelle "opposizione" parlamentare, mentre invece deve essere affossata con la mobilitazione e la lotta di piazza. Il neoduce teme tanto quest'ultima quanto se ne frega dell'"opposizione" parlamentare, sapendo benissimo che questa legge ricalca la legge Mastella a suo tempo approvata dal governo Prodi, e che molti nel PD la voterebbero se potessero farlo senza pagarne lo scotto. Il fatto che in commissione Giustizia l'"opposizione" facesse l'ostruzionismo mentre in contemporanea l'IDV votava a favore e il PD si asteneva sul federalismo demaniale, la dice lunga sulla loro reale volontà di sbarrare la strada o almeno rendere la vita difficile al neoduce Berlusconi e alla sua cricca fascio-leghista.
La legge-bavaglio non deve invece passare, con o senza "miglioramenti", perché è una legge fascista, anticostituzionale e liberticida e non può che essere rigettata e affossata con la lotta di piazza, così come il governo neofascista Berlusconi che l'ha concepita.

26 maggio 2010