Nel dibattito al Senato sull'uso dei micidiali proiettili da parte della Nato nei Balcani
IL GOVERNO MINIMIZZA IL RISCHIO URANIO IMPOVERITO
L'allora presidente del Consiglio D'Alema ammette che il governo sapeva tutto e conferma che il comportamento italiano: "Non può in alcun modo essere interpretato come indebolimento del nostro ruolo nella Nato o ricondotto a una polemica strumentale ad uso interno''
MATTARELLA: "NESSUNA SPACCATURA TRA ITALIA E NATO''
Con una discussione di quattro orette in Senato è stato liquidato il dibattito in parlamento sul gravissimo problema delle bombe all'uranio impoverito rovesciate dalla Nato sulla ex Jugoslavia. In teoria il dibattito avrebbe dovuto portare elementi di maggiore chiarezza sulle sospette connessioni tra l'uso dell'uranio impoverito in Bosnia e Kosovo e l'anomala incidenza di casi di tumori e leucemie, anche mortali, insorta tra le truppe impiegate in quelle regioni, sulle responsabilità dei vertici politici e militari, e impegnare il governo a fare i doverosi passi in sede Nato e internazionale per chiedere adeguate misure di controllo e di sicurezza.
Invece, come da copione, tutto si è risolto con la rituale passerella del governo, che con il ministro della Difesa Mattarella si è presentato in aula per rassicurare, minimizzare, smussare tutto, e tirarsi fuori dalla sporca vicenda, che in ogni caso non può scalfire l'incrollabile fedeltà dell'Italia all'Alleanza atlantica. Nel riferire infatti che sono 30 ad oggi i casi sospetti segnalati tra i nostri soldati, di cui 21 quelli relativi a militari che hanno prestato servizio in Bosnia e Kosovo, con 7 decessi, il ministro ha però subito ribadito che "occorre evitare notizie prive di riscontri'' e aspettare "la verità scientifica'' che dovrà essere appurata dall'apposita commissione di indagine, senza dare adito a "dannose tesi precostituite''.
Sin da ora, comunque, per il ministro si può stare tranquilli, perché almeno per il Kosovo il governo era a conoscenza dell'uso di munizioni all'uranio impoverito, e quindi "si sono potute adottare precauzioni adeguate'' per proteggere le nostre truppe. E anche per le popolazioni, sempre a suo dire, non ci sono particolari motivi di allarme, perché le misurazioni del terreno dimostrano che i livelli di inquinamento sono "al di sotto dei limiti di sicurezza''.
Tutto a posto, dunque, anche se per rispettare le preoccupazioni del parlamento e del Paese, ha accondisceso il ministro, il governo ha dato mandato al rappresentante italiano presso la Nato di "proporre'' agli alleati una "moratoria'' nell'uso delle munizioni all'uranio impoverito, e "procedure più adeguate e trasparenti di condivisione delle informazioni''. Ma sia ben chiaro, ha aggiunto subito Mattarella, che "non esiste una contrapposizione Nato-Italia; non esiste una spaccatura nella Nato; esiste, com'è naturale, un dibattito''. Anzi, la Nato è e resta "elemento fondamentale della politica estera'', e "va ribadita la grande importanza delle missioni di pace che contribuiamo a svolgere in Kosovo e Bosnia''.
Una posizione, questa annunciata da Mattarella della "moratoria'', smaccatamente ipocrita e opportunista, che si preoccupa solo di tranquillizzare l'elettorato badando contemporaneamente a non irritare troppo gli alleati della Nato. Una posizione che non costa nulla al governo dell'Ulivo, presa ben sapendo già in partenza che il vertice della Nato non l'avrebbe neanche presa seriamente in considerazione. Come poi effettivamente è stato.
In ogni caso, alla vigilia del dibattito in Senato, a mettere dei paletti contro ipotetiche velleità "autonomiste'' antiatlantiche in seno al parlamento e alla maggioranza di governo in vista dell'imminente vertice di Bruxelles, era sceso in campo il protagonista dell'intervento dell'Italia nella guerra imperialista del '99 nei Balcani, il rinnegato guerrafondaio D'Alema. Rimessosi per l'occasione l'elmetto della Nato, con un articolo pubblicato sul megafono ulivista "la Repubblica'' del 10 gennaio, l'allora presidente del Consiglio è intervenuto per rivendicare orgogliosamente la giustezza di quell'intervento "umanitario'' a suon di bombe e di missili all'uranio impoverito, ammettendo che tutti i governi coinvolti sapevano dell'uso di quelle armi mostruose.
Solo che a suo dire il loro utilizzo "era consentito (sic!) dal fatto che non è stata prevista in passato alcuna disposizione restrittiva al loro uso''. E comunque la questione "non era e non è la pericolosità o meno del materiale, ma il controllo dei fattori di rischio per il personale militare e la prevenzione dei danni a lungo termine per l'ambiente e le popolazioni civili''. Tutto qui.
In ogni caso, per questo sporco rinnegato con l'elmetto, l'"atto di responsabilità'' che l'Italia si apprestava a chiedere agli alleati "in alcun modo può venire interpretato come indebolimento del nostro ruolo nella Nato o ricondotto a una polemica strumentale ad uso interno''. In altre parole, secondo D'Alema, la proposta della "moratoria'' sulle armi all'uranio impoverito doveva essere interpretata non come una condanna delle stesse, del resto perfettamente "legali'' allora e fino a prova contraria anche oggi, ma solo nello spirito della salvaguardia dell'immagine "democratica'' della Nato e della "legittimità'' del suo intervento armato nella ex Jugoslavia.
Non si può non registrare infine, in merito allo squallido "dibattito'' parlamentare, la posizione ancora una volta opportunista e servile del PRC nei confronti del governo dell'Ulivo, che con il capogruppo Russo Spena ha sì chiesto com'è giusto la messa al bando e non la moratoria delle armi all'uranio impoverito, ma poi si è "dimenticato'' di aggiungere il ritiro immediato del nostro contingente militare da tutti i Balcani, limitandosi a chiedere l'assistenza medica per i militari e i volontari civili colpiti dalle malattie e adeguati indennizzi alle loro famiglie. Quando è evidente che in ogni caso, a parte ogni altra considerazione prioritaria antinterventista, antimilitarista e antimperialista, il modo più sicuro per proteggere i nostri soldati dall'uranio impoverito è che se ne tornino subito tutti a casa.