Ricordando Falcone a Palermo
Il procuratore Grasso: pm autonomi dal governo
Migliaia di studenti nell'aula bunker di Palermo per commemorare il giudice e le vittime di Capaci
Ma la verità sulle stragi ancora non c'è

Da diversi anni a Palermo non si vedevano manifestazioni così imponenti in ricordo del giudice Falcone, ucciso il 23 maggio del 1992, con la moglie e i tre uomini della scorta, con cinquecento chili di tritolo fatti esplodere lungo l'autostrada Trapani-Palermo, all'altezza di Capaci. Quest'anno, infatti, la commemorazione è stata densa di significati politici. Una battaglia ideologica l'ha attraversata in pieno. Da un lato gli antimafiosi palermitani e non solo sono scesi in piazza in massa, in testa i giovani e i giovanissimi, per opporsi ai tentativi di stop forzato alla lotta alla mafia da parte delle istituzioni borghesi in camicia nera, grazie all'approvazione di leggi, come lo scudo fiscale e il ddl intercettazioni. Dall'altro i rappresentanti del governo del neoduce, sotto tiro da parte delle masse antimafiose, hanno scatenato un'ipocrita campagna propagandistica in grande stile nel tentativo di presentarsi come paladini dell'antimafia.
In questa lotta politica ed ideologica lo scontro più acceso si è avuto nel corso del convegno nell'aula bunker di Palermo, alla presenza di migliaia di studenti provenienti da ogni parte d'Italia. Il Procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, facendo il punto sull'evoluzione del fenomeno mafioso dall'epoca di Falcone ad oggi ha messo chiaramente in evidenza l'intreccio tra mafia ed economia "pulita": "La forza della mafia oggi è questa - ha affermato - non ha visibilità e si ristruttura e si organizza negli affari, diventando sempre più potente".
Il Procuratore antimafia ha poi messo il dito nella piaga, denunciando il progetto politico di assoggettare la magistratura all'esecutivo, che ha l'obbiettivo di soffocare sul nascere indagini che possano dare fastidio alla mafia dei colletti bianchi, ai "corruttori e coloro che diffondono la corruzione ricoprendo pubbliche funzioni, coloro che rivestono in attività economiche lecite risorse illecite e che a questo scopo esportano capitali all'estero".
Nell'ambito di questo discorso Grasso ha affermato: "Difenderemo l'autonomia della magistratura dal potere esecutivo. Non come un privilegio di casta, odioso come tutti i privilegi, ma come presidio essenziale di libertà, verità e democrazia che tutti devono difendere e apprezzare". Il suo intervento è stato applaudito a lungo dalla platea degli studenti, mentre il ministro della Giustizia Alfano, presente al convegno, sentendosi ovviamente chiamato in causa ha tentato di giustificarsi: "Non abbiamo mai messo in discussione l'autonomia e l'indipendenza della magistratura".
Non era d'accordo il procuratore di Palermo Francesco Messineo, anch'egli presente al convegno. Il magistrato palermitano ha anche dimostrato che se passerà il ddl Alfano-intercettazioni, si legheranno le mani alla magistratura e molte indagini per mafia verranno insabbiate: "Teoricamente - ha detto - il ddl non riguarda indagini antimafia ma ne restringe l'utilizzo nelle inchieste ordinarie; spesso però le indagini antimafia prendono spunto da inchieste ordinarie, per cui restringendo le intercettazioni su quest'ultime si rischia di intervenire anche sulle indagine stesse" ed ha ribadito "le intercettazioni sono necessarie e uno strumento indispensabile per combattere la mafia".
Dopo questo duro affondo dei magistrati palermitani e del procuratore antimafia la giornata è continuata con diversi appuntamenti. Due cortei sono partiti nel pomeriggio dall'aula bunker e dall'Ucciardone per raggiungere l'albero di Falcone. Lungo il corteo moltissimi i cartelloni politici con la richiesta "Verità sulle stragi" e la denuncia "Con il ddl intercettazioni uccidete di nuovo Giovanni". "Palermo è nostra e non di cosa nostra", intonano i giovani e i bambini che aprivano il corteo di circa ventimila manifestanti. Molti i giovani imbavagliati a significare l'effetto che farà il ddl Alfano-intercettazioni sulle indagini e sulle inchieste giornalistiche riguardanti la mafia. Sotto l'albero di Falcone, in via Notarbartolo, in migliaia di giovani e bambini urlano "Chi non salta è mafioso". Non mancano i manifesti di scherno, come quello che recita: ''Noi difendiamo il lavoro dei magistrati... La Santanché la privacy dei mafiosi. La vita è fatta di scelte...''. Per qualche minuto le "forze dell'ordine" hanno tentato di rimuoverlo, ma hanno desistito di fronte alla determinazione degli antimafiosi presenti.
Man mano che il governo del neoduce procede nella sua opera di demolizione della lotta alla mafia, cresce esponenzialmente nelle masse antimafiose la convinzione che le stragi del '92 non furono solo opera dei boss. Di fatto, ogni indagine su Falcone e Borsellino rivela che esponenti dei servizi segreti hanno avuto un ruolo in quelle vicende. Cosa che lascia supporre che tra i mandanti vi fossero anche esponenti delle istituzioni borghesi.
Di fronte a questa che sta diventando una evidenza, il governo del neoduce per bocca del ministro dell'interno Maroni, continua a snocciolare i "successi" della sua "lotta" alla mafia: "I numeri degli ultimi due anni - afferma il ministro della Lega -non hanno precedenti nella storia. Più di 5.300 mafiosi arrestati e 360 latitanti finiti in carcere. Di questi, ventiquattro facevano parte dei trenta ricercati più pericolosi in Italia". Sì ma i mandanti politici, ci chiediamo ancora una volta, dove sono?
Persino Vittorio Emanuele, Napolitano in una sua lettera a Maria Falcone, sorella del giudice, sotto la pressione dell'indignazione degli antimafiosi è stato costretto ad affermare: "meritano il massimo sostegno le indagini che cercano di chiarire gli aspetti ancora oscuri del contesto in cui si svolsero i fatti devastanti di quel drammatico periodo e sgombrare il campo da ogni ambiguità sulle circostanze e le responsabilità di quegli eventi". Tutte chiacchiere: il devastante ddl Alfano-intercettazioni, appena esitato dal senato, piomberà come una valanga sulle indagini per mafia, spazzando via la possibilità di arrivare al livello politico delle stragi. E questo Napolitano lo sa bene.

26 maggio 2010