Imbrogliando e confondendo le idee dei 300 mila marciatori
I GUERRAFONDAI DELL'ULIVO INQUINANO LA MARCIA PER LA PACE
I giovani cattolici grandi protagonisti della Perugia-Assisi. L'arroganza del rinnegato D'Alema. La fuga di Rutelli. Agnoletto
e Casarini alla coda dei pacifisti. Caruso minaccia "ceffoni chirurgici'' a D'Alema e Rutelli ma non mantiene la promessa
BERTINOTTI SPIANA LA STRADA AI GUERRAFONDAI
Domenica 14 ottobre si è svolta la tradizionale marcia per la pace Perugia-Assisi giunta alla sua 41a edizione. Una marcia ideata dal liberal-democratico Aldo Capitini, già esponente del "movimento liberalsocialista'' e fondatore del Partito d'Azione, che è stato uno dei massimi teorici della non violenza fino a guadagnarsi la definizione di "Ghandi italiano''. Egli, consapevole dei fermenti esistenti già da allora all'interno delle masse cattoliche più democratiche e progressiste, volle promuovere fin dal 1961 questo annuale appuntamento all'insegna del pacifismo, della nonviolenza e dell'interclassismo, imponendo anche l'assenza di bandiere ed insegne alla marcia, ponendolo sostanzialmente in alternativa alla lotta di classe e a una concezione antimperialista e proletaria della lotta per la pace.
Quest'anno, la marcia è caduta a una settimana dall'inizio della guerra imperialista all'Afghanistan, e ciò le ha fatto assumere una dimensione e un carattere diversi rispetto al passato, anche a dispetto degli stessi organizzatori che invece lavorano per mantenerne intatti gli originali contenuti e scopi.
Lo testimonia la grande partecipazione, ben 300 mila, che non ha precedenti nella storia di questa marcia che proprio negli ultimi anni aveva registrato i suoi minimi storici. Lo testimoniano lo spirito, la volontà e le parole d'ordine della grande maggioranza dei marciatori che seppur confusi e disorientati a causa dell'attuale direzione del movimento per la pace, hanno comunque espresso il loro no alla guerra all'Afghanistan compiendo oggettivamente un atto antimperialista e antigovernativo.
è così che essa è divenuta la più grande manifestazione nazionale contro la guerra che si sia tenuta nell'Occidente dall'inizio dei bombardamenti su Kabul e le altre città afghane. Una fiumana immensa che si è mossa fin dalle prime ore del mattino da sotto l'Arco di San Girolamo a Perugia, luogo dell'appuntamento, per occupare senza soluzione di continuità tutto il lungo percorso di ben 24 chilometri fino alla Rocca di Assisi, intasando anche le strade circostanti. Ore e ore di cammino, per chi già aveva sulle spalle una nottata insonne, passata sui pullman e sui treni, o alla guida delle proprie auto. Dal Nord, al Sud, dal Trentino Alto Adige, alla Sicilia. Ci sono giovani e giovanissimi, la maggioranza, ma anche tanti anziani, donne, intere famiglie con i bambini nei passeggini. C'è chi partecipa annualmente alla marcia, e chi invece, e sono i più, hanno colto questa occasione nazionale per esprimere in piazza la propria opposizione alla guerra. C'è chi fa capo alle organizzazioni cattoliche e del volontariato come l'Agesci, le Acli, Mani Tese, Beati i costruttori di pace e quelli che fanno capo al movimento antiglobalizzazione, ai social forum locali, ai centri sociali, all'Arci, al Prc, ci sono iscritti al sindacato, alla Fiom e alla Cgil e quelli dei Cobas. Spiccano fra tutti per quantità, ma anche per vivacità politica, i giovani cattolici.
A inquinare questa manifestazione di popolo ci sono invece gli esponenti dell'Ulivo, D'Alema e Rutelli in testa, che nonostante il voto parlamentare favorevole alla guerra del martedì precedente non hanno rinunciato a partecipare strumentalmente alla marcia per imbrogliare e confondere le idee dei partecipanti. I dirigenti diessini, con in testa D'Alema e Fassino, circondati da un impressionante e ferreo servizio d'ordine, vengono giustamente e duramente contestati dai manifestanti fra i quali non vi sono solo iscritti a Rifondazione, come vorrebbe far credere il presidente diessino, ma anche giovani scout e di "Mani tese'', iscritti al suo stesso partito. "D'Alema assassino'', "Buffoni'', "Vergogna'', "Traditore'' sono le accuse che gli urlano dai lati della strada. Il rinnegato D'Alema non rinuncia al braccio di ferro con i manifestanti e dando prova della sua ormai famigerata arroganza ribatte spavaldamente: "Provino soltanto a cacciarci, voglio vederlo. Noi abbiamo il diritto di marciare, questa è anche la nostra marcia''. E ancora: "Ci gridano `andatevene' ma se andiamo via noi quanti ne restano qua?''. Salvo poi abbandonare la marcia a metà percorso per andare a pranzare con tutta la famiglia dai frati del Sacro Convento di Assisi.
Al leader dell'Ulivo Francesco Rutelli, che pure si era rifugiato accanto a Veltroni sotto il gonfalone del comune di Roma, è toccata la stessa sorte tanto da costringerlo alla fuga solo dopo una manciata di chilometri, giusto il tempo per essere immortalato nelle foto e nelle riprese televisive giornalistiche.
Il PMLI non ha né aderito né partecipato ufficialmente alla marcia per due motivi essenziali e per noi pregiudiziali. Il primo è che non condividiamo la piattaforma della marcia che, pur elaborata mesi fa, non è stata aggiornata e attualizzata alla nuova situazione internazionale e nazionale ed è rimasta quella sintetizzata nello striscione di apertura "Cibo, acqua e lavoro per tutti''. Un atto che dimostra la volontà degli organizzatori di non alzare il tiro della marcia, di non volersi distinguere e prendere le distanze dalla linea del papa e del Vaticano che rispetto a questa guerra si limitano a invocare "preghiere per la pace'' ma non hanno profferito nemmeno una parola contro i bombardamenti in atto. Una linea che oltre a non rispecchiare la reale volontà dei marciatori, di quello che ora si vuole ribattezzare il "popolo di Assisi'', risulta essere di fatto connivente con i guerrafondai e gli imperialisti mondiali e nostrali, perché non li individua, non li combatte, non li ferma.
Il secondo e qualificante motivo era la presenza annunciata dei guerrafondai dell'Ulivo, tollerata e difesa dagli organizzatori della marcia. Non è ammissibile marciare a fianco di chi ha votato a favore della guerra imperialista all'Afghanistan e autorizzato l'entrata dell'Italia in questa guerra, permettere a costoro di presentarsi come pacifisti, di confondere le idee al movimento per la pace impedendo di distinguere gli amici dai nemici, coloro che veramente sono per la pace, ossia sono contro la guerra imperialista, da coloro che in una mano tengono il rametto d'ulivo e con l'altra schiacciano i bottoni dei bombardieri dell'imperialismo.
è questa una grave responsabilità che si sono assunti gli organizzatori del "Tavolo per la pace'' nonché del coordinamento dei Social Forum, con Vittorio Agnoletto e Luca Casarini che si sono messi alla coda dei pacifisti non solo per i contenuti politici della manifestazione, ma anche per l'atteggiamento conciliante e ipertollerante verso la presenza dei guerrafondai dell'Ulivo. Lo stesso Francesco Caruso, leader della Rete No-global di Napoli, che pure aveva minacciato D'Alema e Rutelli di "schiaffoni chirurgici'' se si fossero presentati alla marcia, alla fine non ha mantenuto la promessa e ha fatto marcia indietro.
Ancor più sporco il gioco del neorevisionista e trotzkista Fausto Bertinotti, che invece di ostruire la strada ai guerrafondai si è preoc-cupato di spianargliela e cospargerla di petali di rosa perché, ammette, "Noi non fischiamo e anzi abbiamo lavorato perché non venisse fischiato nessuno'' (intervista a "la Repubblica'' del 16 ottobre). E infatti proprio monsignor Bertinotti, nell'editoriale di "Liberazione'' di domenica 14 diffusa ai marciatori, invitava, in nome di un imbelle pacifismo privo di principi, a non disturbare i guerrafondai: "è questa consapevolezza che oggi ci spinge a non addentrarci nelle contraddizioni di molti di coloro che oggi fanno marcia con noi... Non sono contraddizioni che devono offuscare una giornata che vuole essere un momento di costruzione, di produzione di pace''.
Ecco come la lotta per la pace diventa solo un concetto generico e astratto, una parola vuota che può stare in bocca a Bush e a Berlusconi, oltreché a D'Alema e Rutelli. Ecco come si disarma ideologicamente, politicamente e concretamente il "popolo della pace''.
Essere per la pace oggi infatti significa opporsi alla guerra imperialista all'Afghanistan, vuol dire fermare con la lotta di piazza il governo guerrafondaio del neoduce Berlusconi e coloro che con il loro voto parlamentare hanno trascinato l'Italia in questa guerra; vuol dire produrre delle azioni concrete per sabotare la macchina da guerra dell'imperialismo e perché non venga concesso né un soldo, né un soldato, né una base per la guerra imperialista all'Afghanistan.

17 ottobre 2001