Lo ha ribadito il primo ministro Haniyeh smentendo Abu Mazen
Hamas: "no a un governo di unità che riconosca Israele"

Il 22 settembre dalla tribuna dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite il presidente palestinese Abu Mazen affermava che l'annunciato governo di unità nazionale avrebbe riconosciuto Israele e gli accordi firmati in passato dalle due parti. Lo stesso giorno, in un intervento a Gaza, il primo ministro Ismail Haniyeh ribadiva che Hamas non avrebbe fatto parte di un governo che riconosca Israele e ha invece proposto una tregua di lungo periodo in cambio di un pieno ritiro israeliano dai Territori occupati.
L'11 settembre a Gaza, al termine di colloqui con Haniyeh, Abu Mazen aveva annunciato l'accordo sul programma di un governo palestinese di unità nazionale. L'annuncio era stato salutato positivamente tra gli altri dal governo sionista auspicando che con l'accordo "s'imprimerà un nuovo slancio al processo di pace", alla costruzione della pace imperialista. Infatti il premier sionista Olmert ricordava che un eventuale nuovo impulso al processo di pace in Medio Oriente potrà venire solo se il futuro esecutivo palestinese adempirà le condizioni note: riconoscimento d'Israele, rinuncia alla violenza e rilascio del soldato catturato dalla resistenza palestinese il 25 giugno scorso al confine con la striscia di Gaza.
Dall'Onu Abu Mazen rispondeva positivamente all'appello sionista e imperialista affermando: "voglio assicurare che qualunque nuovo governo palestinese rispetterà gli impegni presi negli accordi tra l'Olp e l'autorità palestinese e in particolare le lettere di riconoscimento reciproco del 1993 scambiate tra i defunti Yasser Arafat e Yitzhak Rabin". Le lettere, ricordava il presidente palestinese, "contengono il riconoscimento reciproco tra Olp e Israele, il rifiuto della violenza e il ricorso ai negoziati per pervenire a una regolamentazione permanente con la creazione di uno Stato palestinese indipendente".
A distanza di 13 anni i diritti dei palestinesi sono ancora calpestati dai sionisti di Tel Aviv, col sostegno dei paesi imperialisti, e anche Abu Mazen deve riconoscere che "è spiacevole vedere che oggi i piani e i progetti internazionali, in particolare la Road map approvata dal Consiglio di sicurezza, sono a un punto morto e che anche gli appelli alla ripresa dei negoziati sono pieni di condizioni". Chiedeva quindi alla "comunità internazionale di mostrare concretamente di essere pronta a sostenere una ripresa incondizionata dei negoziati e adoperarsi per far cessare la colonizzazione, le punizioni collettive e i muri".
Preso dal rispondere positivamente alle pressioni di Israele e dei paesi imperialisti il presidente palestinese si "dimenticava" persino di chiedere a Tel Aviv la liberazione dei 21 tra ministri e deputati di Hamas arrestati illegalmente nel giugno scorso. I 21, tra cui due ministri e il segretario generale del Parlamento palestinese, sono accusati di appartenere ad una "formazione terroristica" e di rappresentare una minaccia per la sicurezza di Israele.
Con le stesse motivazioni, le "ragioni di sicurezza", il governo di Tel Aviv disponeva il 22 settembre, con l'inizio delle celebrazioni del capodanno ebraico, l'ennesima chiusura totale dei territori occupati palestinesi; territori sigillati dall'esercito israeliano, confini bloccati per cinque giorni e palestinesi prigionieri in casa propria.
"Il governo di unità nazionale e Hamas saranno contro il riconoscimento di Israele, che non è nel programma" dichiarava Ahmed Youssef, principale consigliere politico del primo ministro Ismail Haniyeh, e sottolineava che "la nostra proposta per risolvere la crisi è una tregua di 10 anni utile alla stabilità e alla prosperità della regione". La posizione di Hamas era ribadita da Haniyeh, nessun riconoscimento di Israele. "Abbiamo accettato la creazione di uno Stato palestinese sui territori occupati nel 1967 in cambio di una hudna (tregua)", chiariva il primo ministro che richiamava l'iniziativa dei paesi arabi del 2002 centrata sulla richiesta del completo ritiro israeliano ai confini del 1967 e la rimozione degli insediamenti ebraici in cambio del riconoscimento di Israele da parte degli Stati arabi. Quanto al governo di unità nazionale, Haniyeh ha detto che dovrebbe basarsi sul documento dei prigionieri, messo a punto nel mese di maggio da esponenti di Fatah e Hamas in carcere in Israele; quel documento dove si parla della nascita di uno stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza senza citare in modo esplicito il riconoscimento di Israele.
La tregua non ci interessa, rispondeva il portavoce del governo sionista, "quello che vogliamo dal nuovo governo palestinese per poter riprendere il dialogo è che si pieghi alle condizioni fissate dalla comunità internazionale: il riconoscimento di Israele, la fine delle violenze e il rispetto degli accordi presi in precedenza". Disarmo della resistenza e accettazione dei diktat sionisti e imperialisti è la posizione di Tel Aviv; accettata da Abu Mazen ma non da Hamas.

27 settembre 2006