Il boia nazista Sharon non ascolta nemmeno il "quartetto'' di cui fa parte anche la Russia
IMMANE MASSACRO COMPIUTO A JENIN DALL'ESERCITO IMPERIALISTA SIONISTA
500 palestinesi di cui metà donne e bambini assassinati. Fosse comuni, edifici rasi al suolo con dentro gli abitanti, esecuzioni sommarie, feriti lasciati morire senza soccorsi. Sequestrato il leader dell'Intifada Barghuti
HAMAS: "NON ARRESTEREMO LE OPERAZIONI DEI MARTIRI FINCHE' DURERA' L'OCCUPAZIONE''
L'Irak congela le esportazioni di petrolio. Gli Hezbollah attaccano le basi israeliane
Entro una settimana la nostra missione probabilmente sarà conclusa e ci ritireremo da Jenin e Nablus ha dichiarato il boia nazista Sharon a una rete televisiva americana il 15 aprile; nel frattempo l'esercito di occupazione sionista rafforzava l'assedio a Ramallah e Betlemme e entrava in altre città minori della Cisgiordania. Erano questi i risultati della missione del segretario di Stato americano Colin Powell in Medio Oriente a nome di Bush e con l'appoggio ricevuto a Madrid il 12 aprile anche da Unione europea, Russia e Onu. Sharon non ha ascoltato nemmeno le nuove richieste di ritiro immediato dai territori occupati riportategli da Powell per conto del "quartetto'' diplomatico, vuol andare fino in fondo nell'operazione militare che intanto ha portato alla devastazione di Nablus e all'immane massacro compiuto dall'esercito imperialista sionista a Jenin.
Fonti palestinesi denunciano 500 morti, di cui metà donne e bambini, fra gli abitanti di Jenin e del campo profughi. L'Onu afferma che circa un quarto dei profughi non ha più la casa ma i primi operatori della Croce rossa internazionale e giornalisti che hanno potuto raggiungere la città il 14 aprile, dopo 13 giorni di totale isolamento, raccontano di un gran numero di abitazioni distrutte o gravemente danneggiate dalle cannonate; di intere famiglie sepolte vive sotto le macerie delle proprie case distrutte dai buldozer israeliani che aprivano la strada ai carri armati; di cadaveri in decomposizione perché l'esercito sionista ha impedito persino a infermieri e ambulanze di soccorrere i feriti e recuperare i morti. I soldati israeliani sono accusati di esecuzioni sommarie di militanti palestinesi che si erano arresi, di aver portato via con i camion molti cadaveri e di averli seppelliti in fosse comuni nella Valle del Giordano per nascondere il massacro. Per conoscere la reale entità del massacro di Jenin ci vorrà del tempo ma è già chiaro che l'esercito occupante sionista si è macchiato di un mostruoso crimine di guerra e tenta di nasconderlo. Un crimine la cui responsabilità ricade interamente sul nazista Sharon, il boia del massacro dei profughi palestinesi nei campi libanesi di Sabra e Chatila, e il suo governo di coalizione che comprende anche i laburisti.
Un'organizzazione pacifista israeliana ha denunciato che ci sono almeno 3 mila palestinesi sequestrati durante l'attacco alle città della Cisgiordania e detenuti in stretto isolamento in carceri militari dove sono sottoposti a umiliazioni e torture.
Il 15 aprile i soldati sionisti hanno sequestrato a Ramallah il leader dell'Intifada Marwan Barghuti, un sequestro illegale, come tutti gli altri che il regime di Tel Aviv definisce arresti, perché gli israeliani non hanno nessun diritto di eseguire arresti nei territori palestinesi. Barghuti è segretario generale di Al Fatah in Cisgiordania e leader di Tanzim, l'organizzazione militante di Al Fatah fra le principali organizzatrici dell'Intifada; cariche che si è guadagnato nella lotta di liberazione del popolo palestinese durante la quale ha conosciuto già le carceri israeliane per molti anni, dal 1978 al 1987, e l'esilio in Libano, Giordania e Tunisia. Rientrato in Cisgiordania nel 1994 è anche stato eletto nel Consiglio legislativo dell'Autorità nazionale palestinese (Anp). Sharon ha già cercato due volte di assassinarlo.
Tutto ciò avveniva sotto gli occhi dell'americano Powell arrivato il 12 aprile in Israele a raccogliere l'ennesimo rifiuto di Sharon a ritirarsi dalla Cisgiordania. L'incontro previsto il giorno successivo con Arafat a Ramallah era rinviato per un attentato suicida di una giovane palestinese al mercato di Gerusalemme. Usa e Israele premevano affinché Arafat condannasse pubblicamente l'attentato, una condizione ricattatoria posta da Powell per tenere l'incontro, che poi si svolgerà senza risultati il 14 aprile; l'Autorità nazionale palestinese diffondeva un comunicato nel quale si affermava che il presidente Arafat "condanna tutte le azioni terroristiche contro i civili, israeliani o palestinesi''. "Condanniamo con fermezza le operazioni violente dirette contro civili israeliani, in particolare l'ultima operazione a Gerusalemme'', affermava il comunicato, pubblicato in arabo dall'agenzia ufficiale palestinese Wafa. Nel comunicato Arafat condannava anche "i massacri e le stragi perpetrate dalle forze di occupazione contro i civili e i profughi palestinesi nella città di Nablus, nel campo di Jenin e contro la Chiesa della Natività a Betlemme''.
Altra era l'opinione della moglie di Arafat, Suha, che in una intervista a una rivista saudita pubblicata il 14 aprile sosteneva che "la resistenza è un diritto legittimo per ogni popolo sotto occupazione. Queste operazioni suicide fanno parte di questo diritto''; i kamikaze sono dei martiri, concludeva Suha. Un successivo comunicato, ma dell'Anp, smentiva tali dichiarazioni.
In merito alle dichiarazioni di Arafat contro gli attacchi suicidi che ha permesso l'incontro con Powell uno dei leader di Hamas, Mahamud al-Zahar, ha dichiarato il 14 aprile che conosce "le pressioni esercitate sul presidente Arafat, tenuto prigioniero a Ramallah dagli israeliani, e mai come in questo momento riteniamo fondamentale l'unità di tutte le forze di resistenza palestinesi attorno alla sua leadership. Ma non sarà certo dai migliori alleati di Israele, gli americani, che otterremo giustizia''. Il responsabile di Hamas affermava che "le operazioni di martirio andranno avanti perché sono una necessità legittima per infliggere alle forze d'occupazione duri colpi per i loro crimini. I kamikaze sono la nostra risposta agli aerei F-16, agli elicotteri Apache, ai carri armati sionisti che portano morte e distruzione in Palestina''. E concludeva: "la liberazione della Palestina risiede solo nella capacità di resistenza del suo popolo e nella determinazione con cui tutti i gruppi dell'Intifada proseguiranno, intensificandola, la lotta contro Israele''.
Un sostegno concreto alla lotta del popolo palestinese è venuto dall'Irak che ha congelato le esportazioni di petrolio e dagli Hezbollah libanesi che nell'ultima settimana hanno più volte bombardato le postazioni militari israeliane nella zona delle fattorie di Sheba, l'ultimo lembo libanese ancora occupato dall'esercito imperialista sionista dopo il ritiro del maggio 2000. Il regime di Tel Aviv ha risposto con bombardamenti aerei nella valle della Beqaa e con minacce di colpire anche le postazioni siriane in Libano. Anche la Casa Bianca e Powell hanno intimato a Siria e Libano di bloccare le azioni degli Hezbollah con una determinazione che è mancata del tutto per fermare la mano del boia Sharon.
Identico l'atteggiamento della Ue che non vuol dar seguito alla ventilata minaccia di interrompere l'accordo di associazione con Israele; del governo Berlusconi che è fermo alla richiesta di una conferenza internazionale di pace; del segretario dell'Onu Kofi Annan che denunciava che "massacrare civili innocenti significa violare il diritto internazionale'' e che "il disprezzo totale dei diritti dell'uomo e del diritto umanitario è qualcosa che non possiamo accettare''. L'Onu potrebbe bloccare lo sterminio del popolo palestinese, ha gli strumenti anche militari per farlo; un intervento legittimo nella situazione inedita e straordinaria che si è creata in Palestina. Ma i paesi imperialisti sono contrari e stanno tutti fermi a coprire i massacri di Sharon.

18 aprile 2002