In un'intervista a "Liberazione'' rilasciata alla luxemburghiana trotzkista Gagliardi
Il maestro trotzkista Ingrao benedice l'addio al comunismo dell'allievo Bertinotti
La recente "svolta'' di Bertinotti per la non violenza, giunta mentre è in pieno svolgimento la sua campagna revisionistica contro l'esperienza storica del socialismo e la Resistenza (vedi il convegno che ha voluto tenere a Venezia sulla questione delle foibe), sta provocando un acceso dibattito nella base del PRC, una larga parte della quale non ha affatto mandato giù la decisa sterzata a destra imposta dal segretario, come emerge anche dalle lettere pubblicate su "Liberazione'' malgrado i filtri di Curzi.
Per questo a dar man forte al leader di Rifondazione stanno accorrendo, con interventi pubblicati con grande rilievo su "Liberazione'', svariati esponenti della "sinistra'' borghese nelle sue varie correnti, cattolica, socialdemocratica, no-global ecc., come per esempio Raniero La Valle, il presidente nazionale dell'Arci Tom Benetollo e il direttore di "Carta'' Pierluigi Sullo, tutti di compiaciuta esaltazione della "svolta'' pacifista e anticomunista di Bertinotti. Il primo ad aprire le danze è stato però il leader storico dei trotzkisti italiani, Pietro Ingrao, con un'intervista rilasciata ad un'altra trotzkista, la luxemburghiana Rina Gagliardi, e pubblicata sul quotidiano del PRC il 7 gennaio scorso.
In questa lunga intervista, accortamente imbeccato dalla Gagliardi che gli serviva domande ben confezionate allo scopo, Ingrao dà la sua personale benedizione alla "svolta'' non violenta e anticomunista del suo allievo Bertinotti, pur concedendosi, da vecchio trotzkista navigato, qualche "perplessità'' per coprirsi a sinistra, più che altro riguardo all'uso della violenza da parte dei popoli aggrediti dall'imperialismo (Iraq, Afghanistan, Palestina ecc.).
Ma al di là di questo dubbio amletico il suo schieramento a favore delle ultime uscite del suo allievo, riassunte nell'intervento di chiusura al convegno di Venezia sulle foibe, è stato netto. è utile richiamare sinteticamente alcune tra le tante tesi revisionistiche sostenute da Bertinotti in quell'intervento: nel dopoguerra sarebbe stata fatta dai comunisti un'"operazione di angelizzazione'' della guerra partigiana. Le foibe sarebbero in ultima analisi un'espressione dello Stalinismo, anzi del Leninismo, visto che il leader del PRC le fa derivare da una "volontà politica organizzata legata ad una storica idea di conquista del potere, di costruzione dello Stato attraverso l'annientamento dei nemici''. Non è vero che il terrorismo è un "derivato'' della guerra imperialista, essi sono equivalenti. Nel '900 "noi abbiamo perso. Il massimo di radicalità oggi si può esprimere solo con la non violenza''.
Tutto ciò non solo non scandalizza minimamente il suo vecchio maestro trotzkista, ma è da lui vivamente apprezzato, tant'è che alla domanda diretta della Gagliardi: "Che cosa ti ha più interessato e stimolato, nel testo di Bertinotti'', Ingrao Risponde: "In generale mi ha colpito il ragionamento che propone sul pacifismo e sulla lotta armata. In questo testo, non c'è solo la netta condanna dello stalinismo, ma qualcosa che va oltre: la capacità di rompere uno schema - anche un immaginario - che era profondamente radicato in tutti noi, nella stessa tradizione leninista. Questo schema è quello della rivoluzione come assalto armato al Palazzo d'inverno, come il momento nel quale scatta la necessità dell'ora x, dell'attacco finale al potere''.
Avrebbe fatto prima a dire: mi ha colpito (leggi mi è piaciuto) il suo addio al leninismo, e quindi al comunismo che sta ancora scritto, chissà perché a questo punto, nella "ragione sociale'' del PRC, e di conseguenza il suo salto del fosso nel campo del pacifismo borghese e cattolico più classico. Amen. Segue invece la lunga e tormentata discettazione di cui sopra sul tema se sia giusto o no rispondere alla guerra imperialista con la resistenza armata popolare, dubbio che comunque Ingrao evita di sciogliere. In compenso, a scanso di equivoci, ribadisce la giustezza della scelta della non violenza in contrapposizione al leninismo fatta dal suo allievo rivendicando di essere stato in fondo un suo storico precursore, ricordando di aver partecipato alla prima marcia Perugia-Assisi con Capitini e Lombardo Radice: "Continuo a pensare oggi come allora - sottolinea Ingrao - che il pacifismo sia la stella di un nuovo mondo, e mi colpisce che il segretario di un partito, il quale affonda alcune delle sue radici nel leninismo, indichi oggi nitidamente e imperiosamente quella strada pacifica''. Traduzione: il pacifismo è la nuova stella polare. Bertinotti fa bene a buttare il leninismo e sceglierlo. Io lo avevo già fatto diverso tempo fa.
E con questo Ingrao ha messo tutto il suo peso di leader storico del trotzkismo italiano in appoggio alla "svolta'' anticomunista e pacifista di Bertinotti. La quale non è certo frutto di un'improvvisata, ma di un lungo lavorio di preparazione del leader del PRC, come lo fu la svolta della Bolognina del rinnegato Occhetto. Anch'essa fu preparata da una campagna revisionistica di criminalizzazione della Resistenza e dei partigiani: Occhetto utilizzò il cosiddetto "triangolo della morte'', Bertinotti le foibe. La grande borghesia lo sostiene premurosamente in questa sua fuga a destra, come dimostrano il dibattito aperto sul "Corriere della Sera'' dai rinnegati Paolo Mieli e Marco Revelli, a cui ha partecipato lo stesso Bertinotti, e l'articolo che gli ha dedicato "La Repubblica'', ripubblicato con grande evidenza su "Liberazione''. La benedizione del suo maestro Ingrao arriva a questo punto come la classica ciliegina sulla torta.