L'intesa tra sindacati e Confindustria
Non è un buon progetto per il Mezzogiorno
Favorisce solo le imprese e i capitalisti. è all'insegna della concertazione neocorporativa. Non denuncia le cause vere del sottosviluppo del Sud e le responsabilità del governo Berlusconi. Sottovaluta il condizionamento mafioso. Ignora i bisogni sociali delle masse popolari
Questione meridionale e socialismo

Il 2 novembre 2004 Cgil, Cisl e Uil firmarono con la Confindustria di Montezemolo e altre 17 associazioni padronali (tra le quali Confagricoltura, Confcommercio, Abi, Confservizi, Confcooperative e altre ancora) un accordo pomposamente denominato "Progetto Mezzogiorno - i protagonisti dell'economia e del lavoro per lo sviluppo del Mezzogiorno". Un accordo, per la verità, rimasto lettera morta, fin qui, visto che il governo del neoduce Berlusconi non lo ha tenuto minimamente in conto, e anzi, con la Finanziaria 2005 ha proseguito una politica eonomica sociale che invece di sostenere e promuovere il Sud lo penalizza e lo affossa ulteriormente.
Questo accordo è stato rilanciato nei giorni passati dalle tre confederazioni sindacali, che hanno organizzato per il 19 e il 20 gennaio a Roma una riunione dei tre direttivi allargati ai gruppi dirigenti dei sindacati meridionali e con la presenza del vicepresidente della Confindustria, Ettore Artioli nel primo giorno e un'assemblea nazionale più ampia con la partecipazione di 5 mila tra quadri e delegati sindacali, nel secondo.
Già nel 2003 i vertici sindacali confederali avevano siglato un accordo con la Confindustria, allora guidata dal berlusconiano D'Amato, "Per lo sviluppo, l'occupazione e la competitività del sistema economico nazionale: priorità condivise in materia di politica per la ricerca, la formazione, le infrastrutture e il Mezzogiorno"; così recitava il titolo. Dove troviamo tanti aspetti analoghi, ripresi e riproposti nel nuovo patto. Come il riferimento agli obiettivi stabiliti dal Consiglio Europeo di Lisbona, tenuto nel marzo del 2000, per le zone svantaggiate e in ritardo di sviluppo, con relativa disponibilità di finanziamento e la creazione dello spazio economico e commerciale euromediterraneo, previsto per il 2010: all'interno dei quali "si deve inserire - si legge - la politica di sviluppo del Mezzogiorno dei prossimi anni, puntando alla chiusura dei principali indicatori di divario (...) tra Mezzogiorno e il resto del Paese". Come la logica capitalista e neoliberista di fondo che mette in primo piano gli interessi delle imprese e pone in funzione e al servizio di esse tutto il resto: privatizzazioni, finanziamenti pubblici, incentivi, agevolazioni fiscali, creditizie e amministrative, investimenti e realizzazione di infrastrutture, innovazione e ricerca, scuola e formazione della "forza lavoro", condizioni contrattuali all'insegna delle flessibilità, della precarietà, e di salari ridotti. E per quanto si trattasse di un accordo appoggiato da una Confindustria schiacciata sulle posizioni del governo, quindi assolutamente non condivisibile e da respingere, anch'esso è rimasto lettera morta; visto che anche nella Finanziaria 2004 Berlusconi e l'allora ministro dell'Economia Tremonti tagliarono la spesa pubblica e non fecero nulla per aiutare lo sviluppo delle regioni meridionali.
Nell'intesa perorata da Luca Cordero di Montezemolo e dai segretari sindacali Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti, insieme a tante analogie con quella precedente, c'è un rilancio alla grande del sistema di concertazione di stampo neocorporativo, sperimentato negli anni passati e con gravi danni per i lavoratori, col protocollo sulla "politica dei reditti" del luglio '93; un metodo questo che tanto piace anche a Ciampi, rilanciato nel suo recente viaggio a Caltanissetta e Enna, che sembra guardare a un prossimo governo di "centro-sinistra" più che all'attuale dal momento che Berlusconi non sopporta nessun condizionamento e nessuna obiezione dei sindacati dai quali vorrebbe solo l'assenso a decisioni già confezionate.

La questione meridionale
Parlare del Mezzogiorno e impegnarsi per colmare il suo sottosviluppo è importante e si deve. Bisogna però vedere in che modo, con quali obiettivi, mezzi e scopi, con quale politica e rivendicazioni, perché o si fanno gli interessi delle larghe masse popolari oppure quelli della borghesia, compresa quella mafiosa. L'intesa Montezemolo-Epifani-Pezzotta-Angeletti a noi non pare un buon progetto per il Mezzogiorno in quanto: favorisce solo le imprese; è un'intesa all'insegna della concertazione neocorporativa; non denuncia le cause vere del sottosviluppo del Sud e le responsabilità del governo Berlusconi; sottovaluta il condizionamento mafioso; ignora, o comunque li pone in modo subordinato, i bisogni sociali delle masse. I capitoli del documento "Progetto Mezzogiorno" per la maggior parte ruotano attorno alla competitività dell'impresa, all'attrazione degli investimenti, alla valorizzazione delle risorse, alla fiscalità di vantaggio e alla revisione degli incentivi, al credito alle imprese, a un piano di ricerca e innovazione, all'adeguamento delle infrastrutture.
Che si torni a parlare di Mezzogiorno come "grande questione nazionale ed europea" non può che essere valutato di per sé positivamente. In effetti c'è un gran bisogno di riportare in cima al dibattito e alla mobilitazione quella che più correttamente noi marxisti-leninisti chiamiamo la prima questione nazionale.
Sì perché l'annosa e ultracentenaria Questione meridionale non è meno grave del passato, anzi! Non ha avuto una qualche soluzione che possa dirsi minimamente positiva. è pur vero che il Mezzogiorno non è un tutto omogeneo, nel senso che vi sono zone che hanno raggiunto un grado di sviluppo e condizioni di vita migliori, rispetto ad altre, che comunque sono la maggioranza, rimaste sottosviluppate e povere. In ogni caso è innegabile riconoscere la permanenza, se non l'ampliamento, del divario complessivo economico, sociale, infrastrutturale, occupazionale, di condizioni di vita, di lavoro, di studio, di cura tra Nord e Sud. Non è il caso di riportare cifre, ma tutti i dati dell'Istat e dello Svimez riguardanti la produzione del Pil, la presenza di strutture industriali, la rete dei servizi pubblici, tra cui quelli idrici ed elettrici, le vie di comunicazione, i trasporti, il reddito procapite, il tasso di occupazione e di disoccupazione, ecc., confermano questa amara realtà. E col governo Berlusconi, torniamo a denunciarlo, la situazione è peggiorata notevolmente. Infatti, dopo un periodo di relativa, modesta, crescita nel periodo 1996-2001, il Pil nel Mezzogiorno ha subìto una nuova contrazione. Non solo, ha preso avvio anche una pericolosissima fase di deindustrializzazione, vedi la crisi della Fiat di Termini Imerese, dell'Enichem a Gela, della St-Microelettronics di Catania e delle acciaierie ThyssenKrupp, anche se queste si trovano in Umbria, a Terni, per citare i casi più eclatanti, mentre i livelli del lavoro "nero" e della disoccupazione, specie giovanile, sono rimasti altissimi e quelli della povertà hanno ripreso a crescere paurosamente.
Ma non è che con i governi di "centro-sinistra" la situazione fosse molto diversa. La strumentazione da essi attivata, quali i Patti territoriali (231), i contratti d'Area (11) e i Pit (oltre 130) che dovevano rappresentare il motore dello sviluppo, non ha modificato sostanzialmente la Questione meridionale.

I fondi europei per le zone svantaggiate
Nel documento vengono richiamate le decisioni prese in sede Ue nel 1999 a Berlino e nel 2000 a Lisbona in relazione ai fondi strutturali e di coesione per finanziare nel periodo 2000-2006 programmi di sviluppo negli Stati membri che hanno un prodotto interno lordo inferiore alla media comunitaria. Fondi finalizzati a perseguire tre obiettivi, ovvero, promuovere: 1) lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni con ritardi nello sviluppo con un Pil procapite inferiore al 75% della media comunitaria; 2) la riconversione economica e sociale delle aree di crisi nei settori industriale e dei servizi, delle zone rurali in declino, delle aree urbane in difficoltà e delle zone depresse che dipendono dalla pesca; 3) l'adeguamento e l'ammodernamento delle politiche e dei sistemi di istruzione, formazione ed occupazione.
Ne aveva e ne ha ancora diritto, insieme a Spagna, Irlanda, Grecia e Portogallo, anche l'Italia, segnatamente le regioni meridionali Puglia, Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna; più l'Abruzzo per gli impegni segnalati nell'obiettivo n.2. I fondi per il Sud d'Italia stanziati allora nel "Quadro Comunitario di Sostegno" (QCS) ammontavano a ben 50.826 milioni di euro (oltre 98 mila miliardi di vecchie lire). Fondi che, nelle intenzioni della Ue, dovevano essere impiegati per la creazione di reti e servizi efficienti nei rifiuti, nell'acqua e nell'energia; per la creazione di nuove opportunità imprenditoriali; per contrastare l'alto tasso di disoccupazione; per irrobustire il tessuto produttivo, per favorire l'innovazione tecnologica, soprattutto nelle piccole e medie imprese; per creare condizioni economiche e amministrative e sociali adatte alla localizzazione di nuove iniziative; per aumentare la competitività e la produttività strutturale dei sistemi economici locali agendo sul sistema dei trasporti, sicurezza e sulla diffusione delle nuove tecnologie informatiche e della comunicazione.
Questi scopi sono poi stati sintetizzati in Programmi operativi nazionali (Pon), rimasti prevalentemente sulla carta e riguardanti la ricerca scientifica, lo sviluppo tecnologico e la formazione di alto livello, l'inclusione scolastica e l'integrazione sociale, la realizzazione di una rete integrata di trasporti (ferrovie, mobilità aree metropolitane, aviazione civile), lo sviluppo economico e sociale, il sostegno complessivo per lo sviluppo imprenditoriale locale, il potenziamento della sicurezza aumentando l'efficienza della magistratura e delle forze di polizia.

Le tre priorità indicate nell'accordo
Siamo nel 2005 e di questi fondi europei sono stati utilizzati solo una parte minoritaria per finanziare progetti frammentari e disomogenei, magari gestiti dalla mafia, senza affrontare né risolvere alcun problema strutturale del Mezzogiorno. Ciò a ulteriore dimostrazione che non c'è una vera volontà politica di aggredire e vincere la Questione meridionale. Le associazioni padronali e i sindacati confederali temono di perdere o di vedere ridimensionati i suddetti fondi europei per lo sviluppo, in vista del processo di allargamento della Ue, in parte già avvenuto, a 25 paesi e al conseguente ampliamento delle regioni (dove vivono 116 milioni di abitanti, pari al 25% della popolazione) che ne hanno diritto per il periodo di programmazione 2007-2013.
Non ci convincono, le consideriamo limitate, insufficienti e al servizio dei profitti capitalistici le tre priorità strategiche indicate, cioè il consolidamento del tessuto imprenditoriale aperto alla innovazione e alla competizione; l'attrazione di nuovi investimenti nazionali ed esteri, magari con la flessibilità e bassi salari; la valorizzazione delle specificità produttive, culturali e ambientali del Mezzogiorno, in pratica i settori dell'agroalimentare e del turismo. Priorità da perseguire, è specificato, con la fiscalità di vantaggio, sull'esempio di quanto fatto in Irlanda, che riduce fortemente l'Irap, cioè la tassazione sul reddito da capitale, in relazione a nuovi investimenti e incremento della base occupazionale; la semplificazione e una più specifica missione dell'erogazione degli incentivi alle imprese, come quelli previsti nella legge 488/92. Da perseguire inoltre, accelerando la realizzazione delle grandi opere infrastrutturali (Corridoio Berlino-Messina passando da Verona e Napoli; autostrade del Mare), prevedendo opere di connessione alla costruzione del Ponte di Messina, data per scontata, rivendicando nuovi e complementari investimenti per la difesa del suolo, la disponibilità e l'utilizzo dell'acqua, la fornitura di energia, la qualità del trasporto e la raccolta e il trattamento dei rifiuti attraverso la costruzione di inceneritori inquinanti e dannosi per la salute, come quelli che le masse della Campania stanno contestando duramente.
Un altro modo previsto nell'intesa per finanziare le imprese è quello legato alla ricerca e all'innovazione con il credito d'imposta pari al 10% delle spese totali, l'eliminazione del costo del personale delle imprese addetto alla ricerca dalla base imponibile Irap, la fiscalizzazione degli oneri sociali per gli addetti alla ricerca per le imprese in avvio.

L'analisi e la linea del documento
Lo sviluppo immaginato nel documento Confindustria e sindacati, insomma, poggia essenzialmente sui finanziamenti pubblici (ordinari, straordinari, europei, nazionali), sul sostegno alle imprese private per i più svariati motivi, nuova allocazione, innovazione, competitività alle quali viene affidata la missione di consolidare il tessuto produttivo e costruire le infrastrutture. Poggia su un ruolo dello Stato limitato a erogatore di fondi, programmatore e committente di lavori pubblici. Non si prende nemmeno in considerazione la messa in campo delle società e delle aziende a partecipazione statale per realizzare l'industrializzazione e la modernizzazione del Mezzogiorno. Poggia su un ruolo dei sindacati cogestionario e, in definitiva, subordinato agli interessi dei padroni grandi o piccoli che siano. Infatti, non c'è quasi traccia dei bisogni sociali della masse popolari, non ci sono rivendicazioni per la loro soluzione. Al massimo si accenna a un generico aumento dell'occupazione, a una generica crescità della scolarità. Ma per quanto riguarda il potere d'acquisto di salari e pensioni, i servizi sociali, la sanità, l'assistenza previdenziale, la lotta alla povertà silenzio totale.
Nel documento Confidustria-sindacati non c'è, e si comprende perché, nessun accenno alle ragioni di fondo storiche che non hanno permesso al Sud di avere una struttura economica e sociale al pari di quella esistente al Nord d'Italia. Come avrebbero potuto gli industriali, che fanno parte della classe dominante borghese, accusare il sistema capitalistico, proprio loro che pur di ottenere il massimo profitto non si sono curati di creare uno squilibrio e una diseguaglianza territoriali come quelli di cui soffre il nostro Mezzogiorno? La critica alla politica economica e meridionale del governo Berlusconi è appena sussurrata e limitata ai tagli ai finanziamenti e agli incentivi alle aziende. C'è poi una grandissima sottovalutazione della presenza, della potenza e del condizionamento esercitato dalle varie mafie ("Cosa nostra" in Sicilia, la 'ndrangheta in Calabria, la camorra in Campania, la Sacra corona in Puglia) che, per dirne una, già oggi con la complicità di amministratori e di imprenditori collusi può saccheggiare gran parte dei fondi previsti dalla legge 488. Secondo il procuratore nazionale antimafia, Pier Luigi Vigna, le varie mafie, con le loro attività criminali fatturano ogni anno non meno di 100 miliardi di euro. Si tratta di attività criminali palesemente illecite (smercio della droga e delle armi, pizzo, ecc.), e di iniziative economiche. apparentemente legali messe su con il riciclaggio del denaro "sporco". Il loro controllo in certi settori produttivi, specie quello edile e degli appalti pubblici, è pressoché totale. Ma anche qui sarebbe stato troppo pretendere una lotta conseguente dei padroni poiché (almeno una parte di essi) con la mafia ci hanno fatto sempre affari.

La nostra proposta
Noi critichiamo questo accordo, perché lo riteniamo in parte sbagliato, in parte insufficiente e comunque conforme al sistema capitalistico e ai suoi interessi che perpetua la Questione meridionale. Non abbiamo alcuna fiducia che tramite esso si possano realizzare nemmeno gli obiettivi stabiliti dalla Ue a Berlino e Lisbona. Come quello di portare, entro i prossimi 5 anni, il tasso di occupazione al 70% della popolazione. Noi pensiamo che occorra un'altra linea, un'altra piattaforma rivendicativa e soprattutto un altro modo di perseguire gli obiettivi, non concertativo, non cogestionario, non insieme alla controparte padronale, non delegando al parlamentarismo borghese ma in modo vertenziale, facendo asse sulla lotta di classe, facendo affidamento sulla mobilitazione delle larghe masse popolari meridionali interessate.
Quando parliamo di piattaforma rivendicativa diversa pensiamo alla realizzazione di una struttura economica simile a quella del Centro-Nord, attraverso l'impegno prioritario e determinante del governo nazionale, attraverso la nazionalizzazione e l'utilizzazione delle grandi aziende produttive, dei servizi e del credito, attraverso adeguati finanziamenti pubblici mirati allo sviluppo industriale e tecnologico, e il rilancio dell'agricoltura e del turismo, finanziamenti che devono essere controllati dalle masse meridionali, alle quali deve spettare l'ultima parola anche riguardo ai progetti. Deve essere cancellata la megaopera speculativa del Ponte di Messina costosa, inutile, pericolosa e dannosa per l'ambiente. Gli ingenti finanziamenti previsti dovrebbero essere utilizzati per modernizzare i trasporti ferroviari e marittimi pubblici di Calabria e Sicilia. Così come i finanziamenti europei di oltre 50 milioni di euro per lo sviluppo dovrebbero essere utilizzati sul serio e per intero per la soluzione di problemi annosi come quello idrico, lo smaltimento dei rifiuti, il risanamento delle periferie e dell'ambiente, la costruzione di una fitta rete di servizi pubblici.
La parità col Nord non deve avvenire solo sul piano economico e occupazionale ma anche su quello sociale, su scuola, università, sanità e servizi pubblici, culturali e sportivi
In questo contesto avversiamo ogni federalismo, sia quello sostenuto dal "centro-destra", sia quello sostenuto dal "centro-sinistra", che finirebbe per accentuare il divario economico Nord e Sud.
Per realizzare questi obiettivi concretamente è necessario lottare contro il governo del neoduce Berlusconi, che va buttato giù dalla piazza. è necessario creare le istituzioni rappresentative delle masse costituite dalle Assemblee popolari e dai Comitati popolari basati sulla democrazia diretta, e astenersi alle elezioni. è necessario combattere contro i capitalisti e la mafia. Tuttavia è ormai provato che la Questione meriodionale non la si risolve in modo stabile e soddisfacente nel capitalismo. è provato che solo col socialismo è possibile costruire un'economia e uno Stato che sopprimano la proprietà privata dei mezzi di produzione, aboliscano lo sfruttamento dell'uomo su l'uomo, mirino al bene collettivo del popolo, mettano in essere la programmazione degli investimenti e degli interventi economici, superino quindi gli squilibri territoriali.
Proprio per questo il PMLI ha sempre inquadrato la risoluzione del sottosviluppo del Mezzogiorno nella battaglia politica più ampia per l'Italia unita, rossa e socialista.

9 febbraio 2005