L'Onu condanna Israele, l'Italia si astiene
FALLITA LA PACE IMPOSTA DA CLINTON A BARAK E ARAFAT. L'AGGRESSIONE IMPERIALISTA SIONISTA NON FERMA L'INTIFADA
Il vertice della Lega araba "addita al mondo i crimini contro i palestinesi'' dei boia di Tel Aviv. Libia, Arabia Saudita e Siria chiedono la rottura delle relazioni con Israele.
La terza settimana dell'intifada, della rivolta palestinese nei territori occupati e degli arabi d'Israele, non ci doveva essere secondo quanto concordato nel vertice di Sharm el Sheikh del 16 e 17 ottobre. E invece la pace imposta nel vertice egiziano da Clinton a Barak e Arafat è fallita, l'intifada è proseguita senza soste sfidando la repressione imperialista sionista. Le manifestazioni di piazza dei palestinesi e gli scontri con l'esercito di Tel Aviv sono proseguiti durante e dopo il vertice senza soluzione di continuità, fino a quelli del 23 ottobre nelle quali sono morti altri 4 dimostranti, di cui due ragazzi di 15 e 17 anni; finora i palestinesi uccisi dai soldati sionisti sono oltre 190, circa 7.000 i feriti.

L'ACCORDO DI SHARM EL SHEIKH
Al vertice egiziano del 16 ottobre, tenuto sotto la regia di Clinton, erano presenti, oltre a Barak e Arafat, l'egiziano Mubarak, il re giordano Abdullah, il segretario dell'Onu Annan e il responsabile della politica estera e di sicurezza della Ue Solana. Dopo 28 ore di colloqui è stato Clinton a esporre a voce gli impegni assunti dalle due parti sulla immediata cessazione degli scontri, sul varo di una commissione d'inchiesta istituita dagli Usa con israeliani e palestinesi e l'avvio di una nuova consultazione da parte degli Usa per riprendere i negoziati di pace. Clinton affermava che "dovranno essere ripristinati legge ed ordine e dovranno essere ridispiegate le forze ed eliminati i punti di frizione, migliorando la sicurezza e la cooperazione''. Fonti israeliane, smentite dagli uomini di Arafat, hanno parlato anche di un'appendice segreta elaborata dal capo della Cia Tennet che prevederebbe l'impegno dell'autorità palestinese a frenare le attività di Tanzim (la milizia di Al Fatah), di arrestare gli attivisti islamici di Hamas liberati nei giorni scorsi e a riattivare la cooperazione fra gli organismi di sicurezza sotto la supervisione della Cia.
Clinton affermava che ci sarebbero volute 48 ore per far cessare gli scontri. Da Gaza partiva un comunicato di Arafat nel quale si affermava che "l'Anp si impegna ad applicare il testo della dichiarazione finale del vertice di Sharm el Sheikh e a riportare la calma nei Territori''. Dove intanto a Ramallah, Nablus, Jenin e Betlemme i soldati israeliani sparavano contro i dimostranti palestinesi. Non erano infatti passate nemmeno due ore dall'annuncio dell'intesa al vertice egiziano che le strade di molte città della Cisgiordania e di Gaza si riempivano di dimostranti che gridavano "Intifada, Intifada'', "moriremo per Gerusalemme'', "Palestina libera'', "non consegneremo mai le armi''.
Altrettanto chiare erano le parole contro il vertice da parte di Marwan Barghouti, il segretario di Tanzim: "noi continueremo la nostra battaglia. A Sharm el Sheikh non è stato risolto il problema di Gerusalemme. Ricordiamoci che tutto questo spargimento di sangue è iniziato dopo la salita di Sharon sulla spianata del Tempio, dopo l'uccisione a sangue freddo della nostra gente che protestava. Ma a Sharm non si è discusso di questo. Non si è discusso neppure della commissione d'inchiesta internazionale. Si è creato un comitato a cui parteciperà anche Israele e questo non ci va bene. Non abbiamo certamente pagato il tributo di sangue di oltre cento morti per ottenere in cambio il ritiro dei carri armati israeliani di cento metri''. "Questo summit - ha proseguito Barghouti - non ha toccato neppure uno dei punti all'origine della nuova Intifada. Io quindi lo considero un fallimento. Non si è affrontato neppure il problema principale, ovvero l'occupazione da parte di Israele, del suo esercito, dei suoi coloni, dei nostri territori. Fino a quando non si risolveranno tutti i problemi all'origine della nuova Intifada, e soprattutto la questione della sovranità dello Stato palestinese, la nostra lotta non si fermerà''. "Nessuno può pensare di fermare la resistenza popolare'', ha concluso Barghouti affermando che "noi non consegneremo mai le armi che ci servono per difenderci dalle aggressioni israeliane''.
Dello stesso tono le dichiarazioni del leader di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin : "quest'accordo non ci vincola perché è stato imposto dall'America e da Israele al popolo palestinese e non rappresenta le rivendicazioni del nostro popolo. Noi continueremo a resistere all'occupazione''.
L'intifada proseguiva nei giorni successivi: ancora decine i palestinesi uccisi dal fuoco dell'esercito imperialista sionista che in molte circostanze interveniva con carri armati e elicotteri per bombardare le case palestinesi. Repressione criminale che veniva di nuovo condannata da organismi dell'Onu.

L'ONU CONDANNA ISRAELE
La prima condanna era espressa dalla Commissione Onu per i diritti civili di Ginevra che il 19 ottobre con 19 voti a favore, 16 contrari e 17 astensioni, approvava la risoluzione presentata dai paesi arabo-islamici e appoggiata da Cina e Cuba. Contrari sono stati i 7 paesi dell'Unione europea, fra cui l'Italia, con diritto di voto alla Commissione ginevrina, composta da rappresentanti di 53 paesi. Hanno votato contro anche Stati Uniti, Canada, Giappone e diversi paesi dell'America Latina. Fra gli astenuti la Russia. La risoluzione approvata accusa le "forze di occupazione israeliane'' di "atti che costituiscono crimini di guerra e crimini contro l'umanità'' e di "diffuse, sistematiche e grossolane violazioni dei diritti umani'' e chiede all'Alto Commissario per i diritti umani, l'irlandese Mary Robinson, di mettere rapidamente in piedi una commissione di inchiesta sulla Palestina.
Un simile schieramento si è ripetuto due giorni dopo, il 21 ottobre, all'Assemblea generale dell'Onu riunita per discutere una risoluzione presentata dall'osservatore palestinese all'Onu, Nasser al Kidwa, e appoggiata dai 22 paesi del gruppa arabo e dai 114 dei non allineati. Il documento, passato con 92 voti favorevoli, 6 contrari e 46 astenuti, condanna Tel Aviv "per l'uso eccessivo della forza''; sollecita le parti a cessare immediatamente le violenze e ad attuare gli accordi del vertice di Sharm el Sheikh; chiede la creazione di una commissione d'inchiesta per accertare le responsabilità nelle violenze e denuncia che "le colonie israeliane nei Territori occupati, Gerusalemme inclusa, sono illegali e costituiscono un ostacolo alla pace''.
Tanto è bastato per unire accanto allo scontato voto contrario degli Usa l'astensione di diversi paesi europei che avrebbero voluto un testo ancora più ammorbidito verso Israele. Fallita la mediazione, al momento del voto, Italia, Gran Bretagna, Germania, Olanda, Svezia e Danimarca si sono astenute mentre gli altri paesi europei hanno votato a favore. Il rappresentante italiano ha motivato l'astensione spiegando che nel testo mancava la condanna della violenza "da entrambe le parti (!)''.
Il giorno precedente Sergio Vento, rappresentante italiano all'Onu, aveva espresso ben altre opinioni affermando in un incontro con la stampa che "tutti sanno che Israele nella prima settimana di scontri stava perdendo la guerra dei media. è innegabile che la distruzione della tomba di Giuseppe prima e il linciaggio dei due soldati a Ramallah dopo hanno ristabilito l'equilibrio dal punto di vista mediatico. E l'equilibrio oggi è tutto nell'interesse di Israele, basta leggere i giornali''. Ha quindi definito "imprudente'', per non dire voluto, il ritiro della protezione della tomba a Nablus e l'invio dei soldati dentro Ramallah deciso da Tel Aviv per pareggiare la "guerra dei mezzi di informazione che è ormai più importante delle guerre militari''. Ministero degli Esteri e governo avevano subito sconfessato le dichiarazioni di Vento e pareggiato il tiro con la posizione filosionista all'Onu, in barba al sostegno dei diritti del popolo palestinese.

LA CONDANNA DELLA LEGA ARABA
Una denuncia dei crimini contro i palestinesi da parte dello Stato ebraico è uscita anche dal vertice della Lega araba riunito il 21 e 22 ottobre al Cairo. La risoluzione finale chiede il giudizio contro "i criminali di guerra israeliani che hanno commesso massacri contro il popolo palestinese''. I rappresentanti dei 22 paesi arabi ribadiscono tra l'altro il loro sostegno al diritto dei palestinesi di avere uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme e decidono di creare un fondo di solidarietà di un miliardo di dollari; affermano il loro impegno "a fronteggiare i tentativi di Israele di infiltrarsi nel mondo arabo'', invitano a "non allacciare alcun rapporto con Israele'' e affermano che è per responsabilità di Israele che i paesi arabi potranno prendere decisioni "fino alla rottura dei rapporti''.
La rottura delle relazioni con Tel Aviv era stata chiesta dalla Libia, che non ha partecipato al vertice perché non esplicitamente richiamata nel documento finale per l'opposizione di Egitto e Giordania, gli unici con la Mauritania fra i paesi arabi che hanno normali rapporti con Israele. Marocco, Tunisia, Qatar che hanno con Israele rapporti diplomatici a livello di legazioni o uffici commerciali li hanno invece interrotti dopo il vertice. A favore della rottura della relazioni si è espressa al Cairo anche l'Arabia Saudita; il principe Abdullah Ibn Abdelaziz ha affermato che di fronte alla incapacità della comunità internazionale di fermare i comportamenti aggressivi di Israele il mondo arabo deve rompere le relazioni con lo Stato ebraico. Il presidente siriano Bashar el Assad ha affermato che "Israele dovrà pagare il prezzo del sangue versato dai martiri palestinesi''; anche la Siria attraverso il suo ministro degli Esteri nella riunione preparatoria del Cairo aveva chiesto che "per contrastare la politica israeliana di aggressione, quelli che hanno relazioni diplomatiche con Israele devono romperle e tutti i processi di normalizzazione economica devono essere sospesi''. Il vicepremier iracheno Ezzat Ibrahin e il rappresentante del Sudan hanno invocato la "guerra santa'' contro "l'entità sionista'' mentre il presidente yemenita Alì Abdallah Saleh ha definito Israele "un cancro in mezzo al mondo arabo''.