1924 - 21 gennaio - 2005. Gloria eterna al grande maestro del proletariato internazionale nell'81° Anniversario della morte
Lenin - La rivoluzione socialista e il diritto delle nazioni all'autodecisione1
(Tesi)
Il 21 gennaio 1924 moriva prematuramente Lenin, il grande maestro del proletariato internazionale che aveva ereditato, difeso e sviluppato il marxismo e diretto magistralmente con al fianco Stalin la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre portandola al successo e schiudendo una nuova primavera per il proletariato russo e internazionale con la costituzione del primo Stato socialista nel mondo.
Sono trascorsi 81 anni ma noi marxisti-leninisti italiani continuiamo a rendergli omaggio consapevoli, più che mai, dell'attualità del suo pensiero e dei suoi insegnamenti. Un'attualità di cui potranno convincersi e far tesoro i nostri lettori studiando quest'opera, scritta da Lenin nel mezzo del macello imperialista della Prima guerra mondiale, ed esposta sotto forma di Tesi in aspra polemica con le posizioni opportuniste della corrente socialdemocratica solo apparentemente di "sinistra", ispirate alle teorizzazioni di Rosa Luxemburg, (maestra dei trotzkisti Bertinotti, Rina Gagliardi e Vendola) che, opponendosi al diritto delle nazioni all'autodecisione, finivano per sposare le posizioni di destra capitolarde, socialscioviniste e subalterne all'imperialismo della II Internazionale. Posizioni che negavano la teoria leninista del'imperialismo e con ciò spingevano il proletariato nelle braccia delle rispettive borghesie, lo allontanavano dall'internazionalismo proletario e dai compiti della rivoluzione socialista per farlo diventare carne da macello di ciascun predone imperialista.
Il diritto di ciascuna nazione all'autodecisione è semplicemente un diritto democratico-borghese eppure nell'epoca dell'imperialismo, che vede l'estendersi e l'intensificarsi della rapina e delle vessazioni ai danni dei paesi oppressi, tale diritto è stato abbandonato e calpestato dalle borghesie imperialiste e dai loro servi, e tocca a noi marxisti-leninisti sostenerlo e difenderlo, battersi per vederlo riconosciuto proprio perché lo inscriviamo e lo subordiniamo nel quadro più ampio della lotta di classe per l'abbattimento della borghesia, del capitalismo e dell'imperialismo e perché sappiamo che solo per questa strada potremo batterci nella prospettiva storica comunista dell'estinzione del frazionamento del mondo in tanti Stati separati e contrapposti nazionalisticamente gli uni agli altri.
E con le stesse motivazioni di Lenin noi marxisti-leninisti italiani abbiamo difeso e sostenuto (prima, durante e dopo) il diritto del popolo iracheno all'autodecisione contro l'aggressione e l'occupazione militare imperialiste dell'Iraq da parte degli Usa e dei suoi alleati, in particolare battendoci contro l'imperialismo italiano e il governo neofascista Berlusconi. è dovere del proletariato e delle masse popolari italiani combattere questo governo e buttarlo giù se non si vuole che l'internazionalismo proletario rimanga, come dice Lenin, "vuoto e verbale" e nel contempo sostenere fino in fondo in Iraq come in Palestina, in Afghanistan, in Cecenia, e negli altri Paesi oppressi dall'imperialismo: "gli elementi più rivoluzionari dei movimenti democratici borghesi di liberazione nazionale, aiutarli nella loro insurrezione e, se il caso si presenta, nella loro guerra rivoluzionaria contro le potenze imperialiste che li opprimono".
Insomma studiare Lenin, ispirarsi a lui e applicare i suoi insegnamenti è stimolante e indispensabile se vogliamo vincere le battaglie di oggi come lui vinse quella di ieri.
Gloria eterna a Lenin!
Con Lenin per sempre!

1. L'imperialismo, il socialismo e la liberazione delle nazioni oppresse
L'imperialismo è la fase suprema dello sviluppo del capitalismo. Il capitale ha sorpassato nei paesi avanzati i limiti degli Stati nazionali, ha sostituito alla concorrenza il monopolio, creando tutte le premesse oggettive per l'attuazione del socialismo. Perciò nell'Europa occidentale e negli Stati Uniti la lotta rivoluzionaria del proletariato per l'abbattimento dei governi capitalistici e per l'espropriazione della borghesia è all'ordine del giorno. L'imperialismo spinge le masse verso questa lotta, acutizzando in modo straordinario gli antagonismi di classe, peggiorando le condizioni delle masse sia nel campo economico - trust, caroviveri - che in quello politico: il militarismo si sviluppa, le guerre diventano più frequenti, la reazione si rafforza, l'oppressione nazionale e il brigantaggio coloniale si accentuano e si estendono. Il socialismo vittorioso deve necessariamente instaurare la completa democrazia e, quindi, non deve attuare soltanto l'assoluta eguaglianza dei diritti delle nazioni, ma anche riconoscere il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, cioè il diritto alla libera separazione politica. Quei partiti socialisti i quali non dimostrassero mediante tutta la loro attività - sia oggi, sia nel periodo della rivoluzione, sia dopo la vittoria della rivoluzione - che essi liberano le nazioni asservite e basano il loro atteggiamento verso di esse sulla libera unione, - e la libera unione non è che una frase menzognera senza la libertà di separazione, - tali partiti tradirebbero il socialismo.
Naturalmente anche la democrazia è una forma di Stato che deve scomparire quando scomparirà lo Stato. Ma ciò avverrà soltanto col passaggio dal socialismo, definitivamente vittorioso e consolidato, al comunismo completo.

2. La rivoluzione socialista e la lotta per la democrazia
La rivoluzione socialista non è un atto isolato, una battaglia isolata su un solo fronte, ma tutta un'epoca di acuti conflitti di classe, una lunga serie di battaglie su tutti i fronti, cioè su tutte le questioni dell'economia e della politica, battaglie che possono terminare soltanto con l'espropriazione della borghesia. Sarebbe radicalmente errato pensare che la lotta per la democrazia possa distogliere il proletariato dalla rivoluzione socialista, oppure farla dimenticare, oscurarla, ecc. Al contrario, come il socialismo non può essere vittorioso senza attuare una piena democrazia, così il proletariato non può prepararsi alla vittoria sulla borghesia senza condurre in tutti i modi una lotta conseguente e rivoluzionaria per la democrazia.
Un errore non meno grave sarebbe quello di sopprimere un qualche punto del programma democratico, per esempio l'autodecisione delle nazioni, col pretesto della sua "irrealizzabilità" o del suo carattere "illusorio" durante l'imperialismo. L'affermazione che il diritto di autodecisione delle nazioni è irrealizzabile nel quadro del capitalismo può essere concepito o nel senso economico, assoluto, oppure nel senso politico, relativo.
Nel primo caso, essa, dal punto di vista teorico, è radicalmente sbagliata. In primo luogo, in questo senso non sono, per esempio, attuabili, nel quadro del capitalismo, il denaro-lavoro o l'eliminazione delle crisi, ecc. è assolutamente falso che l'autodecisione delle nazioni sia anch'essa irrealizzabile. In secondo luogo, anche il solo esempio della separazione della Norvegia dalla Svezia nel 1905 basta per confutare l'"irrealizzabilità" del diritto di autodecisione in questo senso. In terzo luogo, sarebbe ridicolo negare che, in seguito a un piccolo cambiamento nei reciproci rapporti politici e strategici, per esempio della Germania e dell'Inghilterra, la formazione di nuovi Stati, come uno Stato polacco, indù, ecc., sarebbe completamente "realizzabile" oggi o domani. In quarto luogo, il capitale finanziario, nei suoi tentativi espansionisti, comprerà e corromperà "liberamente" il più libero dei governi democratici e repubblicani e i funzionari elettivi di qualsiasi paese, sia pure "indipendente". Nessuna riforma nel campo della democrazia politica può eliminare il dominio del capitale finanziario, come del capitale in generale, e l'autodecisione si riferisce completamente ed esclusivamente a questo campo. Ma questo dominio del capitale finanziario non distrugge affatto l'importanza della democrazia politica come forma più libera, più ampia e più chiara dell'oppressione di classe e della lotta di classe. Tutti i ragionamenti sulla "irrealizzabilità", in senso economico, di una delle rivendicazioni della democrazia politica in regime capitalistico, si riducono pertanto a una definizione teoricamente errata dei rapporti generali e fondamentali tra il capitalismo e la democrazia politica in generale.
Nel secondo caso questa affermazione è incompleta e imprecisa poiché non soltanto il diritto delle nazioni all'autodecisione, ma tutte le rivendicazioni essenziali della democrazia politica sono "realizzabili" nell'epoca imperialista soltanto in modo incompleto, deformato e in via di rara eccezione (per esempio: la separazione della Norvegia dalla Svezia nel 1905). Anche la rivendicazione della liberazione immediata delle colonie, promossa da tutti i socialdemocratici rivoluzionari è "irrealizzabile" in regime capitalista senza una serie di rivoluzioni. Ma da questo non deriva affatto che la socialdemocrazia dovrebbe rinunciare alla lotta immediata e decisa per tutte queste rivendicazioni (facendolo, farebbe soltanto il giuoco della borghesia e della reazione); deriva appunto, invece, che essa deve formulare e porre tutte queste rivendicazioni in modo rivoluzionario e non riformista, non limitandosi al quadro della legalità borghese, ma spezzandolo; non accontentandosi dei discorsi parlamentari e delle proteste verbali, ma attirando le masse alla lotta attiva, allargando e rinfocolando la lotta per ogni rivendicazione democratica fondamentale sino all'attacco diretto del proletariato contro la borghesia, cioè sino alla rivoluzione socialista che espropria la borghesia. La rivoluzione socialista può divampare non soltanto in seguito a un grande sciopero o a una grande dimostrazione di strada o a una rivolta dovuta alla fame, o in seguito a un ammutinamento militare o a un'insurrezione coloniale, ma anche in seguito a una qualsiasi crisi politica come l'affare Dreyfus, l'incidente di Zabern2 oppure a un referendum sulla questione della separazione di una nazione oppressa, ecc.
Il rafforzamento dell'oppressione nazionale durante l'imperialismo non determina per la socialdemocrazia la rinunzia alla lotta "utopistica" (come viene definita dalla borghesia) per la libertà di separazione delle nazioni, ma determina, al contrario, una più ampia utilizzazione dei conflitti che sorgono anche su questo terreno, come motivi per l'azione di massa, per le azioni rivoluzionarie contro la borghesia.

3. Il significato del diritto di autodecisione e i suoi rapporti con la federazione
Il diritto delle nazioni all'autodecisione non significa altro che il diritto all'indipendenza in senso politico, alla libera separazione politica dalla nazione dominante. Concretamente, questa rivendicazione della democrazia politica significa la piena libertà di agitazione per la separazione e la soluzione di questa questione con un referendum della nazione che si separa. Questa rivendicazione non equivale quindi per nulla alla rivendicazione della separazione, del frazionamento, della formazione di piccoli Stati. Essa è soltanto l'espressione conseguente della lotta contro qualsiasi oppressione nazionale. Quanto più la struttura democratica di uno Stato è vicina alla piena libertà di separazione, tanto più rare e più deboli saranno in pratica le tendenze alla separazione poiché i vantaggi dei grandi Stati sono incontestabili, sia dal punto di vista del progresso economico come da quello degli interessi delle masse, e, inoltre, questi vantaggi crescono sempre più con lo sviluppo del capitalismo. Il riconoscimento del diritto di autodecisione non equivale al riconoscimento della federazione come principio. Si può essere avversari decisi di questo principio e fautori del centralismo democratico, ma preferire la federazione alla disuguaglianza di diritti delle nazioni, quale unica via verso il centralismo democratico. è precisamente da questo punto di vista che Marx, essendo centralista, preferiva perfino la federazione fra l'Irlanda e l'Inghilterra alla sottomissione forzata dell'Irlanda agli inglesi.3
Il fine del socialismo consiste non soltanto nell'abolizione del frazionamento dell'umanità in piccoli Stati e di ogni isolamento delle nazioni, non soltanto nell'avvicinamento delle nazioni, ma anche nella loro fusione. Ed è precisamente per raggiungere questo scopo che noi dobbiamo, da una parte, spiegare alle masse lo spirito reazionario delle idee di Renner e di O. Bauer sulla cosiddetta "autonomia nazionale culturale"4 e, dall'altra, esigere la liberazione delle nazioni oppresse non attraverso declamazioni senza contenuto, attraverso frasi vaghe e generiche, né nella forma di "aggiornamento" della questione sino all'avvento del socialismo, ma sulla base di un programma politico formulato con chiarezza e precisione, un programma che tenga conto in modo particolare dell'ipocrisia e della viltà dei socialisti delle nazioni che ne opprimono altre. Come l'umanità non può giungere all'abolizione delle classi se non attraverso un periodo transitorio di dittatura della classe oppressa, così non può giungere all'inevitabile fusione delle nazioni se non attraverso un periodo transitorio di completa liberazione di tutte le nazioni oppresse, cioè la libertà di separazione.

4. L'impostazione proletaria, rivoluzionaria della questione dell'autodecisione delle nazioni
Non soltanto la rivendicazione dell'autodecisione delle nazioni, ma tutti i punti del nostro programma minimo democratico erano stati prima, già nel XVII e nel XVIII secolo, presentati dalla piccola borghesia. E la piccola borghesia continua ancora oggi, utopisticamente, a presentare tutti questi punti, senza vedere la lotta di classe e il suo acuirsi in regime democratico, credendo nel capitalismo "pacifico". è precisamente questa utopia, l'utopia della unione pacifica delle nazioni con eguali diritti sotto l'imperialismo, che inganna il popolo ed è difesa da kautskiani. In contrapposto a quest'utopia opportunista piccolo-borghese, il programma della socialdemocrazia deve mettere in evidenza la differenziazione delle nazioni in nazioni dominanti e nazioni oppresse, differenziazione fondamentale, essenzialissima ed inevitabile nell'epoca imperialista.
Il proletariato delle nazioni dominanti non può limitarsi a frasi generiche, stereotipate, ripetute da ogni borghese pacifista, contro le annessioni e per l'uguaglianza di diritti delle nazioni in generale. Il proletariato non può eludere col silenzio la questione - particolarmente "spiacevole" per la borghesia imperialista - delle frontiere di uno Stato fondato sull'oppressione nazionale. Il proletariato non può non lottare contro il mantenimento forzato delle nazioni oppresse nei confini di uno Stato, e questo significa appunto lottare per il diritto di autodecisione. Il proletariato deve esigere la libertà di separazione politica delle colonie e delle nazioni oppresse dalla "sua" nazione. Nel caso contrario l'internazionalismo del proletariato resterà vuoto e verbale; tra gli operai della nazione dominante e gli operai della nazione oppressa non sarà possibile né la fiducia, né la solidarietà di classe; l'ipocrisia dei difensori riformisti e kautskiani del diritto di autodecisione, i quali non parlano delle nazionalità oppresse dalla "loro" nazione e violentemente mantenute nei confini del "loro" Stato, non sarà smascherata.
Dall'altro lato, i socialisti delle nazioni oppresse debbono particolarmente difendere e attuare l'unità completa e incondizionata, quella organizzativa compresa, degli operai della nazione oppressa con quelli della nazione dominante. Senza questo non è possibile - date le manovre di ogni specie, i tradimenti e le infamie della borghesia - difendere la politica autonoma del proletariato e la sua solidarietà di classe col proletariato degli altri paesi, poiché la borghesia delle nazioni oppresse trasforma continuamente le parole d'ordine della liberazione nazionale in un inganno per gli operai: nella politica interna esse utilizza queste parole d'ordine per accordi reazionari colla borghesia delle nazioni dominanti (per esempio i polacchi che in Austria e in Russia mercanteggiano con la reazione per opprimere gli ebrei e gli ucraini); nella politica estera tende ad accordarsi con una delle potenze imperialiste fra loro rivali per conseguire i suoi scopi di rapina (la politica dei piccoli Stati nei Balcani, 5 ecc.).
Il fatto che la lotta per la libertà nazionale contro una potenza imperialista può essere utilizzata, in certe condizioni, da un'altra "grande" potenza per i suoi scopi egualmente imperialisti, non può costringere la socialdemocrazia a rinunziare al riconoscimento del diritto di autodecisione delle nazioni, così come i ripetuti casi di utilizzazione, a scopo d'inganno, per esempio nei paesi latini, delle parole d'ordine repubblicane da parte della borghesia per le sue manovre politiche e le sue rapine finanziarie, non possono costringere i socialdemocratici a rinunciare al loro repubblicanesimo*.
* E' inutile dire che respingere il diritto di autodecisione perché da esso deriverebbe la "difesa della patria" è semplicemente ridicolo. Con lo stesso diritto, cioè con la stessa mancanza di serietà, i socialsciovinisti invocano, nel 1914-1916, una qualunque rivendicazione della democrazia (per esempio il suo repubblicanesimo) e una qualsiasi formulazione della lotta contro l'oppressione nazionale per giustificare la "difesa della patria". Il marxismo deduce il riconoscimento della difesa della patria nelle guerre come, ad esempio, quelle della grande rivoluzione francese e di Garibaldi in Europa, e la negazione della difesa della patria nella guerra imperialista del 1914-1916 dall'analisi dei particolari storici concreti di ogni singola guerra e in nessun modo da un qualunque "principio generale" né da un qualunque singolo punto del programma.

5. Marxismo e proudhonismo nella questione nazionale
Contrariamente ai democratici piccolo-borghesi, Marx vide in tutte le rivendicazioni democratiche, senza eccezione, non un assoluto, ma un'espressione storica della lotta delle masse popolari, guidate dalla borghesia, contro il feudalesimo. Non v'è una sola di queste rivendicazioni che non potesse servire e non abbia servito alla borghesia, in certe circostanze, come strumento per ingannare gli operai. Eccettuare, per questo rispetto, una delle rivendicazioni della democrazia, e precisamente il diritto delle nazioni all'autodecisione, e contrapporla a tutte le altre è, dal punto di vista teorico, radicalmente falso. In pratica, il proletariato può conservare la propria autonomia solamente subordinando la sua lotta per tutte le rivendicazioni democratiche, senza escludere la repubblica, alla propria lotta rivoluzionaria per l'abbattimento della borghesia.
D'altra parte, Marx, contrariamente ai proudhoniani che "negavano" la questione nazionale "in nome della rivoluzione sociale", mise in primo piano, tenendo conto anzitutto degli interessi della lotta di classe del proletariato nei paesi avanzati, il principio fondamentale dell'internazionalismo e del socialismo: un popolo che opprime altri popoli non può essere libero6. E precisamente dal punto di vista degli interessi del movimento rivoluzionario degli operai tedeschi, Marx nel 1848 esigeva che la democrazia vittoriosa in Germania proclamasse e realizzasse la libertà dei popoli oppressi dai tedeschi7. E precisamente dal punto di vista degli interessi del movimento rivoluzionario degli operai inglesi, Marx esigeva nel 1869 la separazione dell'Irlanda dall'Inghilterra, aggiungendo: "anche se dopo la separazione potrà venire la federazione" 8. Soltanto ponendo una tale rivendicazione, Marx educava effettivamente gli operai inglesi nello spirito internazionalista. Soltanto in questo modo egli poteva contrapporre agli opportunisti e al riformismo borghese - il quale tuttora, cioè mezzo secolo dopo, non ha ancora attuato la "riforma" irlandese - una soluzione rivoluzionaria di questo compito storico. Soltanto in questo modo Marx, contrariamente agli apologeti del capitale che strepitavano contro il carattere utopistico e l'irrealizzabilità della libertà di separazione delle piccole nazioni e la progressività della concentrazione non soltanto economica ma anche politica, poteva difendere lo spirito progressivo di questa concentrazione non dal punto di vista imperialista, difendere l'avvicinamento tra le nazioni non sulla base della violenza, ma attraverso la libera unione dei proletari di tutti i paesi. Soltanto in questo modo Marx poteva contrapporre al riconoscimento verbale, e spesso ipocrita, dell'uguaglianza di diritti e dell'autodecisione dei popoli l'azione rivoluzionaria delle masse anche nel campo della soluzione delle questioni nazionali. La guerra imperialista del 1914-1916 e l'immensa ipocrisia degli opportunisti e dei kautskiani che essa ha svelato, hanno confermato chiaramente la giustezza di questa politica di Marx, la quale deve essere di esempio per tutti i paesi avanzati, dato che attualmente ciascuno di essi opprime delle nazioni straniere*.
* Spesso si sente dire - per esempio dallo sciovinista tedesco Lensch nei nn. 8 e 9 della rivista Die Glocke - che l'atteggiamento negativo di Marx verso il movimento nazionale di alcuni piccoli popoli, per esempio dei cechi nel 1848, confuta la necessità - dal punto di vista del marxismo - di riconoscere l'autodecisione delle nazioni. Ma questo è falso, perché nel 1848 esistevano dei motivi storici e politici per distinguere le nazioni "reazionarie" da quelle democratiche rivoluzionarie. Marx aveva ragione condannando le prime e sostenendo le seconde. (Crf. Karl Marx-Friedrich Engels, Werke, vol. 6, Berlino, 1959, pp. 270-276, ndt). Il diritto di autodecisione è una delle rivendicazioni della democrazia che, naturalmente, dev'essere subordinata agli interessi generali di quest'ultima. Nel 1948 e negli anni successivi questi interessi generali consistevano in primo luogo nella lotta contro lo zarismo.

6. Tre tipi di paesi in rapporto alla questione dell'autodecisione dei popoli
A questo riguardo bisogna distinguere tre tipi principali di paesi:
Primo. I paesi capitalisti avanzati dell'Europa occidentale e degli Stati Uniti, in cui il movimento nazionale borghese progressivo è terminato da lungo tempo. Ciascuna di queste "grandi" nazioni opprime nazioni straniere nelle colonie e all'interno del paese. I compiti del proletariato delle nazioni dominanti sono qui precisamente identici a quelli che si ponevano nel XIX secolo in Inghilterra rispetto all'Irlanda*.
Secondo. L'Europa orientale: l'Austria, i Balcani e soprattutto la Russia. In questi paesi il XX secolo ha particolarmente sviluppato i movimenti nazionali democratici borghesi e acutizzato la lotta nazionale. Il proletariato non vi può adempiere il compito di condurre a termine la trasformazione democratica borghese così come non può adempiere il compito di appoggiare la rivoluzione socialista negli altri paesi senza difendere il diritto all'autodecisione. Particolarmente difficile ed importante si presenta qui il problema della fusione della lotta di classe degli operai dei paesi dominanti e degli operai dei paesi oppressi.
Terzo. I paesi semicoloniali, come la Cina, la Persia, la Turchia e tutte le colonie, con una popolazione di circa 1.000 milioni di abitanti. In alcuni di questi paesi, i movimenti democratici borghesi sono appena all'inizio, in altri sono ancora lontani dall'essere terminati. I socialisti non soltanto debbono esigere la liberazione immediata, incondizionata, senza indennità delle colonie, - e questa rivendicazione, nella sua espressione politica, non significa altro, precisamente, che il riconoscimento del diritto di autodecisione, - ma debbono sostenere in questi paesi, nel modo più deciso, gli elementi più rivoluzionari dei movimenti democratici borghesi di liberazione nazionale, aiutarli nella loro insurrezione e, se il caso si presenta, nella loro guerra rivoluzionaria contro le potenze imperialiste che li opprimono.
* In alcuni piccoli Stati rimasti fuori della guerra del 1914-1916 - come per esempio l'Olanda, la Svizzera - la borghesia sfrutta largamente la parola d'ordine dell'"autodecisio-ne delle nazioni" per giustificare la partecipazione alla guerra imperialista. Questo è uno dei motivi che spingono i socialdemocratici di tali paesi a negare l'autodecisione. Essi difendono la giusta politica proletaria, vale a dire la negazione della "difesa della patria" nella guerra imperialista adoperando argomenti errati. Ne risulta, dal punto di vista teorico, una deformazione del marxismo, e, in pratica, una ristrettezza sui generis di piccola nazione, l'oblio delle centinaia di milioni di abitanti delle nazioni asservite dalle "grandi" potenze. Il compagno Gorter, nel suo ottimo opuscolo: L'imperialismo, la guerra e la socialdemocrazia, nega erroneamente il principio dell'autodecisione delle nazioni, ma applica giustamente lo stesso principio quando esige immediatamente l'"indipen-denza politica e nazionale" delle Indie olandesi e smaschera gli opportunisti olandesi che rifiutano di promuovere una tale rivendicazione e di lottare per essa.

7. Il socialsciovinismo e l'autodecisione delle nazioni
L'epoca imperialista e la guerra del 1914-1916 hanno posto categoricamente il compito della lotta contro lo sciovinismo e il nazionalismo nei paesi avanzati. Riguardo alla questione dell'autodecisione dei popoli esistono due tendenze principali tra i socialsciovinisti, e cioè gli opportunisti e i kautskiani che abbelliscono la guerra imperialista, la guerra reazionaria, applicandovi il concetto della "difesa della patria".
Da un lato vediamo i servitori più o meno aperti della borghesia i quali difendono le annessioni perché l'imperialismo e l'accentramento politico sarebbero progressivi, e negano il diritto di autodecisione che essi definiscono utopistico, illusorio, piccolo-borghese, ecc. A questa tendenza appartengono Cunow, Parvus, gli ultraopportunisti in Germania, una parte dei fabiani e dei capi tradunionisti in Inghilterra, gli opportunisti Semkovski, Libman, Iurkevic, ecc. in Russia.
Dall'altro lato vediamo i kautskiani, tra i quali si trovano anche Vandervelde, Renaudel e molti pacifisti inglesi, francesi, ecc. Essi sono per l'unità coi primi e in pratica si fondono con loro difendendo in modo puramente verbale e ipocrita il diritto di autodecisione. Essi ritengono "esagerata" ("zu viel verlangt", Kautsky, Neue Zeit, 21 maggio 1915) la rivendicazione della libertà di separazione politica, non difendono la necessità della tattica rivoluzionaria proprio per i socialisti delle nazioni dominanti, e, al contrario, occultano i loro doveri rivoluzionari, giustificano il loro opportunismo, li aiutano ad ingannare il popolo, eludono appunto la questione delle frontiere dello Stato che mantiene violentemente nei suoi confini le nazioni lese nei loro diritti, ecc.
Sia gli uni che gli altri sono degli opportunisti che prostituiscono il marxismo, avendo perduto ogni capacità di comprendere l'importanza teorica e l'attualità pratica della tattica di Marx spiegata loro con l'esempio dell'Irlanda.
Per quanto riguarda la questione delle annessioni, essa è diventata particolarmente attuale in relazione alla guerra. Ma che cos'è un'annessione? è facile convincersi che ogni protesta contro le annessioni o si riduce al riconoscimento dell'autodecisione delle nazioni oppure si basa sulla fraseologia pacifista che difende lo status quo e che è avversa a ogni violenza, anche rivoluzionaria. Una simile fraseologia è radicalmente sbagliata e inconciliabile col marxismo.

8. I compiti concreti del proletariato nel prossimo avvenire
La rivoluzione socialista può incominciare nell'avvenire più prossimo. In questo caso si porrà davanti al proletariato il compito immediato della conquista del potere, dell'espropriazione delle banche e dell'attuazione di altre misure dittatoriali. La borghesia - e specialmente gli intellettuali del tipo dei fabiani e dei kautskiani - si sforzerà in quel momento di frazionare e di frenare la rivoluzione imponendole degli scopi democratici limitati. Se tutte le rivendicazioni puramente democratiche possono - al momento dell'assalto del proletariato contro le basi del potere della borghesia - ostacolare in un certo senso la rivoluzione, la necessità di proclamare e di attuare la libertà di tutti i popoli (cioè il loro diritto all'autodecisione) è altrettanto urgente nella rivoluzione socialista quanto lo fu, ad esempio, per la vittoria della rivoluzione democratica borghese in Germania nel 1848 e in Russia nel 1905.
è possibile tuttavia che passino cinque, dieci o più anni prima dell'inizio della rivoluzione socialista. Sarà allora all'ordine del giorno l'educazione rivoluzionaria delle masse tendente a rendere impossibile l'appartenenza degli sciovinisti e degli opportunisti socialisti al partito operaio e una loro vittoria simile a quella del 1914-1916. I socialisti dovranno spiegare alle masse che i socialisti inglesi i quali non rivendicano la libertà di separazione per le colonie e per l'Irlanda; i socialisti tedeschi i quali non rivendicano la libertà di separazione per le colonie, per gli alsaziani, per i danesi, per i polacchi, non svolgono una propaganda rivoluzionaria immediata e un'azione rivoluzionaria di massa contro l'oppressione nazionale, non approfittano di incidenti come quello di Zabern per la più ampia propaganda illegale tra il proletariato della nazione dominante, per le dimostrazioni di strada e l'azione di massa rivoluzionaria; i socialisti russi i quali non chiedono la libertà di separazione per la Finlandia, per la Polonia, per l'Ucraina, ecc., che questi socialisti agiscono come sciovinisti, come servi delle monarchie imperialiste e della borghesia imperialista, le quali si sono coperte di sangue e di fango.

9. L'atteggiamento della socialdemocrazia russa e polacca e della II Internazionale verso l'autodecisione
I dissensi tra i socialdemocratici rivoluzionari russi e quelli polacchi nella questione dell'autodecisione si manifestarono fin dal 1903, al congresso che approvò il programma del POSDR e che incluse in questo programma, malgrado la protesta della delegazione dei socialdemocratici polacchi, il paragrafo 9 contenente il riconoscimento del diritto delle nazioni all'autodecisione. Dopo di allora, i rappresentanti della socialdemocrazia polacca non hanno ripetuto nemmeno una volta, a nome del loro partito, la proposta di eliminare il paragrafo 9 del programma o di sostituirlo con una qualche altra formulazione.
In Russia - dove almeno il 57 per cento della popolazione (più di 100 milioni) appartiene ai popoli oppressi, dove questi popoli abitano principalmente la periferia, dove una parte di questi popoli è più civile dei grandi russi, dove la struttura politica si distingue particolarmente per il suo carattere barbaro e medioevale, dove la rivoluzione democratica borghese non è ancora compiuta - il riconoscimento del diritto di separazione dalla Russia delle nazioni oppresse dallo zarismo è assolutamente obbligatorio per la socialdemocrazia, in nome dei suoi compiti democratici e socialisti. Il nostro partito, ricostituito nel gennaio 1912, 9 ha approvato nel 1913 una risoluzione che riafferma di diritto all'autodecisione e lo spiega precisamente nel senso concreto sopra indicato. La sfrenatezza dello sciovinismo grande-russo nel 1914-1916, sia in seno alla borghesia sia tra i socialisti opportunisti (Rubanovic, Plekhanov, Nasce Dielo, ecc.), ci stimola ancora più ad insistere su questa rivendicazione e a riconoscere che coloro i quali la negano, in pratica appoggiano lo sciovinismo grande-russo e lo zarismo. Il nostro partito dichiara di declinare nel modo più reciso ogni responsabilità di tale intervento contro il diritto all'autodecisione.
L'ultima formulazione della posizione della socialdemocrazia polacca nella questione nazionale (dichiarazione della socialdemocrazia polacca alla conferenza di Zimmerwald) contiene i concetti seguenti:
Questa dichiarazione stigmatizza il governo tedesco e gli altri governi che considerano le "regioni polacche" come un pegno del futuro giuoco dei compensi, "privando il popolo polacco della possibilità di decidere da sé la propria sorte". "La socialdemocrazia polacca protesta decisamente ed ufficilamente contro la suddivisione e lo spezzettamento di tutto un paese"... Essa condanna i socialisti che hanno delegato agli Hohenzollern... "la causa della liberazione dei popoli oppressi". Esprime la convinzione che soltanto la partecipazione del proletariato rivoluzionario internazionale alla lotta per il socialismo, che si approssima, "spezzerà le catene dell'oppressione nazionale ed annienterà qualsiasi forma di dominio straniero, assicurerà al popolo polacco la possibilità di un largo, libero sviluppo come membro dell'unione dei popoli a parità di diritti". La dichiarazione riconosce che la guerra è "per i polacchi" "doppiamente fratricida" (Bollettino della commissione internazionale socialista, n. 2, 27 settembre 1915, p. 15; traduzione russa nella raccolta L'Internazionale e la guerra, p. 97).
Queste proposizioni, in fondo, non differiscono in nulla dal riconoscimento del diritto delle nazioni all'autodecisione, ma, ancor più della maggior parte dei programmi e risoluzioni della II Internazionale, peccano di imprecisione e di indeterminatezza nelle formulazioni politiche. Ogni tentativo di esprimere questi pensieri in precise formulazioni politiche e di determinare se è possibile applicarle al regime capitalista oppure soltanto a quello socialista, mostrerà con evidenza ancora maggiore l'erroneità della negazione dell'autodecisione delle nazioni da parte dei socialdemocratici polacchi.
La risoluzione del Congresso internazionale socialista di Londra10 del 1896, che riconosce l'autodecisione delle nazioni, deve essere completata in base alle tesi più sopra esposte con le seguenti indicazioni: 1) urgenza particolare di questa rivendicazione durante l'imperialismo; 2) relatività storica e contenuto di classe di tutte le rivendicazioni della democrazia politica, inclusa l'autodecisione; 3) necessità di distinguere i compiti concreti dei socialdemocratici delle nazioni dominanti da quelli dei socialdemocratici delle nazioni oppresse; 4) riconoscimento inconseguente, puramente verbale - e perciò ipocrita nel suo significato politico - dell'autodecisione da parte degli opportunisti e dei kautskiani; 5) identità effettiva con gli sciovinisti di quei socialdemocratici, particolarmente delle grandi potenze (grandi russi, anglo-americani, tedeschi, francesi, italiani, giapponesi, ecc.), che non difendono la libertà di separazione delle colonie e delle nazioni oppresse dalle "loro" nazioni; 6) necessità di subordinare la lotta per questa rivendicazione, come per tutte le rivendicazioni fondamentali della democrazia politica, alla lotta rivoluzionaria diretta e di massa per l'abbattimento dei governi borghesi e per l'instaurazione del socialismo.
Portare nell'Internazionale il punto di vista di alcune piccole nazioni, e particolarmente dei socialdemocratici polacchi, i quali, spinti dalla lotta contro le parole d'ordine nazionaliste della borghesia polacca che ingannano il popolo, sono giunti a negare erroneamente l'autodecisione, sarebbe teoricamente un errore, una sostituzione del proudhonismo al marxismo e, in pratica, sarebbe un appoggio involontario allo sciovinismo più pericoloso e all'opportunismo delle nazioni dominanti.
La redazione del "Sotsial-Demokrat" organo centrale del POSDR
P.S. - Nella Neue Zeit del 3 marzo, recentemente apparsa, Kautsky, per rendere un basso servizio a Hindenburg e a Guglielmo II, tende apertamente la mano cristiana della riconciliazione al rappresentante del più sporco sciovinismo tedesco, Austerlitz, respingendo per l'Austria degli Asburgo la libertà di separazione delle nazioni oppresse, ma riconoscendo questa libertà per la Polonia russa. Sarebbe stato difficile anche solo augurarsi un miglior autosmascheramento del kautskismo!

(Scritto nel gennaio-marzo 1916. Pubblicato nel Vorbote, n. 2, aprile 1916. Pubblicato in russo nel Sbornik Sotsial-Demokrata, n. 1, ottobre 1916).
Lenin, Opere complete, vol. 22, pagg. 147-160.
 

Note
1) Le tesi su "La rivoluzione socialista e il diritto di autodecisione delle nazioni" furono pubbicate sulla rivista teorica della sinistra di Zimmerwald Der Vorbote (Il Precursore), n. 2, aprile 1916. Esse erano dirette contro i socialisti polacchi della sinistra di Zimmerwald (K. Radek ed altri) e contro il gruppo Bukharin-Piatakov che respingevano la parola d'ordine dell'autodecisione. Il punto di vista dei polacchi, esposto nelle "Tesi sull'imperialismo e sull'oppressione nazionale", era il vecchio punto di vista di Rosa Luxemburg e dei suoi seguaci contro i quali Lenin aveva lottato già prima della guerra (si veda l'articolo "Sul diritto delle nazioni all'autodecisione", scritto nel 1914). Stalin, nella lettera alla rivista Proletarskaia Revolutsia, definisce tale posizione nel modo seguente: "Essi svilupparono una teoria semi-menscevica dell'imperialismo, respinsero il prinicpio dell'autodecisione delle nazioni secondo la concezione marxista (fino alla separazione e alla formazione di uno Stato indipendente), respinsero la tesi della grande importanza rivoluzionaria del movimento di liberazione delle colonie e dei paesi oppressi, respinsero la tesi della possibilità del fronte unico fra la rivoluzione proletaria e i movimenti di liberazione nazionale e contrapposero allo schema marxista dei bolscevichi un pasticcio semi-menscevico che era una grave sottovalutazione della questione nazionale e coloniale".
Le tesi dei polacchi le quali, come osservava Stalin, "furono poi riprese da Trotzki e utilizzate come un'arma contro il leninismo" si possono riassumere come segue: 1) L'autodecisione delle nazioni non è possibile nel periodo dell'imperialismo perché l'imperialismo rafforza ed estende inevitabilmente a tutto il mondo l'oppressione sulle nazioni deboli. Quest'oppressione può esser distrutta soltanto colla distruzione dell'imperialismo, cioè colla rivoluzione proletaria. 2) L'autodecisione delle nazioni sarebbe nociva perché farebbe risorgere le frontiere degli Stati già distrutte dall'imperialismo o creerebbe "nuovi pali di confine", ciò che sarebbe soltanto d'intralcio allo sviluppo della lotta solidale delle masse di tutte le nazioni contro l'imperialismo. 3) L'autodecisione non è necessaria nemmeno dopo la rivoluzione socialista, poiché il socialismo distrugge qualsiasi "palo di confine". Perciò, l'unica parola d'ordine contro l'oppressione nazionale può essere quella del rovesciamento dell'imperialismo. I polacchi della sinistra di Zimmerwald sostenevano che il proletariato, fra tutti i movimenti di liberazione nazionale, doveva appoggiare il solo movimento coloniale, giacché la liberazione delle colonie serve direttamente la causa dell'abbattimento dell'imperialismo e della vittoria della rivoluzione socialista nei paesi imperialisti. Le tesi dei polacchi furono pubblicate contemporaneamente a quelle di Lenin nello stesso numero del Vorbote. Il gruppo Bukharin-Piatakov, nel novembre 1915, inviò al CC del partito delle tesi "Sulla parola d'ordine del diritto delle nazioni all'autodecisione", scritte da Bukharin, e che sostenevano lo stesso punto di vista concludendo: "In nessun caso e per nessuna ragione noi non appoggeremo il governo di una grande nazione che soffoca la rivolta e l'indignazione di una nazione oppressa, ma nello stesso tempo, non mobilitiamo le forze proletarie colla parola d'ordine del diritto del `diritto delle nazioni all'autodecisione'. Il nostro compito consiste nel mobilitare le forze del proletariato delle due nazioni (insieme a quello delle altre) con la parola d'ordine della lotta di classe per il Socialismo". Lenin dimostra appunto che questo "estremismo" è un vero e proprio tradimento del marxismo rivoluzionario, e avvicina l'"estrema sinistra" agli opportunisti di destra, ai social-sciovinisti. Egli dimostra che la giusta concezione marxista dell'imperialismo e dei compiti della rivoluzione socialista, e precisamente dei compiti dell'unificazione internazionale del proletariato per questa rivoluzione, esige dal partito proletario il riconoscimento e la difesa del diritto dell'autodecisione. Anche dopo, nel 1917, alla conferenza di aprile, e nel 1919, all'VIII congresso del partito, Lenin lottò nuovamente contro l'"estremismo" di Bukharin e Piatakov nella questione nazionale. La questione fu risolta nell'Urss dalla dittatura proletaria, secondo la linea leninista e questa soluzione ha dimostrato quanto fosse giusta e necessaria la lotta che Lenin condusse e quanto fosse dannoso il punto di vista degli "estremisti".
2) La macchinazione antisemita che aveva portato al processo contro l'ufficiale di Stato Maggiore francese Alfredo Dreyfus e alla sua condanna per spionaggio (1894) e lo scandalo che ne era seguito compromettendo circoli considerevoli della borghesia francese e specialmente la cricca militare, aveva messo in luce la profondità della crisi politica in Francia, la decomposizione dello Stato Maggiore generale francese, la corruzione dei giudici, ecc. Il verdetto aveva suscitato un'ondata di sdegno e una lotta accanita contro i nazionalisti e i reazionari.
L'incidente di Zabern, che alla fine del 1913 attrasse l'attenzione generale, fu una delle manifestazioni più chiare del rafforzarsi del dominio della cricca militare reazionaria in Germania. Nella città di Zabern (Alsazia-Lorena), il luogotenente Forstner, comandante del presidio militare, si abbandonò ad una persecuzione sfrenata della popolazione, provocando l'indignazione generale. Forstner, sostenuto dall'alto comando e dal governo, rispose alle proteste con la repressione e con l'instaurazione di una specie di dittatura militare. Al Reichstag, il cancelliere (Bethmann-Hollweg) e il ministro della guerra tentarono di difendere Forstner, ma la grande maggioranza dei deputati (293 voti contro 52) votò la sfiducia al cancelliere.
3) Crf. Carteggio Marx-Engels, Roma, Edizione Rinascita, 1951, vol. V, p. 92. Si tratta di alcune lettere di Marx a Engels, scritte nel 1867-1869 a proposito della questione dell'indipendenza dell'Irlanda, che Lenin cita nel cap. VIII del suo articolo del 1914: "Sul diritto delle nazioni all'autodecisione".
In una di queste lettere, Marx scriveva: "La classe operaia inglese deve non solo appoggiare gli irlandesi, ma prendere l'iniziativa per lo scioglimento dell'Unione fondata nel 1801 per sostituirla con un'unione libera basata sui principii federativi". E il proletariato inglese doveva attenersi a questa politica "non per simpatia verso gli irlandesi, ma perché essa è necessaria dal punto di vista dei suoi stessi interessi. Se ciò non sarà fatto, il popolo inglese sarà al servizio delle classi dominanti perché dovrà agire assieme a queste contro l'Irlanda".
4) Per la critica delle idee reazionarie di Renner e Bauer
sulla cosiddetta "autonomia nazionale culturale" cfr., Lenin, Opere complete, vol. 19, articolo: Sull'autonomia nazionale culturale; vol. 20, articolo: Osservazioni critiche sulla questione nazionale e G. V. Stalin, Opere complete, Roma, Edizioni Rinascita, 1950, pp. 329-414.
La teoria dell'"autonomia nazionale culturale" afferma che la nazione è basata sulla comunità di "carattere e di cultura" ed esige, in ogni Stato, la divisione della scuola e della cultura in generale, secondo le nazionalità. L'attività culturale non deve competere allo Stato, ma ad associazioni nazionali appositamente organizzate. Gli autori di questa teoria furono gli austro-marxisti Bauer e Renner (Springer). In Russia la rivendicazione dell'autonomia nazionale culturale era stata avanzata dal Bund, e nel periodo 1908-1914 era stata sostenuta dai menscevichi liquidatori.
Lenin dimostra nel modo seguente il carattere reazionario di questa teoria: "Ciò condurrebbe soltanto ad approfondire l'isolamento delle nazioni, mentre noi dobbiamo tendere a riavvicinarle. Ciò porterebbe e uno sviluppo dello sciovinismo, mentre noi dobbiamo tendere all'alleanza più stretta degli operai di tutte le nazioni per una lotta comune contro qualsiasi sciovinismo, contro qualsiasi esclusivismo nazionale, contro qualsiasi nazionalismo. La politica scolastica degli operai di tutte le nazioni è una: libertà della lingua materna, scuola democratica e laica".
"La vera democrazia, colla classe operaia alla testa, innalza la bandiera della completa eguaglianza delle nazioni e della fusione degli operai di tutte le nazioni nella lotta di classe. Partendo da questo punto di vista, noi respingiamo la cosiddetta autonomia culturale nazionale" ("Sulla questione della politica nazionale").
5) Lenin allude alla guerra balcanica del 1912-1913 ed anche alla partecipazione della Serbia, della Bulgaria e della Romania alla guerra imperialista del 1914-1918. La guerra balcanica fu combattuta per la spartizione della Macedonia, che si trovava allora sotto il dominio dei turchi e sulla quale i serbi, i bulgari e i greci avevano delle pretese. La Serbia aveva l'appoggio della Russia dietro la quale vi erano anche l'Inghilterra e la Francia; la Bulgaria, invece, era sostenuta dall'Austria e dalla Germania.
6) Cfr. Friedrich Engels, Ein Volk das andre unterdrückt, kann sich nicht selbst emanzipieren, in Internationales aus dem Volksstat (1871 bis 1875), Berlino, 1957, p. 56.
7) Cfr. Karl Marx-Friedrich Engels, Werke, vol. 5, Berlino, 1959, p. 81.
Dalle colonne della Neue Rheinische Zeitung, Marx e Engels non cessarono mai di protestare energicamente contro la politica delle borghesia tedesca, diretta a soffocare i movimenti nazionali in Italia, in Polonia, ecc. Marx dimostrava che questa politica della borghesia era rovinosa per la rivoluzione, minava la fiducia delle nazioni oppresse nei tedeschi, divideva i popoli in lotta contro la reazione. "I francesi, anche dove giungevano come nemici, sapevano conquistarsi la simpatia e la riconoscenza., I tedeschi non sono ben accolti in nessun luogo; in nessun luogo suscitano la simpatia... Ed è giusto. Una nazione che durante tutto il suo passato si è lasciata adoperare come strumento di oppressione contro tutte le altre nazioni, - una tale nazione deve prima dimostrare di essere divenuta effettivamente rivoluzionaria". "La Germania rivoluzionaria, specialmente nei confronti dei popoli confinanti, deve rinunciare a tutto il suo passato. In una parola colla propria libertà, essa deve proclamare la libertà dei popoli che finora ha oppresso".
8) Cfr. Carteggio Marx-Engels, cit., vol. V, 1951, p. 92.
9) Lenin si riferisce alla conferenza del partito tenutasi a Praga nel 1912, la quale fissò la forma organizzativa che coronò "la politica di rottura con gli opportunisti di tutte le specie, condotta dai bolscevichi russi (1904-1912)" (Stalin). La conferenza elesse un Comitato Centrale puramente bolscevico, che nell'agosto votò la risoluzione, della quale parla Lenin, sulla questione nazionale.
10) La risoluzione sulla questione nazionale votata al Congresso Internazionale Socialista di Londara (1896) dice:
"Il Congresso si pronuncia per la completa autodecisione di tutte le nazioni ed esprime la sua simpatia agli operai di tutti i paesi che attualmente soffrono sotto il giogo del dispotismo militare, nazionale o di altra specie. Il Congresso invita gli operai di tutti questi paesi a unirsi nelle file degli operai coscienti di tutto il mondo ed a lottare insieme con essi per vincere il capitalismo internazionale e realizzare i compiti della socialdemocrazia internazionale".