Avallando la missione di guerra del precedente governo del neoduce Berlusconi
L'Italia interventista di Prodi rimarrà in Afghanistan
PRC, PdCI e Verdi voteranno a favore. Lo stesso farà l'UDC Bertinotti: "I militari svolgono una missione di pace"
Il decreto che rifinanzia la guerra in Afghanistan e le altre 28 missioni militari italiane all'estero è stato approvato all'unanimità dal Consiglio dei ministri il 30 giugno. Con una ventina di minuti di discussione e l'accordo di tutti i partiti che lo compongono, il governo Prodi della "sinistra" borghese ha messo quindi uno stop ai dissensi e alle polemiche nella sua stessa maggioranza, spazzando via le illusioni di un'inversione di rotta rispetto alla politica interventista del suo predecessore Berlusconi, coltivate dai gruppi pacifisti e alimentate per qualche giorno dai mugugni e i "mal di pancia" di alcune frange della "sinistra radicale".
L'Italia resterà in Afghanistan, non ci sarà alcuna exit strategy, l'intervento militare italiano a fianco degli Usa e della Nato nelle missioni Isaf ed "Enduring freedom" continuerà senza limiti temporali, anche se per il momento il governo esclude, almeno a parole, un rafforzamento dell'impegno militare in uomini e mezzi, come richiesto dai vertici militari alleati. Insomma, il nuovo governo rifinanzierà e proseguirà la missione di guerra a Kabul decisa e attuata dal governo Berlusconi, come se niente fosse successo da cinque anni a questa parte.
Sono ben 488 i milioni di euro stanziati per rifinanziare le 29 missioni militari all'estero, tra cui 17,5 per "interventi umanitari" in Afghanistan, mentre i fondi per la "cooperazione" con il governo fantoccio iracheno saliranno da 22,9 a 33,5 milioni di euro. Comunque il decreto non sarà sottoposto ad approvazione del parlamento, e verrà lasciato scadere. Il governo presenterà invece un disegno di legge che, come ha spiegato il ministro della Difesa Parisi, "avrà la precedenza" in parlamento (così il governo potrà contingentare i tempi), che farà diventare automatico il rifinanziamento delle varie missioni in atto, così da evitare il "fastidioso" rito dei rinnovi semestrali con il loro corollario di fibrillazioni nella maggioranza. Ad esso dovrebbe essere allegata una mozione che dovrebbe ridefinire il quadro politico in cui inquadrare le missioni, fornire cioè la foglia di fico per tacitare la "sinistra radicale" e "pacifista". La prima discussione è fissata per il 17 luglio alla Camera, mentre il 25 la discussione si dovrebbe spostare al Senato. Di qui ad allora c'è tutto il tempo perché le segreterie dei partiti dell'Unione trovino una posizione unitaria che consenta al governo di approvare il provvedimento senza dover ricorrere al voto di fiducia.

Il "mal di pancia" della "sinistra radicale"
L'ipotesi del voto di fiducia era stata proposta dalla "sinistra radicale", PRC, PdCI e Verdi, per risolvere il problema di "immagine" che avrebbe comportato per essa il votare il rifinanziamento dopo aver votato no altre 8 volte in passato, in assenza di un "segnale di discontinuità" rispetto alla politica del governo Berlusconi. In teoria si sarebbe potuti arrivare al paradosso della "sinistra radicale" che bocciava il decreto del governo, che passava invece con i voti dell'UDC, la quale aveva annunciato voto favorevole al provvedimento purché messo in votazione senza porre la fiducia. In altre parole il governo Prodi si sarebbe salvato grazie ai voti dell'opposizione, aprendo di fatto la crisi della maggioranza e la strada delle elezioni anticipate. Con il voto di fiducia, invece, PRC, PdCI e Verdi potevano salvare la faccia invocando le "cause di forza maggiore", e votare il governo Prodi pur restando formalmente contrari al decreto di rifinanziamento. Ma questa è una "soluzione" sgradita a Prodi e ai leader di Quercia e Margherita, perché mostrerebbe la debolezza del governo al suo primo scoglio parlamentare, e perché darebbe la sensazione che il governo è in balìa della "sinistra radicale".
A complicare le cose c'era stata anche la fronda di 8 senatori della maggioranza (3 verdi, 1 del PdCI e 4 di Rifondazione trotzkista, Giannini, Grassi, Turigliatto e Malabarba) che annunciavano il loro voto contrario al decreto. Così, mentre continuavano ad agitare la minaccia di una crisi di governo e di elezioni anticipate se la maggioranza non fosse stata compatta sul rifinanziamento delle missioni, le segreterie dei partiti dell'Unione si sono messe in moto per trovare una "soluzione". Dall'alto della sua carica di nuovo cane da guardia delle istituzioni e di "garante" dei patti di governo firmati anche dal PRC è intervenuto l'imbroglione trotzkista Fausto Bertinotti, il quale ha tagliato corto dichiarando in visita a Genova che "i militari svolgono una funzione che la Costituzione prevede sia di pace". Cioè, anche per lui, che del resto aveva già dichiarato che non si può far cadere il governo sull'Afghanistan, l'intervento in quel Paese è una "missione di pace". Come giravolta non c'è male, per uno che si proclama "pacifista integrale" e non violento gandhiano, e che va alle parate militari fingendo di sentirsi a disagio ed esibendo ridicole spillette pacifiste!
Risultato: Verdi e PRC si sono subito rimessi in riga, un po' meno Diliberto, che continua a mugugnare e a chiedere un "segnale di discontinuità", ma assicurando ad ogni piè sospinto che al momento decisivo il suo partito non farà mancare i suoi voti al governo: "non sono impazzito improvvisamente dopo che nel '98 ero capogruppo del PRC e abbiamo avuto una scissione per salvare Prodi", ha ricordato in un'intervista a "l'Unità" del 2 luglio il segretario del PdCI, confermando così il suo opportunismo e il carattere strumentale del suo "dissenso", volto più che altro a fare concorrenza a Rifondazione trotzkista, la cui base è sempre più disgustata e in rivolta. Del resto, che coerenza ci si deve aspettare da uno che non perde occasione per lodare la politica estera di D'Alema come una grande "svolta", un "ottimo lavoro"?

"Compromesso" o capitolazione agli interventisti?
Su che base, poi, sarebbe stato trovato il "compromesso" che ha portato all'approvazione del decreto all'unanimità in Consiglio dei ministri, e che ha già fatto rientrare la protesta di 4 degli 8 senatori "dissidenti"? Secondo i capigruppo del PRC Russo Spena e Migliore si tratterebbe di un compromesso "alto", un "primo passo per un cambiamento radicale della politica estera italiana", perché non ci sarebbe l'aumento dell'impegno militare in Afghanistan chiesto dalla Nato, anzi ci sarebbe una riduzione di circa 400 uomini, l'aumento degli stanziamenti per la "ricostruzione", l'impegno ad accompagnare il provvedimento con una mozione politica, l'istituzione di un "osservatorio" parlamentare permanente sulla situazione a kabul, e così via. Anche il direttore di "Liberazione", Sansonetti, anche la trotzkista "pacifista" Menapace, sono intervenuti più volte su "Liberazione" per far digerire la capitolazione della "sinistra radicale" dell'Unione sul rifinanziamento della guerra in Afghanistan, presentandola ipocritamente come una "prima vittoria" del movimento per la pace, o perlomeno una "riduzione del danno".
In questa martellante campagna di imbonimento attuata dal quotidiano trotzkista si è distinto anche il rinnegato, ex sedicente marxista-leninista e noto provocatore, Walter Peruzzi, con un'intervento su "Liberazione" del 1º luglio in difesa sperticata delle posizioni opportuniste della Menapace e in attacco agli 8 senatori contrari al decreto. Per chi non conosce questo losco individuo ricordiamo che capeggiò l'aggressione squadrista del 1º Maggio 1969 in piazza S. Spirito a Firenze contro un comizio dei pionieri e altri fondatori del PMLI, allora nel PCd'I, e successivamente contro la sede di via dell'Orto. Purtroppo c'è da osservare che anche alcuni dirigenti del movimento pacifista hanno subito accettato come "positivo" il cosiddetto "compromesso", reggendo con ciò il sacco al governo, come hanno fatto per ora l'Arci, Tonio Dall'Olio dell'associazione Libera, e Lisa Clark della Rete Lilliput.
Eppure non mancano di certo le dichiarazioni dei leader del "centro-sinistra" che sbugiardano queste consolanti interpretazioni. Come quella del ministro degli Esteri, il rinnegato D'Alema, che ha ribattuto come in Consiglio dei ministri "non si sia mai nemmeno entrati nel discorso sul numero dei militari". Anche Parisi nega che ci sarà una riduzione permanente del contingente in Afghanistan: i 400 uomini in meno vantati dal PRC? Solo "il risultato oggettivo della normale variabilità del personale ritenuto necessario per lo svolgimento delle attività previste nel semestre considerato", spiega il ministro della Difesa, sottolineando invece che ci vorranno "almeno dieci anni" per sperare di stabilizzare il Paese. Quanto all'"osservatorio", ha chiarito Parisi, sarà composto solo da membri delle commissioni Difesa ed Esteri (niente rappresentanti di Ong e movimenti, dunque), e ci vorranno "almeno tre anni" perché possa dare qualche risultato. Per di più, secondo una denuncia del deputato del PRC Cannavò, il decreto del governo avrebbe spostato 12 milioni di euro dalla missione Isaf a quella "Enduring freedom", detinati a finanziare alcuni mezzi navali inviati dal precedente governo ad affiancare quelli Usa: un rafforzamento di soppiatto dell'impegno militare italiano in Afghanistan, altro che "riduzione del danno" come vorrebbero far credere gli imbroglioni trotzkisti della direzione del PRC.
Si sta verificando puntualmente, insomma, quello che era già perfettamente chiaro e prevedibile ancor prima che il governo Prodi si insediasse, a patto di non tapparsi gli occhi per non vederlo: il "centro-sinistra" avalla e prosegue la politica interventista di Berlusconi, e la "sinistra radicale" si allinea, in ossequio al "principio di maggioranza" da essa firmato, adoperandosi anzi per coprire a sinistra tale politica militarista e guerrafondaia e sdoganarla all'interno del movimento per la pace. Gli stessi 4 senatori della "sinistra" trotzkista del PRC che per ora continuano ad annunciare voto contrario, chiedono in fondo solo di scorporare l'Afghanistan dal decreto che rifinanzia tutte le altre missioni, sulle quali sarebbero quindi pronti a votare opportunisticamente sì.

5 luglio 2006