Dal documento del CC del PMLI, datato 29 ottobre 1983
I TRE ELEMENTI PER REALIZZARE IL GRANDE BALZO DEL PROSELITISMO

Pubblichiamo qui di seguito i tre elementi per realizzare il grande balzo del proselitismo contenuti nel documento del CC del PMLI datato 29 ottobre 1983. Si tratta di indicazioni strategiche e tattiche molto importanti e di viva attualità. (Vedi il primo volume dei documenti del PMLI pagine 91-105).
Ovviamente, giacché il PCI revisionista non esiste più, quello che si dice di esso ora va inteso rivolto al PRC e al PdCI. Un'altra avvertenza: poiché da tempo abbiamo superato la fase della lotta per il sindacato di classe, ora dobbiamo lavorare per costruire dal basso un grande sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori basato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale alle Assemblee generali dei lavoratori. Intanto dobbiamo lavorare, prevalentemente, nella Cgil e far fronte unito con tutte le componenti della sinistra sindacale nella "Rete 28 aprile".
Com'è scritto nel comunicato della 3ª Sessione plenaria del 2° CC del PMLI, il suddetto documento è la relazione del compagno Giovanni Scuderi, Segretario generale del Partito "approvata per acclamazione dalla Sessione che ha deciso di adottarla come documento del Comitato centrale" (idem, p. 154).
Il compagno Scuderi ha rilanciato con forza la linea del grande balzo nell'importante discorso che ha pronunciato a nome del CC del PMLI in occasione della commemorazione di Mao riportato nel numero scorso de "Il Bolscevico".
A ogni militante e istanza e a ogni simpatizzante attivo spetta il compito di studiare, riflettere e agire per realizzare il primo grande balzo del proselitismo, e così aprire le porte al 5° Congresso nazionale del PMLI.

Occorre che il PMLI diventi grande e potente, che compia intanto un grande balzo in avanti per essere più forte e capace dove esiste e presente in nuove città. (...)
La buona volontà e lo spirito di sacrificio non saranno però sufficienti, per realizzare il grande balzo occorre attualmente concentrare tutti i nostri sforzi e tutte le nostre attenzioni su tre elementi.

1°. Elevare la coscienza politica e la qualità dei quadri e dei militanti
II PMLI non è un partito qualsiasi, ma un partito diverso rispetto a tutti quelli esistenti oggi in Italia. Diverso nell'ideologia, diverso nella linea politica e organizzativa, diverso nel programma, nei compiti e negli obiettivi strategici, diverso nella composizione di classe, diverso nei rapporti con le masse, diverso nei modi e nello stile di lavoro. È diverso perché la classe operaia, di cui è l'avanguardia cosciente e organizzata, è diversa dalla borghesia negli interessi di classe, negli ideali e aspirazioni politici, nella morale, nei sentimenti e nella concezione del mondo.
Di conseguenza i quadri e i militanti del PMLI non possono essere che diversi rispetto a quelli degli altri partiti. Non che siano delle persone di un altro mondo, immuni da difetti e deficienze comuni a tutti gli esseri umani; di certo però sono dei tipi particolari, diversi da tutti gli altri, per gli ideali che li animano, per lo spirito di sacrificio e di dedizione alla causa del proletariato e del socialismo che dimostrano, per il disinteresse personale con cui si dedicano al lavoro politico rivoluzionario, per l'impegno che mettono nello studio e nella risoluzione dei problemi delle masse, per il coraggio che hanno nell'affrontare anche da soli o in pochi le dure battaglie di classe.
Il loro spirito è di non aver paura di affrontare qualsiasi difficoltà pur di essere utili al Partito e alle masse. Il loro punto di partenza è di servire con tutto il cuore la classe operaia e non staccarsi mai da essa, di non chiedere mai nulla per se stessi ma tutto per la classe operaia e le masse popolari. Essi regolano la loro vita con quella del Partito e della classe operaia.
Una mentalità e una coscienza di questo tipo non si conquistano in un solo giorno e non appena si entra nel Partito. Ci vuole del tempo di maturazione e un lungo lavoro politico su se stessi. Ma quando si sono afferrati bene questi concetti di base, bisogna passare subito alla trasformazione di se stessi per divenire dei veri e completi marxisti-leninisti, dei combattenti proletari rivoluzionari che sanno stare al passo col Partito.
I vecchi quadri e militanti devono rinverdire costantemente il loro spirito ed essere sempre in prima linea nell'impegno e nel lavoro politico. Quelli nuovi devono affrettarsi nel modellare la loro vita politica e privata conformemente a ciò che prescrive lo Statuto del Partito riguardo ai quadri (artt. 8, 9 e 11) e ai militanti (art. 13).
I membri candidati devono essere consapevoli che hanno iniziato un nuovo capitolo della loro vita. L'esperienza passata sta ormai alle loro spalle, da essa debbono trarne gli insegnamenti dovuti per metterli a frutto nel loro lavoro di oggi, ma ora debbono guardare in avanti, alle nuove esperienze che li aspettano, esperienze che non possono essere vissute con gli stessi atteggiamenti e con la stessa mentalità del passato.
Certi compagni debbono superare la contraddizione che esiste tra la coscienza avanzata del Partito e la loro coscienza più arretrata.
Tutti, dirigenti e militanti, membri effettivi e candidati, dobbiamo trasformare fino in fondo la nostra mentalità e concezione del mondo. Espellendo da noi tutto ciò che è vecchio, che appartiene alla cultura e alla morale borghese, a esperienze vissute prima dell'adesione al Partito, ai moduli dominanti di far politica.
Questo lavoro di trasformazione di noi stessi non può essere compiuto una volta per tutte, ma va fatto continuamente perché le vecchie idee, le vecchie concezioni, presenti in maniera dominante nella società, possono inquinare facilmente la nostra mente e fiaccare il nostro spirito.
L'influenza ideologica, politica, culturale e morale della borghesia e del revisionismo è molto forte e profonda nella società, e sarebbe perciò grave presunzione pensare di esserne immuni.
Ogni giorno per mille vie e canali, politici, sindacali, scolastici e culturali, ricreativi, sociali e familiari, siamo soggetti, come del resto tutto il popolo italiano, all'influenza della borghesia e dei revisionisti, per cui in certi casi senza accorgersene nemmeno possiamo esserne vittime e portare questa perniciosa influenza dentro il Partito. Ed è per questo che la borghesia e il revisionismo sono sempre presenti nel Partito del proletariato. A volte in maniera tenue e marginale, a volte in modo massiccio e diffuso. (...)
Naturalmente noi non possiamo tollerare che la borghesia e il revisionismo siano presenti all'interno del Partito. Non possiamo certo impedir loro di entrare, perché non esistono delle porte stagne atte allo scopo, ma possiamo e dobbiamo combatterli non appena si affacciano e si individuano. E questo lo possiamo fare solo se abbiamo la coscienza che ogni compagno dirigente e non, può essere veicolo di revisionismo e se teniamo alta la vigilanza rivoluzionaria.
Dobbiamo imparare a giudicare e misurare ogni compagno sulla base della linea politica del Partito, delle misure stabilite dal Partito, del rispetto del centralismo democratico e dei metodi e dello stile di lavoro del Partito, della capacità di assolvere i compiti del Partito. Non dobbiamo guardare all'amicizia personale, a legami familiari, a meriti passati e presenti, ma unicamente alla linea del Partito, agli interessi del proletariato e della rivoluzione socialista.
Ma se siamo dei superficiali, se usiamo il liberalismo verso noi stessi e i compagni, se ci facciamo prendere da certe apparenze, o se guardiamo solo ai meriti trascurando i difetti dei compagni, non riusciremo mai ad individuare la presenza del revisionismo nelle nostre file e non daremo alcun contributo nella lotta contro di esso.
La lotta tra le due linee, in maniera più o meno acuta e aperta, è sempre presente nel nostro Partito. In certi casi riguarda determinate istanze o singoli settori, in altri casi, specialmente se investe il CC diventa una lotta generale che interessa tutto il Partito.
Nel passato vi sono state quattro lotte di questo tipo che si sono risolte tutte quante a favore del Partito. Ma non è detto che non ve ne siano più in futuro. Ve ne saranno, e di molto dure, perché la borghesia e il revisionismo non possono permettere che il nostro Partito spicchi il volo.
(...) I quadri in particolare devono capire bene, ed essere coerenti nella pratica, che i marxisti-leninisti devono mettere gli interessi del Partito, del proletariato e della rivoluzione al primo posto e subordinare ad essi i propri interessi personali e particolari.
Il nostro Partito e il proletariato hanno bisogno di quadri assolutamente disinteressati, disciplinati, coerenti, capaci e ben voluti dalle masse.
I quadri marxisti-Ieninisti devono essere i migliori in tutto: nella lotta di classe, nella difesa e nella propaganda della linea del Partito, nella direzione del Partito e delle masse, nell'assolvimento dei compiti, nel gioco di squadra, nell'organizzazione, nella disciplina, nella risoluzione dei problemi, nello studio rivoluzionario.
Solo i più bravi, i più capaci, i più generosi militanti devono occupare posti di responsabilità nel Partito e nelle organizzazioni di massa. Chi non ha tutti i requisiti dei quadri previsti dallo Statuto del Partito non può essere dirigente del Partito e delle masse.
Perché il Partito abbia sempre una buona direzione a tutti i livelli dobbiamo mantenerci fermi sulla politica dei quadri del Partito. E cioè: promuovere solo chi conosce bene la linea del Partito e la sa applicare, ed è capace di organizzare, educare, mobilitare e dirigere le masse; rimuovere o far scendere di uno o più scalini chi è affetto di revisionismo, arrivismo e individualismo o si è dimostrato incapace di assolvere i suoi compiti di dirigente.
Nessun dirigente del Partito si deve sentire inamovibile. Tutti possiamo rigustare in qualsiasi momento l'aria rigeneratrice del lavoro di base. Del resto, come dice Mao, "Un gruppo dirigente veramente unito e legato alle masse può formarsi gradualmente solo nel processo delle lotte di massa, e non separatamente da esse. Nella maggior parte dei casi la composizione del gruppo dirigente non deve e non può rimanere del tutto invariata durante la fase iniziale, media e finale di una grande lotta; gli attivisti che si distinguono nel corso della lotta devono invariabilmente essere promossi e sostituire quei quadri originari del gruppo dirigente che al confronto si sono rivelati inferiori o hanno degenerato".
(...) Per avere a disposizione in qualsiasi momento un gran numero di quadri tra cui scegliere secondo le necessità, occorre formare i militanti di base in modo di renderli dei potenziali quadri del Partito.
Il PMLI vuol essere un Partito di quadri, cioè di militanti che in qualsiasi momento sono in grado di assumere cariche direttive all'interno del Partito, e che già fin dall'ingresso nel Partito sappiano essere dei dirigenti delle masse e delle organizzazioni di massa promosse o non dal Partito.
Va precisato però che quando diciamo partito di quadri non intendiamo dire che il PMLI debba essere un "partito di pochi ma buoni". No, per carità! Noi vogliamo essere molti e molto bravi. Il PMLI vuol essere un grande partito composto da centinaia di migliaia di militanti tutti quanti buoni, un partito di avanguardia strettamente legato alla classe operaia e alle masse popolari.
Il nostro Partito non ha quindi bisogno di semplici iscritti, di adesioni formali, ma di militanti attivi, coscienti e politicamente preparati, di pionieri che aprono una via mai esplorata fino in fondo in Italia, di elementi di avanguardia del proletariato permanentemente mobilitati e impegnati nella lotta di classe e nel lavoro di Partito.
Solo avendo questa coscienza possiamo capire veramente quali responsabilità pesano sulle spalle di ciascun membro del Partito e quanta strada ci rimane da compiere per migliorare la nostra militanza e il nostro impegno politico in relazione alla natura del Partito e ai suoi nuovi compiti politici, organizzativi e di sviluppo.

2°. Rafforzare le cellule e le commissioni centrali ed estendere il Partito in altre città
Avere buoni quadri e buoni militanti è essenziale per realizzare il grande balzo in avanti, ma senza avere salde organizzazioni di Partito è impossibile assicurare la vita, la continuità e lo sviluppo del Partito. In ogni ambiente di lavoro, vita e studio abbiamo bisogno di organizzazioni di Partito per conoscere le esigenze delle masse, recepirne la volontà, sistematizzarne le idee e rivendicazioni, impostare insieme a loro le battaglie e dirigerle nella lotta.
In questo ultimo anno giustamente le nostre attenzioni sono state puntate sulle cellule e sulle commissioni di lavoro centrali, i due settori che ancora oggi vanno rafforzati. In generale, in entrambi i campi sono stati fatti dei progressi, ma non sono sufficienti se si pensa ai compiti che abbiamo davanti e alle responsabilità crescenti del Partito.
(...) Residui di vecchie nefaste influenze e di impostazioni errate, direzione non sempre adeguata, una non perfetta assimilazione della linea del Partito, la presenza di posizioni individualistiche giocano un ruolo negativo sullo sviluppo di certe cellule. In questi casi, bisogna risolutamente scrollarsi di dosso ciò che è vecchio e superato, afferrare appieno la linea del Partito, migliorare il lavoro di squadra, la divisione dei compiti e i metodi di lavoro.
Tutte le cellule debbono rapidamente acquistare agli occhi del Partito e delle masse, una chiara e precisa fisionomia e divenire nei fatti le centrali ispirative e di raccolta e le guide delle masse nel loro ambiente di vita e di azione. Esse devono calarsi fino in fondo nel loro ruolo e plasmare in senso rivoluzionario le masse che le circondano.
Nel pieno rispetto del centralismo democratico, bisogna creare una situazione nel Partito in cui le cellule più anziane siano in grado da sole, contando sulle proprie forze, di svolgere il lavoro politico ed organizzativo che loro compete senza dover ricorrere alla presenza e collaborazione dei dirigenti delle istanze superiori. In questo quadro, dobbiamo chiaramente distinguere e tenere separati i compiti e il ruolo delle cellule da quelli dei comitati provinciali.
Occorre che le cellule si assumano interamente le proprie responsabilità e non gravino sulle istanze superiori più del necessario e del giusto. Solo così può avvenire una loro reale crescita politica e organizzativa, i comitati provinciali possono avere il tempo per svolgere meglio il loro ruolo all'interno e all'esterno del Partito e i quadri superiori rivolgere le loro attenzioni e interventi verso le nuove cellule e le nuove realtà di Partito.
Le cellulle costituiscono il principale strumento di Partito da cui passa e si sviluppa il legame del Partito con le masse. Se esse sono attive, combattive, piene di iniziativa, conosciute e stimate le masse gradualmente acquistano fiducia nel Partito e lo appoggiano e nuovi militanti entrano nelle sue file. Ma se esse non si buttano in fuori, non stanno alla testa delle lotte, aspettano la spinta dall'alto per muoversi, svolgono un lavoro di propaganda generica non entrando in merito ai problemi sentiti dalle masse, il nostro Partito farà pochi passi in avanti e starà ai margini della vita politica e sociale.
Direttamente o tramite le organizzazioni di massa, le cellule devono tenere sempre in pugno l'iniziativa politica, sindacale e sociale sulla base dei compiti a ciascuna di esse assegnati dall'istanza superiore. Occorre però che le cellule siano completamente padrone della linea politica del Partito e che la sappiano applicare con abilità ai 3 livelli. Quella dell'applicazione della linea politica del Partito è una questione di fondamentale importanza dalla cui comprensione e risoluzione deriva in ultima analisi il grande balzo in avanti.
Bisogna avere la coscienza che attualmente esiste una contraddizione tra la giustezza della linea politica del Partito e la non adeguata sua applicazione nella pratica, in particolare a livello di base.
Quando abbiamo avuto modo di sperimentarla fino in fondo nella pratica, abbiamo visto che la linea del Partito è giusta e incontra il favore e il consenso delle masse. Molto spesso però abbiamo riscontrato delle incapacità e dei limiti soggettivi collettivi o personali nel saperla applicare, non tanto per inesperienza quanto per un non sufficiente grado di assimilazione e per la mancanza di un ben preciso piano strategico, tattico e organizzativo capace di farla passare tra le masse.
Su questa questione le cellule debbono fare un serio e approfondito bilancio e prendere, delle misure idonee per diventare presto dei maestri dell'arte dell'applicazione della linea del Partito.
Le cellule debbono essere l'immagine ideale del Partito, i modelli in piccolo del Partito, le fucine in cui si forgiano i militanti del Partito. Devono essere coscienti che dalla loro vita e dalla loro opera dipende la credibilità e l'espansione del Partito, la mobilitazione delle masse in senso rivoluzionario, la conquista e la formazione di nuovi militanti.
Quest'ultima funzione delle cellule è molto importante perché essa determina in gran parte l'avvenire, la forza e la qualità del Partito. Nella pratica ci siamo resi conto che l'impronta - positiva o negativa - che i compagni ricevono non appena entrano nel Partito è decisiva per la loro formazione, il loro corretto inserimento nel Partito, la comprensione dei loro compiti rivoluzionari e la loro tenuta di fronte alle avversità e alle prove della lotta di classe. Non si insisterà quindi mai abbastanza nell'esortare le cellule a fare bene e con scrupolosità il lavoro di conquista e di formazione dei membri candidati.
Nel momento in cui si sollecitano le cellule ad occupare tutto lo spazio politico e organizzativo che lo Statuto assegna loro, occorre richiamare l'attenzione di tutto il Partito sulla necessità del più rigoroso rispetto del centralismo democratico affinché il Partito rimanga sempre unito e compatto attorno al Comitato centrale.
Quanto più il Partito cresce politicamente e si sviluppa organizzativamente, quanto più esso è sottoposto a sforzi particolari, quanto più si affacciano contraddizioni e tendenze errate, tanto più è necessario rafforzare il centraIismo democratico.
Questo fondamentale principio organizzativo marxista-leninista è assolutamente necessario per la vita e lo sviluppo rivoluzionario proletario del nostro Partito e per la realizzazione dei suoi compiti rivoluzionari. Abbaino pure la borghesia e i revisionisti contro di esso. Noi non vi rinunceremo mai. Noi dobbiamo difenderlo con tutte le nostre forze e operare attivamente affinché tutti i militanti del Partito - dirigenti e non - lo rispettino scrupolosamente nei fatti. Chi lo viola - o perché lede la democrazia o perché sabota il centralismo - deve essere prontamente ripreso e criticato.
II nostro Partito al suo interno non ammette frazioni, né regni indipendenti, né distaccamenti autonomi, e nemmeno l'esistenza di compagni che, apertamente o di fatto, fanno e disfanno come vogliono loro. Questo non è ammissibile. Tutti i militanti del Partito devono muoversi e agire secondo le direttive e la volontà delle rispettive istanze e le istanze inferiori devono essere subordinate a quelle superiori e tutto il Partito al Comitato centrale. Guai a dare il minimo spazio all'individualismo e al protagonismo personale; ben presto il Partito si sfalderebbe e spalancheremmo le porte al frazionismo, all'arrivismo, alla borghesia e al revisionismo.
I marxisti-leninisti sono collettivisti per natura, considerano le masse i veri eroi e protagoniste della storia, di conseguenza non possono tollerare che vi sia qualcuno che tende ad emergere, a subordinare alle sue ambizioni personali settori o l'intero Partito.
Attualmente ciò che va rafforzato è il centralismo più che la democrazia. Centralismo però non significa autoritarismo e militarismo. Significa solo attenersi alla disciplina e alle direttive del Partito e non fare mai nulla senza che la propria istanza ne sia a conoscenza e l'abbia autorizzata. Non nelle piccole cose, si intende, ma in quelle che possono incidere in un modo o in un altro sull'immagine, la vita e l'azione del Partito. Stando così legati al Partito non perdiamo niente, se non un po' di individualismo.
Non dobbiamo temere di riprendere e criticare chi va contro il centralismo democratico, fossero anche i massimi dirigenti del Partito. Anche a loro fa bene essere criticati e corretti. Sennò come possono sapere se dirigono bene o male il Partito?
Se vogliamo rafforzare l'unità del Partito e correggere i compagni che sbagliano, bisogna usare con maggior forza l'arma della critica e dell'autocritica. Deve diventare un'abitudine come lavarsi la mattina. Quando facciamo il bagno, a volte è anche necessario usare il bruschino per asportare il sudicio piuttosto resistente. Perché allora prendersela se in certi casi i compagni fanno delle critiche piuttosto rudi?
Mao, che di queste cose se ne intendeva, dice: "Le critiche debbono essere mordenti. Secondo me, in questa riunione, alcune non lo sono state abbastanza, come se si avesse sempre paura di offendere la gente. Se non siete abbastanza mordenti, se non colpite in modo penetrante, l'altro non sentirà dolore e non vi presterà attenzione. Si debbono fare i nomi, i cognomi, indicare di quale dipartimento si tratta. Tu non hai lavorato bene e io ne sono scontento, se ti offendi peggio per te. La paura di offendere la gente è senz'altro la paura di perder dei voti o anche il timore di non avere buoni rapporti di lavoro. Se tu non voti per me forse non mangio? Niente affatto. In realtà se tirate fuori i problemi e li mettete chiaramente sul tavolo ci si intende meglio. Non bisogna smussare gli angoli.
Perché il toro ha due corna? - domanda Mao - Le ha per lottare: per difendersi e per attaccare. Spesso chiedo ai compagni: sulle vostre teste avete 'corna'? Voi, compagni potete tastarvi un po'. Secondo me, alcuni compagni hanno 'corna', altri le hanno, ma non talmente appuntite, altri ancora non le hanno affatto. Io credo che avere due 'corna' è un bene, perché è conforme al marxismo. Il marxismo ha una regola che si chiama critica e autocritica" (Mao, Discorso alla Conferenza nazionale del PCC, 21 marzo 1955).
Che ne dite? Immaginiamo che siate d'accordo con Mao, quindi usiamo bene le "corna". Lo dobbiamo fare per il bene del Partito e per lo stesso bene dei compagni che sbagliano. Se la critica è giusta va accettata senza riserva, se è sbagliata va respinta. Questo è logico e naturale.
L'autocritica va fatta seriamente e fino in fondo, senza nascondere nulla e tentare di attutire la gravità dell'errore. Se non è ritenuta soddisfacente va rifatta anche più volte finché tutti i compagni interessati ne siano veramente contenti. Solo cosl si può ristabilire un clima sereno e di reciproca fiducia e stima.
Se non si usa il metodo della critica e dell'autocritica come si fa a risolvere le contraddizioni che insorgono nel Partito, ad aiutare i compagni a migliorarsi, a imparare dagli errori commessi per non ripeterli più, a ripulirsi ideologicamente e politicamente dall'influenza non proletaria e a mettersi in linea col Partito?
Le critiche devono essere corrette, documentate e basate sui fatti, e devono tendere a far comprendere al compagno che sbaglia la gravità degli errori commessi e a svegliare la sua coscienza affinché si ravveda e faccia l'autocritica.
Purché chi sbaglia sia sinceramente pentito, è nostro dovere recuperarlo al Partito e alla lotta rivoluzionaria, indipendentemente dall'eventuale misura disciplinare che dovrà essergli inflitta. Ma l'ultima parola spetta a chi viene criticato, in ultima analisi la chiave per risolvere la contraddizione che ha aperto col Partito è nelle sue mani.
Mao a questo proposito fa notare: "Tutti i comunisti che commettono errori di carattere ideologico e politico, quale atteggiamento devono assumere quando sono criticati? Si possono scegliere due strade: una è quella di correggere i propri errori ed essere un buon membro del partito, l'altra è quella di continuare a scivolare sempre più in basso, sino a cadere nella fossa della controrivoluzione. Quest'ultima via esiste effettivamente e i controrivoluzionari probabilmente sono là a fargli cenno con la mano". (Preparazione e note editoriali a "Materiali sul gruppo controrivoluzionario di Hu Teng", maggio-giugno 1955).
Naturalmente noi speriamo che tutti i compagni che sbagliano scelgano la prima strada, cioè quella di correggersi, ma se vogliono seguire la seconda si accomodino pure. Si sappia comunque che una terza strada non esiste. Come dimostra l'esperienza storica del movimento operaio internazionale, chi si contrappone e si stacca dal Partito del proletariato inevitabilmente va a finire nella fossa della controrivoluzione.
Le cellule, dunque, vanno rafforzate e lanciate in avanti, ma anche le commissioni di lavoro centrali vanno rafforzate e portate a un livello superiore se vogliamo che tutti i settori del Partito funzionino a perfezione, viaggino con lo stesso passo e tutto il Partito faccia un grande balzo in avanti su tutta la linea.
Questa questione è già stata posta con forza in occasione della 1ª Sessione plenaria tenutasi il 14 novembre dell'anno scorso. Se ne parliamo ancora è perché evidentemente non è stata risolta. Non è però che le commissioni siano state finora con le mani in mano. Tutte si sono date da fare, alcune addirittura hanno fatto delle cose eccezionali.
(...) Ancor prima del 2° Congresso, sapevamo che le commissioni femminile e giovanile avevano deboli direzioni. Per quanto riguarda la prima commissione, come è noto, il problema è stato risolto ottimamente, lo stesso purtroppo non possiamo ancora dire per l'altra. Ciò costituisce un grave handicap perché è proprio nel settore giovanile che andiamo a gonfie vele.
Dalla pratica noi vediamo l'importanza delle commissioni centrali. Il CC e l'UP non possono stare in seduta permanente per risolvere tutti i problemi del Partito. E anche se lo potessero senza una divisione di compiti al loro interno non sarebbe mai possibile risolvere le varie questioni che via via si presentano. Sono le commissioni che mettono queste istanze in condizioni di intervenire rapidamente e a volte simultaneamente sui probemi che sono sul tappeto all'interno del Partito e nella società. Quando però il lavoro d'una o più di esse viene a mancare o non è buono, il Partito è costretto a segnare il passo se non addirittura retrocedere nei settori interessati.
Le commissioni devono capire le responsabilità che hanno verso il Partito. Soprattutto devono tendere a divenire delle specialiste, delle professioniste nei rispettivi settori di lavoro.
(...) Poiché siamo privi di mezzi e di rivoluzionari di professione non è possibile al momento attuale distaccare dei membri del CC in quelle città. Tuttavia deve essere instaurato un sistema di collegamenti e di incontri periodici tali da rispondere sollecitamente alle necessità politiche e materiali dei compagni lontani dalla sede centrale del Partito.
Questi compagni devono essere certi che il CC farà tutto quello che è nelle sue possibilità per rendersi utile a loro e aiutarli a risolvere i loro problemi. Ma essi non debbono aspettare che tutto arrivi dall'alto, quello che possono fare da se lo devono fare senza indugio.
Contando sulle proprie forze, spirito di iniziativa, inventiva, capacità organizzativa, legandosi alle masse, facendo tesoro dell'esperienza di tutto il Partito, studiando attentamente la situazione locale per individuare i luoghi più avanzati, sensibili e ben disposti verso il Partito dove concentrare il lavoro politico, intervenendo sulle questioni concrete, coinvolgendo in una qualsiasi misura nel lavoro di propaganda e agitazione simpatizzanti, familiari, amici e conoscenti, sfruttando al massimo le manifestazioni di massa per propagandare il materiale del Partito, partecipando e prendendo la parola nelle assemblee dei propri luoghi di lavoro o di studio e di vita, essi devono cominciare a farsi conoscere come marxisti-leninisti e creare le condizioni per aggregare attorno a se a uno qualsiasi dei 3 livelli tutti coloro che son disposti a far qualcosa insieme a loro.
Non sarà questo un obiettivo facile e non potrà essere raggiunto subito e senza fatica, ma dai oggi e dai domani, con l'esperienza e perfezionando il tiro, alla fine sarà raggiunto senz'altro. L'importante è non scoraggiarsi mai e non perdere la fiducia nel Partito e nelle masse.
Noi guardiamo con grande ammirazione e trepidazione a questi compagni. Se essi ce la faranno, e il CC deve fare per intero la sua parte perché ce la facciano, sicuramente lo sviluppo del Partito avrà un'accelerazione perché aumenteranno enormemente le possibilità che un numero maggiore di rivoluzionari vengano a conoscenza del nostro Partito e si leghino ad esso. E così, tra l'altro, si spezzerà in una certa misura la congiura del silenzio che i mass media e le forze politiche borghesi e revisioniste hanno stipulato contro il PMLI nel tentativo di nasconderlo agli occhi delle masse.

3°. Sviluppare il lavoro di massa sulla base dei quattro obiettivi strategici
Il rapporto dell'UP al 2° Congresso ha indicato: "Il fronte su cui si decide il grande balzo in avanti del Partito è quello del lavoro di massa. Se noi sfondiamo su questo fronte, sfondiamo su tutta la linea". Ma affinché questa indicazione, rivelatasi giusta e vincente nella pratica, colpisca nel segno, occorre che il lavoro di massa non sia fatto a casaccio e in maniera improvvisata. Esso deve avere un senso, un contenuto, una finalità, un carattere politico di classe, corrispondenti alle vedute, ai piani e agli scopi del Partito.
La bussola che deve orientare il lavoro di massa è costituita dai 4 obiettivi strategici stabiliti dal 2° Congresso. Questi obiettivi strategici sono validi per tutti i settori di intervento del Partito e vanno calati e adattati opportunamente nel lavoro di massa sindacale, femminile, giovanile, sociale, ecc.
Il primo di questi obiettivi strategici indica: "SODDISFARE LE ESIGENZE DELLE MASSE DA NOI ORGANIZZATE".
La nostra politica si basa sulla lotta per risolvere le esigenze delle masse. Per noi è naturale preoccuparci delle esigenze delle masse e lottare per soddisfarle. D'altra parte le loro esigenze sono le nostre stesse esigenze, in quanto anche noi facciamo parte delle masse. Quello che facciamo per loro corrisponde ai nostri stessi interessi di classe. Per cui il nostro impegno a favore delle esigenze delle masse non ha un carattere strumentale. Se noi ci interessiamo dei problemi e dei bisogni delle masse è perché ci dispiace che esse vivano male e vogliamo che stiano bene.
Quando le masse si uniscono attorno a noi - negli organismi di massa, promossi dal Partito o da altri - è segno evidente che hanno fiducia in noi, che sono convinte che solo seguendo noi possono soddisfare le loro esigenze. Non dobbiamo deluderle. Dobbiamo dimostrare nella pratica di essere capaci di guidare e portare alla vittoria le loro lotte. Questo è il segreto per ottenere e allargare la fiducia delle masse verso il Partito.
È già molto essere coerenti e combattivi rispetto agli impegni presi e alla piattaforma rivendicativa stabilita, ma quello che lega indissolubilmente le masse al Partito è la nostra capacità di saper risolvere i loro problemi. Naturalmente per quanto si possa essere abili nel condurre la lotta delle masse è assolutamente impossibile raggiungere il cento per cento degli obiettivi in questa società; ma questo le masse lo sanno benissimo, e non ci chiederanno mai la luna nel pozzo. Quello che pretendono da noi è che si tenga duro, che si insista nella lotta finché non si riesce a strappare al governo, alle istituzioni e ai capitalisti il più possibile, e non fare come i revisionisti che cedono facilmente e si accontentano delle minime concessioni.
In ogni caso noi dobbiamo appellarci alle masse per far dire a loro l'ultima parola sulla chiusura o meno di qualsiasi vertenza.
Il secondo obiettivo strategico del lavoro di massa è: "ACUIRE LE CONTRADDIZIONI TRA LE MASSE E LE ISTITUZIONI BORGHESI E IL PARTITO REVISIONISTA".
È questo un punto fondamentale sia ai fini del soddisfacimento delle esigenze delle masse, sia ai fini dello sviluppo della lotta di classe. Infatti le più grandi lotte sindacali, giovanili, femminili, popolari e contadine dal '68 ad oggi si sono avute proprio quando le masse non hanno avuto paura di scagliarsi contro le istituzioni borghesi e di rompere il condizionamento e il controllo del partito revisionista.
Ormai la tendenza spontanea delle masse a staccarsi dalle istituzioni è inarrestabile. Noi dobbiamo far leva su questa tendenza per separare completamente le masse dallo Stato capitalistico. Questo però non significa rifiutare ogni rapporto con le istituzioni. Sarebbe una posizione puerile e senza sbocco.
È giocoforza trattare con le istituzioni per risolvere determinate esigenze delle masse, ma c'è modo e modo di farlo. Noi impostiamo un rapporto conflittuale, i revisionisti invece assumono un atteggiamento dialogico e collaborazionista. Noi consideriamo le istituzioni delle controparti, degli organismi estranei alle masse, mentre per i revisionisti esse sono degli alleati o potenziali alleati, degli organismi che esprimono la volontà delle masse.
Tatticamente, a volte, o perché il livello di coscienza delle masse da noi organizzate non è adeguato, o perché il rapporto di forza non è a noi favorevole, o perché si potrebbero mettere in pericolo le nostre alleanze, o perché si vogliono far maturare certe condizioni, o per altri accorgimenti tattici ben studiati e valutati, può essere opportuno non attaccare frontalmente e su tutti i piani le istituzioni con le quali è aperta una vertenza. In ogni caso però dobbiamo mettere in risalto partendo dai fatti la loro avversità, estraneità e inadempienza verso le rivendicazioni e le esigenze delle masse.
Man mano che sale la coscienza, il coinvolgimento e la combattività delle masse, sempre di più si deve alzare il tiro contro le istituzioni interessate, e da un certo punto in poi, in crescendo, deve iniziare la mobilitazione e la lotta delle masse, in assenza delle quali le trattative non andranno mai in porto.
Più che su un discorso teorico noi dobbiamo dimostrare nella pratica, dai fatti, la natura reazionaria e antipopolare delle istituzioni borghesi. Così come dobbiamo smascherare il partito revisionista sulla base dell'atteggiamento pratico che esso tiene verso il movimento e la vertenza. Bisogna essere molto abili perché non dobbiamo ferire la sensibilità di partito dei compagni di base del PCI lo - stesso discorso vale per i membri degli altri partiti - che partecipano in un modo o nell'altro al movimento o lo sostengono dall'esterno.
Il PCI, sia che entri nel movimento sia che lo ignori o addirittura lo ostacoli, finirà sempre col darsi la zappa sui piedi, perché ben difficilmente potrà seguirlo fino in fondo se tale movimento è sotto la nostra egemonia o in esso il PMLI occupa un posto di rilievo.
Sta a noi saper cogliere il PCI in contraddizione con le esigenze e la volontà delle masse, metterlo in difficoltà e alienargli le simpatie dei propri iscritti e del proprio elettorato.
Il terzo obiettivo strategico del lavoro di massa è: "ELEVARE INCESSANTEMENTE LA COSCIENZA POLITICA DELLE MASSE E IL LORO GRADO DI COMBATTIVITÀ".
Non dappertutto in Italia le masse hanno la stessa coscienza politica e grado di combattività. Anche all'interno della stessa città vi sono diversi livelli di coscienza e di combattività. Lo stesso discorso vale per ogni singolo organismo di massa e classe sociale popolare.
Comunque, il criterio generale del nostro lavoro di massa è quello di partire dal livello medio della coscienza e della combattività per elevarlo gradualmente finché la politica del Partito non diventi azione delle masse. Un processo lungo, complesso, faticoso e paziente che si snoda attraverso itinerari più o meno tortuosi e accidentati in base agli ostacoli e all'influenza diretta o indiretta che frappongono i partiti borghesi e revisionisti.
La coscienza delle masse non va forzata, ma nemmeno accettata così com'è. Se la forziamo cadiamo nell'avventurismo, se l'accettiamo passivamente cadiamo nel codismo. Bisogna modificarla, ma non andando oltre quanto le masse possono capire e accettare in base alla loro esperienza diretta.
Quando le masse non hanno coscienza di un'idea, non bisogna costringerle ad accettarla. Bisogna lavorare affinché ne prendano coscienza e la facciano propria. Solo cosl questa idea nuova e progressiva può diventare azione delle masse.
Noi dobbiamo aiutare le masse piu arretrate ad avere le idee più avanzate esistenti nel loro specifico ambiente e organismo sociale, ad assimilare per scalini successivi le idee ancora piu avanzate presenti in altri ambienti e organismi sociali di massa, fino ad attestarle sulle posizioni rivoluzionarie.
Così, poco per volta e senza fughe in avanti, noi riusciremo a cambiare le opinioni e a dare una base di massa al nostro Partito.
Noi dobbiamo aprire gli orizzonti alle masse legando il particolare al generale e i problemi di una piccola parte del popolo a quelli di tutte le masse. Partendo dalle situazioni concrete, dagli specifici livelli di coscienza, e attraverso la dialettica e il ragionamento dobbiamo aiutare le masse a capire qual è la causa che genera tutte le loro sofferenze e privazioni affinché sappiano regolare di conseguenza la loro lotta.
Il quarto obiettivo strategico del lavoro di massa è: "ATTIRARE DELLE SIMPATIE E DEI NUOVI MILITANTI VERSO IL NOSTRO PARTITO".
Il PMLI ha bisogno di tante simpatie e di molti militanti. In ultima analisi tutto il nostro lavoro è in funzione di questo obiettivo che non è fine a se stesso ma volto a dare alla classe operaia e alle masse uno strumento politico e organizzativo capace di difendere i loro interessi immediati e di guidarle nella lotta multiforme contro il capitalismo e per il socialismo.
Ma le simpatie e i militanti non si conquistano con i desideri e le parole bensì con le azioni e i fatti. Le nostre capacità di risolvere via via i problemi che affiorano, i nostri metodi di lavoro e di direzione, la nostra correttezza nei rapporti con le masse, il nostro impegno nella lotta, il nostro esempio di vita, sono gli elementi fondamentali che ci attirano le simpatie delle masse e creano le condizioni per la conquista di nuovi militanti.
In questo quadro particolare rilevanza hanno i metodi di direzione. Nessuno al di fuori del nostro Partito ha veramente fiducia nelle masse e fa affidamento su di esse. Noi dobbiamo creare un rapporto nuovo tra la direzione e le masse. Dobbiamo perciò assumere verso le masse un atteggiamento di massima apertura e fiducia totalmente nuovo, inedito rispetto a quello che usano i partiti e i gruppi sedicenti comunisti e socialisti.
Dobbiamo saper coinvolgere le masse fino in fondo in posizione di responsabilità fin dall'impostazione delle loro lotte. È profondamente sbagliato monopolizzare la direzione delle lotte e delle attività delle masse ai soli membri di Partito, altrettanto sbagliato sarebbe però non impegnarsi per ottenere la maggioranza nella direzione.
Noi vogliamo che le masse contino davvero, che siano le protagoniste su tutti i piani delle lotte quotidiane, della lotta di classe, delle lotte per instaurare una nuova società.
Così operando si allargheranno le simpatie verso il nostro Partito e chi ci sta più vicino avrà anche piacere di aprire con noi un dialogo e una discussione politica di carattere generale. Ne dovremo approfittare per far opera di chiarificazione ideologica e politica, in maniera dialettica e non con metodi professorali, e per far gradualmente maturare l'idea di chiedere l'ammissione al Partito a chi riteniamo ne abbia i requisiti, negli altri casi basterà collocare il nostro interlocutore nella categoria dei simpatizzanti o degli amici del Partito.
Noi dobbiamo operare con intelligenza e abilità, senza bruciare i tempi ma nemmeno lasciando le decisioni al caso, affinché tutti gli elementi più combattivi e attivi delle masse maturino l'esigenza di entrare nel Partito o di cooperare con esso.
In sintesi, il sistema dei 4 obiettivi strategici è uno strumento affinché le masse soddisfino le loro esigenze, avanzino nella lotta di classe e acquistino fiducia verso il nostro Partito e diano ad esso i suoi figli migliori; e nel contempo è per noi un mezzo per controllare che ogni istanza e compagno facciano effettivamente un lavoro rivoluzionario secondo le indicazioni del Partito e non deviino nel revisionismo.
La 2ª Sessione plenaria del 2° CC del 13-14 marzo '83 ha chiarito un problema tattico che qui è bene riportare per farlo conoscere ufficialmente a tutto il Partito. Si riferisce a come bisogna chiamare gli iscritti al PCI. Essi ufficialmente si chiamano comunisti e giustamente sono orgogliosi di definirsi tali. Ma noi sappiamo che essi oggettivamente non sono comunisti perché sono membri di un partito che ha rinunciato al comunismo.
In teoria chi segue il PCI non potrebbe essere chiamato comunista ma revisionista. Ma questo gli iscritti del PCI non lo possono ancora capire e non l'accetterebbero mai perché essi soggettivamente si ritengono dei veri comunisti. Se noi li chiamassimo revisionisti apriremmo perciò tra noi e loro un conflitto insanabile che ci precluderebbe ogni possibile rapporto di collaborazione reciproca.
Per sciogliere questo nodo e togliere di mezzo tutto ciò che può intralciare i nostri rapporti con i compagni di base del PCI e le nostre possibilità di alleanza col PCI a livello di base e intermedio, il CC ha deciso giustamente che dobbiamo chiamare comunisti gli iscritti al PCI senza che con questo cambi il nostro giudizio sul PCI e sul suo gruppo dirigente. Il nostro è solo un atteggiamento tattico che favorisce la lotta rivoluzionaria e tende a isolare il vertice revisionista del PCI.
D'altra parte con lo sviluppo e l'azione del nostro Partito prenderà sempre più corpo nella pratica la differenza che intercorre tra comunisti e marxisti-Ieninisti. Secondo il consiglio di Lenin nel passato fu necessario chiamarsi comunisti per distinguersi dai socialdemocratici che erano passati dalla parte della borghesia, oggi bisogna chiamarsi marxisti-leninisti per non confondersi con i comunisti che si sono integrati nella società borghese, anche se il comunismo per noi continua ad essere sinonimo della meta ultima del proletariato.
Sulla base delle indicazioni scaturite dal 2° Congresso, il CC e l'UP hanno elaborato tre grandi operazioni strategiche che sono attualmente in corso di attuazione. Si tratta dei movimenti di massa riguardanti il sindacato di classe, i servizi sociali e i giovani delle periferie urbane.
Questi movimenti vanno assolutamente portati al successo per non deludere la fiducia che le masse nutrono verso di noi. È in gioco il prestigio del Partito e non possiamo perdere questa occasione d'oro per definire dei modelli che in seguito dovranno essere adottati da tutto il Partito.
Dobbiamo imparare dall'esperienza negativa dell'Asnu per evitare che i suddetti tre movimenti cadano negli errori ivi commessi, che consistono principalmente nel fatto che il Partito è stato tagliato fuori dal movimento e che le sue indicazioni sono state applicate in maniera opportunistica.
Nell'ambito della lotta per il sindacato di classe, dobbiamo opporci con tutte le nostre forze al disegno di trasformare il sindacato in un sindacato della pace sociale e della cogestione.
La lotta sindacale deve occupare il primo posto nel lavoro di massa del Partito, là dove ne abbiamo le condizioni. In linea generale sarebbe bene che tutto il Partito fosse primariamente concentrato su questo settore, ma quando come oggi, per tutta una serie di circostanze organizzative e di scelte strategiche e tattiche, non è possibile realizzare questa situazione ideale, occorre che chi è preposto a questo lavoro dia il massimo di se stesso, in impegno, professionalità e azione, per alimentare e dirigere il dissenso sindacale e per radicare il Partito nella classe operaia.
Dobbiamo prendere ispirazione e forza dalla crescente contestazione dei vertici sindacali per far decollare a livello di massa e su un piano cosciente il movimento per il sindacato di classe. Consapevoli però che non vi riusciremo mai se non saremo capaci di coinvolgere gli operai che emergono nella lotta e sono in prima fila nell'attacco ai vertici sindacali fasulli e alla linea sindacale capitolazionista e collaborazionista.
Un'espressione molto importante e avanzata della contestazione sindacale si è avuta martedì scorso all'Assemblea dei delegati milanesi i quali hanno proclamato direttamente lo sciopero al posto del Comitato direttivo della Federazione sindacale. Ciò dimostra in maniera lampante quanto radicato sia ancora lo spirito del '68-'69 nella classe operaia, quanto giusta, attuale e lungimirante sia la parola d'ordine del Partito "Tutto il potere sindacale contrattuale all'assemblea generale dei lavoratori", e quanto dirompente sia la carica di lotta del nostro proletariato, la classe dirigente di tutte le masse sfruttate e oppresse e della rivoluzione socialista italiana.
Se non tutto il Partito può essere investito attualmente nella stessa misura e con gli stessi compiti nel lavoro sindacale, tutti quanti dovremo essere impegnati nel movimento per il lavoro che dovremo sforzarci di creare il più presto possibile. In particolare i giovani compagni e le compagne dovranno darsi da fare per agitare il problema fra i giovani e tentare di organizzarli e mobilitarli sull'obiettivo dell'occupazione.
(...) Quelle cifre spaventose della disoccupazione dimostrano quanto gravi siano le sofferenze del nostro popolo e quanto crudele e disumano sia il capitalismo. Di fronte a questo strazio, a questo sperpero di forze produttive dobbiamo fare qualcosa. Bisogna indire una grande campagna per l'occupazione, subito dopo quella per il sindacato di classe. Ci dobbiamo muovere su due piani: da una parte tramite studi, documenti e articoli su "Il Bolscevico" dobbiamo denunciare le inadempienze del governo, dei padroni e delle istituzioni, così come i piani assistenziali e i "pannicelli caldi" proposti dai vertici del PCI, FGCI e sindacali; dall'altra dobbiamo agire concretamente nella pratica per mobilitare i disoccupati soprattutto i giovani.
In pratica bisognerà dare le gambe al documento del CC sull'occupazione che porta la data del 14 marzo scorso. Le nostre parole d'ordine generali su questo problema sono: "Piena occupazione", "Lavoro per tutti i disoccupati", "Governo, padroni pubblici e privati, istituzioni assumete ciascuno una quota parte dei disoccupati". Su questa base e su questi obiettivi generali, insieme ai disoccupati che riusciremo ad organizzare dovranno essere realizzate delle piattaforme concrete atte a mobilitare i disoccupati e a costringere chi ha il potere politico, economico ed istituzionale a soddisfare le esigenze di chi è senza lavoro.
Data la scarsità di forze di cui possiamo al momento disporre, per la mancanza di esperienza di Partito in merito, per la concomitanza di altri impegni organizzativi e di lavoro su diversi settori, non sarà possibile costituire immediatamente un tale movimento. Ma questo non significa che dobbiamo stare con le mani in mano. Cominciamo a muoverci subito imbastendo dei piani concreti, elaborando una grande campagna per l'occupazione, iniziando dei contatti con i disoccupati, rilevando dal vivo i dati necessari attraverso opportune inchieste fra i disoccupati.
Le compagne che sono impegnate nel settore femminile e nei servizi sociali, e in genere nel lavoro di massa, stanno scrivendo una magnifica pagina nella storia del Partito. Noi tutti abbiamo molto da imparare da loro. Sicuramente regaleranno al Partito altre soddisfazioni e nuovi successi. Man mano che si innalzerà la loro coscienza e preparazione politica e crescerà la loro esperienza di lotta, più profonda e duratura sarà l'influenza che esse eserciteranno sul Partito e sulle masse. E noi la saluteremo con molta gioia perché il contributo delle compagne all'elaborazione, difesa, propaganda e applicazione della linea del Partito è determinante per la conquista delle masse femminili al Partito e al socialismo e per la completezza, la qualità e la stabilità del grande balzo in avanti del Partito.
Il PMLI da sempre ha dato una grande importanza al lavoro giovanile: perché è un Partito giovane composto a maggioranza di giovani, perché le sue origini risalgono al '68, perché ha una immensa fiducia verso i giovani che dalla Resistenza ad oggi sono in prima fila nella lotta antifascista e antimperialista, perché, infine, considera i giovani i tedofori del socialismo.
I giovani sono costantemente in cima ai nostri pensieri e oggetto quotidiano delle nostre più attente premure. Vorremmo che la gioventù si unisse in massa al PMLI perché sappiamo bene che solo sotto le sue bandiere può portare avanti con successo le sue lotte per il lavoro, lo studio, la casa, l'ambiente, lo svago e lo sport, dare libero corso alla sua creatività, al suo bisogno di esprimersi, contare e di essere protagonista di un reale cambiamento sociale, e di aprirsi l'avvenire.
Non è che noi pensiamo di poter conquistare tutti i giovani perché fra essi passano le classi e l'influenza dei vari partiti. Noi ci rivolgiamo principalmente ai giovani operai e lavoratori, ai giovani disoccupati, ai giovani emarginati, agli studenti figli degli operai e della gente del popolo ma anche ai giovani democratici e progressisti di qualsiasi origine sociale.
Una particolare attenzione rivolgiamo ai giovanissimi e alle giovanissime, a queste pagine bianche sulle quali con la partecipazione diretta degli interessati si possono scrivere dei magnifici spartiti rivoluzionari. Dobbiamo avere più fiducia verso le ragazze e i ragazzi dai 14 ai 18 anni e dedicare più tempo, più energie e più iniziative per attirarli a noi, organizzarli e mobilitarli all'azione e alla lotta.
Ora che finalmente, dopo tante alterne vicende e diverse sperimentazioni, abbiamo trovato le forme, i metodi e le piattaforme adatte all'aggregazione e alla mobilitazione dei giovani dobbiamo portare fino in fondo il nostro rapporto con i giovani. Bisogna penetrare, e rimanere stabilmente, nelle periferie urbane e nel mondo studentesco, più esattamente nella parte di esso che è più aperta e disponibile a recepire il nostro discorso.
I fatti di tutti i giorni che vedono la gioventù studentesca impegnata in prima fila nella lotta per la pace e in quella contro la mafia, la camorra e la 'ndrangheta e la droga, e la nostra stessa esperienza recente ci devono convincere che non si può incidere sulla gioventù e conquistarla se non si hanno con noi gli studenti sotto i 18 anni che costituiscono oggi la parte più attiva di tutta la gioventù.
Non trascurando di consolidare e sviluppare gli organismi giovanili di massa già esistenti, che costituiscono al momento il cuore e lo stato maggiore delle varie attività e iniziative giovanili, e mentre diamo corpo e pieno impulso al movimento dei giovani della periferia urbana, bisognerà quindi portare a un livello superiore i legami e i rapporti già in atto con gli studenti.
(...) Noi dobbiamo dare a loro, e a qualsiasi altro giovane che aspiri alla verità, la certezza che ancora oggi vale la pena di battersi per la giustizia sociale, per la libertà e la democrazia, per un mondo nuovo senza guerra e sfruttamento dell'uomo sull'uomo, per il socialismo. Dobbiamo fare di questi giovani dei veri protagonisti del cambiamento sociale, dei padroni dei loro movimenti e delle loro lotte, degli alleati del proletariato nella lotta contro il capitalismo e per il socialismo.
(...) Sappiamo che la costruzione e lo sviluppo del PMLI saranno una lotta di lunga durata, ma questo non ci fa paura. Siamo ancora nel pieno del vigore e abbiamo con noi dei giovani compagni che sono un campione di quanto di meglio oggi possa disporre la gioventù italiana. Dobbiamo però alzare la vigilanza perché il governo, le istituzioni, i revisionisti e tutta la reazione quasi certamente tenteranno di stroncare sul nascere le nuove organizzazioni di Partito, cosi come hanno fatto nel passato.
Noi tutti, quadri e militanti, abbiamo superato fin qui tremende difficoltà soggettive e oggettive che avrebbero spezzato le gambe a chiunque non avesse avuto la nostra tempra marxista-leninista, siamo perciò convinti che neanche le future inevitabili difficoltà saranno capaci di fermare il nostro cammino verso l'Ottobre e il socialismo. Dobbiamo solo dispiegare tutta la forza del Partito, impugnare saldamente la linea del Partito e applicarla risolutamente nella pratica perché il grande balzo in avanti diventi una realtà.
(...) Avanti con entusiasmo e risolutamente sulla via dell'Ottobre.

Il Comitato centrale del PMLI

Firenze, 29 ottobre 1983