Emerge dal rapporto dell'Ires-Cgil "I salari in Italia 2000-2010"
I lavoratori hanno perso 5.500 euro negli ultimi 10 anni
Aumentate le tasse sul lavoro dipendente del 13%. 7 milioni di lavoratori non superano mille euro al mese. Cresciuti i profitti delle aziende e le rendite finanziarie. il 45% della ricchezza del Paese è posseduta dal 10% delle famiglie più ricche
Questione salariale e fiscale da affrontare subito

Ci sono delle verità incontestabili ripetute negli anni perciò note e arcinote quali: il prezzo più salato della crisi economica lo pagano le masse popolari; il potere d'acquisto dei salari e delle pensioni è caduto drasticamente, mentre i profitti e le rendite finanziarie sono cresciute a dismisura; la pressione fiscale già pesantissima sul lavoro dipendente continua a crescere a seguito del fiscal-drag; si ampliano le diseguaglianze a favore di una minoranza di miliardari. I salari italiani sono tra i più bassi nell'Unione europea. Ma non succede nulla. Il governo non ci pone riparo. La Confindustria nei rinnovi contrattuali non è andata oltre la concessione di pochi spiccioli. I sindacati complici, Cisl e Uil, si sono addirittura accordati per una "riforma" della contrattazione che porta alla decurtazione certa dei salari rispetto alla dinamica dell'inflazione reale.
Che le cose stiano in questi termini è confermato dal rapporto dell'Ires-Cgil "I salari in Italia 2000-2010" presentato alla stampa il 27 settembre scorso e dal quale emerge il seguente dato eclatante e scandaloso nello stesso tempo: nell'ultimo decennio le retribuzioni dei lavoratori dipendenti, a causa dell'inflazione effettiva più alta di quella prevista, hanno subìto una perdita cumulativa del potere d'acquisto di 3.384 euro ai quali si aggiungono oltre 2 mila euro di mancata restituzione del fiscal-drag (drenaggio fiscale), che porta la perdita nel complesso a 5.453 euro. Ciò equivale a complessivi 44 miliardi di euro incamerati (sarebbe meglio dire rapinati) dal fisco e sottratti al potere d'acquisto dei salari.
Mentre i salari dei lavoratori sono andati giù in picchiata, i redditi delle famiglie con a capo un imprenditore o un libero professionista, stando ai dati ufficiali ben al di sotto di quelli reali, sono aumentati di 5.940 euro. A determinare questo risultato contribuisce in modo consistente il suddetto drenaggio fiscale sugli "incrementi salariali" che nel decennio considerato ha portato a un aumento del 13% del prelievo fiscale sul lavoro dipendente, mentre su tutti gli altri contribuenti tale pressione, avverte l'Ires-Cgil, è calata del 7,1%.
Nel rapporto è sottolineato che nel periodo 2000-2008, a parità di potere d'acquisto, le retribuzioni lorde italiane sono cresciute solo il 2,3% rispetto alla crescita reale delle retribuzioni lorde dei lavoratori inglesi (17,4%), francesi (11,1%) e americani (4,5%). Nella classifica dei 30 paesi OCSE del 2008, le dinamiche delle retribuzioni e del "costo del lavoro" italiani sono risultate all'ultimo posto. Sempre nei dati OCSE risulta che l'Italia è al sesto posto in quanto a diseguaglianze. Una situazione destinata a peggiorare ulteriormente nel 2011, è scritto nello studio dell'Ires. Già oggi, oltre 15 milioni di lavoratori dipendenti guadagnano meno di 1.300 euro al mese. Circa 7 milioni ne guadagnano meno di 1.000 di cui il 60% sono donne. Oltre 7 milioni di pensionati di vecchiaia o di anzianità (63% del totale) prende meno di 1.000 euro netti mensili.
A proposito di diseguaglianze retributive, prendendo come riferimento il salario medio netto di 1.260 euro, il rapporto segnala che: una lavoratrice mediamente guadagna il 12% in meno; un lavoratore di una piccola impresa (1-19 addetti) il 18,2% in meno; un lavoratore del Mezzogiorno il 20% in meno; un lavoratore immigrato, extra europeo, il 24,7% in meno; un lavoratore a tempo determinato il 26,2% in meno; un giovane lavoratore (15-34 anni) il 27% in meno; un lavoratore in collaborazione il 33,3% in meno.
C'è chi potrebbe dire che in tempo di crisi non crescono nemmeno i profitti. Non è così. Mentre i salari netti sono andati addirittura sotto il valore reale del 2000, i profitti delle maggiori imprese industriali sono cresciuti nel periodo 1995-2008, secondo i calcoli di Mediobanca, del 75,4%. Per i redditi da capitale (rendite) è andata ancora meglio, con una crescita dell'87%. I quali, come è noto godono di una tassazione ultrafavorevole, pari al 12% (in Europa è al 23%) a fronte una pressione fiscale sul lavoro pari al 44,4%.
È inevitabile che a tutto questo consegua un'accentuazione della distribuzione del reddito a favore dei più ricchi, che diventano ancora più ricchi. Basti dire che il 10% delle famiglie (2.380.000 circa) possiede quasi il 45% dell'intera ricchezza del Paese e ognuna di loro può contare su un patrimonio di 1.547.750 euro. Il 50% della popolazione (quasi 12 milioni di famiglie) invece si deve accontentare del 9,8% della ricchezza, con un capitale, tutto compreso, di 68 mila euro.
Una situazione così profondamente ingiusta e penalizzante verso il lavoro dipendente, specie se precario, femminile, giovanile e di migrante non è davvero più tollerabile. C'è una questione salariale e fiscale, che da troppo tempo aspetta risposte positive che, insieme al tema dell'occupazione, rappresenta a livello sindacale il problema più importante e urgente. Anni fa i sindacati confederali Cgil, Cisl e Uil annunciarono una vertenza fisco, e per questo fine elaborarono una piattaforma rivendicativa, ma poi è abortita nel nulla. Una questione che deve essere rilanciata in modo tempestivo e con forza, mettendo in campo le iniziative di lotta necessarie, per rivendicare dal governo una riduzione consistente e strutturale delle tasse sui redditi e sulle pensione medio-basse e al padronato e allo Stato aumenti salariali, quanto meno per adeguare le retribuzioni italiane alla media europea. Il che può avvenire solo se sarà cambiata radicalmente la "politica dei redditi" portata avanti dai sindacati sin qui, se sarà rifiutata la subordinazione dei salari ai profitti, se sarà respinta e affossata la "riforma" della contrattazione contenuta nell'accordo separato del 2 gennaio 2009 e difeso il contratto nazionale di lavoro, se sarà ripristinata, in qualche modo, la scala mobile su salari e pensioni, se sarà elaborata una piattaforma sul fisco che faccia pagare di meno chi ha meno e di più chi ha di più, in particolare i grandi patrimoni e le grandi rendite finanziarie, e conduca una lotta intransigente contro la grande evasione ed elusione fiscali.

13 ottobre 2010