La legge sul risparmio tutela i falsificatori di bilanci
Con la legge sul risparmio approvata a tambur battente dal parlamento nero prima di Natale il neoduce Berlusconi ha raggiunto due obiettivi in un colpo solo: ha liquidato la spinosa pratica Bankitalia, mettendo l'istituto e il suo governatore sotto il pieno controllo del governo, e ha blindato in maniera definitiva la depenalizzazione del falso in bilancio, con la quale aveva aperto la serie delle leggi ad personam ad inizio legislatura.
Formulata in teoria per tutelare i piccoli risparmiatori dopo i crac Cirio e Parmalat, dopo aver languito per quasi due anni nelle commissioni parlamentari la legge sul risparmio era stata riesumata l'estate scorsa dopo l'esplosione dello scandalo Fazio-Fiorani, per inserirvi le nuove norme di elezione del governatore di Bankitalia. In quel contesto al Senato, in maniera fortuita e solo per ragioni di decenza, era passata una modifica alla legge del 2001-2002 sul falso in bilancio che poneva alcuni limiti alla depenalizzazione del reato, voluta dalla Casa del fascio per disinnescare una serie di processi a carico di Berlusconi e dei suoi amici, ma avente però effetti anche su altri scandali finanziari a danno dei risparmiatori truffati.
Ben consapevoli del pericolo, il neoduce Berlusconi e il suo fido Tremonti non hanno posto tempo in mezzo: con un emendamento al ddl sul risparmio e sulle nuove norme di Bankitalia fatto approvare in tutta fretta il 22 dicembre alla Camera e il giorno dopo al Senato, hanno rimesso infatti le cose a posto riportando la normativa sul falso in bilancio sostanzialmente allo stato della scandalosa "riforma" di inizio legislatura. E a scanso sorprese ci hanno pure messo sopra il voto di fiducia: ben tre alla Camera e altri due al Senato. Anche se l'"opposizione", pur pronunciandosi contro il colpo di mano del governo sul falso in bilancio, non aveva certo annunciato le barricate, e anzi aveva rinunciato in partenza a manovre ostruzionistiche per non ostacolare la "soluzione" del caso Bankitalia. Possibilmente con la nomina di un governatore se non concordato, almeno ad essa "non sgradito", come poi è avvenuto con la designazione di Draghi.
Del resto la depenalizzazione del falso in bilancio del 2001-2002 approvata dalla Casa del fascio aveva sfruttato, peggiorandola ulteriormente, proprio una precedente proposta di legge dell'Ulivo, che comunque mirava ad alleggerire il reato. Con la "riforma" berlusconiana il falso in bilancio da reato di "pericolo" (per i soci, ma anche per gli investitori, i creditori, i concorrenti ecc.) veniva derubricato a reato di "danno": cioè solo se danneggia i soci. E, per quanto riguarda le società non quotate in Borsa, perseguibile solo su querela di parte dei danneggiati. Una differenza sostanziale perché, come ebbe a mettere in evidenza il pm Davigo: "Mai visto processi per falso in bilancio nati da denunce del socio di maggioranza, che di solito è il mandante e il beneficiario del reato: assurdo pensare che denunci l'amministratore che ha eseguito i suoi ordini. Quanto al socio di minoranza, se anche sporge denuncia, è facile fargliela ritirare risarcendogli il danno. Stabilire la perseguibilità del falso in bilancio a querela dell'azionista è come stabilire la perseguibilità del furto a querela del ladro".
In ogni caso le pene massime erano state ridotte da 5 a 4 anni per le società quotate e a 3 anni per le non quotate. Vietate di conseguenza le intercettazioni e il carcere preventivo e ridotti anche i termini per la prescrizione. Con un decreto attuativo della legge delega firmato nel gennaio 2002, Berlusconi fissava inoltre le soglie quantitative (soprannominate ironicamente "modica quantità") al di sotto delle quali il falso in bilancio non esiste proprio: 5% del risultato economico o 1% del patrimonio netto (comprendente tutte le voci possibili e immaginabili per gonfiarlo).
Come per incanto in questi anni sono così svaniti nel nulla una serie di processi a carico del neoduce, da quello per l'acquisto del calciatore Lentini, a quello dei fondi neri All Iberian; da quello per i miliardi in nero girati sui conti di Previti e Pacifico per corrompere i giudici (processo Sme), a quello per i diritti sui film acquistati negli Usa a prezzi gonfiati per costituire fondi in nero all'estero, e così via. Ma la stessa sorte è toccata ad altri processi a carico di imputati eccellenti, come Gnutti, Colaninno, Brancher (per i soldi al PSI e a De Lorenzo), Pesenti, Mattioli, Romiti, il cardinale di Napoli Giordano, i manager coinvolti nel crac Ferruzzi, ecc.
Nel testo modificato due mesi fa dal Senato erano state corrette le norme più scandalose. Era stato cancellato l'obbligo del danno a soci e creditori per la perseguibilità del reato, ed erano state abolite le soglie di impunità. Il massimo della pena era stato elevato da 4 a 5 anni, ed era stato introdotto il reato di grave nocumento al risparmio pubblico, con un massimale di pena di 6 anni. Con il colpo di mano prenatalizio Berlusconi e Tremonti hanno riazzerato tutto riportando la normativa sul falso in bilancio allo status quo ante, cioè reintroducendo le soglie di impunità del 5% del risultato economico e dell'1% del patrimonio (la "modica quantità", che poi è tutt'altro che tale perché a seconda delle dimensioni dell'azienda può valere anche centinaia di milioni di euro), e l'obbligo della querela di parte per le società non quotate, mentre il massimale di pena è stato riportato da 5 a 4 anni. Quanto al reato di grave nocumento al risparmio pubblico, è vero che è stato mantenuto, ma le pene che andavano da 2 a 6 anni sono scese a un minimo di 3 mesi e un massimo di 3 anni. È stata solo abbassata, la soglia di punibilità, che nella versione precedente scattava per un numero di risparmiatori truffati pari a ben 280 mila (!), e ora scatterà al raggiungimento di "soli" 56 mila.
È significativo che, quasi come una ciliegina sulla torta, a pochi giorni dall'approvazione di questa grottesca legge, siano state rese pubbliche le motivazioni della sentenza sul processo All Iberian, secondo le quali il neoduce Berlusconi è stato prosciolto dalle accuse di falso in bilancio e false attestazioni perché il fatto è - scrivono i giudici della seconda sezione penale di Milano - "non più previsto dalla legge come reato". Altro che repubblica delle banane..., come ama dire l'Unione della "sinistra" borghese.

4 gennaio 2006