Lenin: "il capitalismo porta necessariamente alla lotta degli operai contro i padroni ... mediante gli scioperi"

Qual è la ragione per cui la grande produzione di fabbrica porta sempre agli scioperi? La ragione sta nel fatto che il capitalismo porta necessariamente alla lotta degli operai contro i padroni; quando poi la produzione diventa grande produzione, questa lotta diviene necessariamente lotta mediante gli scioperi. (...)
Il capitalismo è quella struttura della società in cui la terra, le fabbriche, gli strumenti, ecc., appartengono a un piccolo numero di proprietari terrieri e di capitalisti, mentre la massa del popolo non possiede, o quasi, alcuna proprietà e deve perciò lavorare a salario. (...) I fabbricanti pagano agli operai soltanto un salario con il quale essi e le loro famiglie possono appena vivere; e tutto ciò che l'operaio produce in più della quantità di prodotto che gli occorre per vivere, se lo intasca il fabbricante: ciò costituisce il suo profitto. Nell'economia capitalistica, quindi, la massa del popolo lavora a salario presso altre persone, non lavora per sé, ma per i padroni in cambio di un salario. È comprensibile che i padroni cerchino sempre di abbassare il salario: quanto meno daranno agli operai tanto più profitto rimarrà loro. Gli operai invece cercano di ottenere il salario più alto possibile, per poter nutrire la loro famiglia con cibo sufficiente e sano, per poter abitare in una buona casa, vestire non come miserabili, ma come vestono tutti. (...)
Ma può un operaio condurre questa lotta isolato? (...) I grandi proprietari fondiari e i fabbricanti introducono nelle loro aziende macchine che tolgono lavoro agli operai. Nelle città vi sono sempre più disoccupati, nelle campagne sempre più poveri, la popolazione affamata fa abbassare i salari sempre di più. Per l'operaio diviene impossibile lottare da solo contro il padrone. Se l'operaio esige un buon salario o non acconsente ad una diminuzione, il padrone gli risponde: vattene, alla porta ci sono molti affamati; essi sono contenti di lavorare anche per un salario basso.
Quando l'immiserimento del popolo giunge a un punto tale che nelle città e nei villaggi esistono costantemente masse di popolo senza lavoro (...) il capitalista ottiene la possibilità di schiacciare l'operaio completamente, di costringerlo a una fatica mortale in un lavoro da galeotto (...) Ed ecco che, per non lasciarsi sospingere ad una tale condizione estrema, gli operai iniziano una lotta disperata. Vedendo che ognuno di essi, se isolato, è assolutamente impotente e minacciato dal pericolo di perire sotto il giogo del capitale, gli operai incominciano a insorgere insieme contro i loro padroni. Hanno inizio gli scioperi di operai. (...)
Se il salario dell'operaio viene stabilito - come abbiamo visto - con un contratto fra il padrone e l'operaio, se l'operaio isolato risulta, all'atto di questo contratto, completamente impotente, è chiaro che gli operai dovranno necessariamente difendere le loro richieste insieme, dovranno necessariamente organizzare scioperi, se vorranno impedire al padrone di abbassare i salari, o ottenere una paga più elevata. E infatti non vi è un solo paese a struttura capitalistica nel quale non ci siano scioperi di operai. In tutti gli Stati europei e in America gli operai si sentono impotenti se isolati, e possono resistere ai padroni soltanto uniti, organizzando scioperi oppure minacciando lo sciopero. E quanto più il capitalismo si sviluppa, quanto più rapidamente aumentano le grandi fabbriche e officine, quanto più energicamente i piccoli capitalisti vengono eliminati dai grandi, tanto più urgente diventa per gli operai la necessità di resistere uniti, perché tanto più grave diviene la disoccupazione, tanto più forte diventa la concorrenza tra capitalisti, che tendono a produrre le merci il più a buon mercato possibile (e per farlo bisogna pagare gli operai il meno possibile), tanto più forti sono le oscillazioni nell'industria e le crisi. Quando l'industria prospera i fabbricanti ricavano grandi profitti e non pensano affatto a farne parte agli operai; durante la crisi, invece essi cercano di far ricadere le perdite sulle spalle degli operai. (...)
Quando di fronte ai ricchi capitalisti stanno degli operai nullatenenti, isolati fra di loro, questi non possono che essere completamente asserviti. Quando però questi operai nullatenenti si uniscono, le cose cambiano. Nessuna ricchezza può recare vantaggio ai capitalisti se non trovano degli operai disposti ad applicare il loro lavoro agli strumenti e ai materiali che essi posseggono e a produrre nuove ricchezze. Quando gli operai sono isolati gli uni dagli altri di fronte ai padroni, rimangono degli autentici schiavi e lavorano eternamente per un tozzo di pane per conto di un uomo a loro estraneo, rimangono eternamente dei salariati docili e muti. Ma quando gli operai proclamano insieme le loro rivendicazioni e rifiutano di sottomettersi a colui che ha il portafoglio gonfio, allora essi cessano di essere degli schiavi, diventano degli uomini, cominciano ad esigere che il loro lavoro non serva soltanto ad arricchire un pugno di parassiti (...) Gli scioperi incutano sempre terrore ai capitalisti perché incominciano a scuotere il loro dominio. (...)
È l'operaio che mette in moto tutto questo meccanismo, coltivando la terra, estraendo il minerale, manifatturando le merci nelle fabbriche, costruendo le case, i laboratori, le ferrovie. Quando gli operai rifiutano di lavorare, tutto questo meccanismo minaccia di arrestarsi. Ogni sciopero ricorda ai capitalisti che i veri padroni non sono loro, ma gli operai, i quali proclamano a voce sempre più alta i loro diritti. Ogni sciopero ricorda agli operai che la loro situazione non è disperata, che essi non sono soli. (...) Nei periodi normali, pacifici, l'operaio porta il suo giogo senza parlare, non contraria il padrone, non discute sulla propria condizione. Durante lo sciopero egli proclama ad alta voce le proprie rivendicazioni, ricorda ai padroni tutti i loro soprusi, proclama i propri diritti, pensa non solo a se stesso e alla sua paga, ma anche a tutti i compagni che hanno abbandonato il lavoro insieme a lui e che difendono la causa operaia senza temere le privazioni. (...)
Lo sciopero insegna agli operai a comprendere dove sta la forza dei padroni e dove quella degli operai, insegna loro a pensare non soltanto al loro padrone e non soltanto ai loro compagni più vicini, ma a tutti i padroni, a tutta la classe dei capitalisti e a tutta la classe degli operai. Quando un fabbricante che si è fatto dei milioni sul lavoro di alcune generazioni di operai non acconsente al più modesto aumento di salario o cerca addirittura di abbassarlo ancora di più e, nel caso che gli operai resistano, getta sul lastrico migliaia di famiglie affamate, gli operai vedono chiaramente che tutta la classe capitalistica è nemica di tutta la classe operaia, che gli operai possono contare soltanto su se stessi, sulla propria unione. Molto spesso accade che il fabbricante cerchi con tutte le forze di ingannare gli operai, di presentarsi come un benefattore, di mascherare lo sfruttamento degli operai con qualche elemosina da nulla, con qualche promessa menzognera. Ogni sciopero distrugge sempre di un colpo tutti questi inganni, mostrando agli operai che il loro "benefattore" è un lupo in veste d'agnello,
Ma lo sciopero fa capire agli operai chi sono non soltanto i capitalisti, ma anche il governo e le leggi (...) Gli operai vengono a sapere che hanno trasgredito le leggi: la legge permette ai fabbricanti sia di riunirsi che di accordarsi apertamente per diminuire il salario degli operai, ma se gli operai si mettono d'accordo fra loro vengono dichiarati criminali! (...) Diventa allora chiaro per ogni operaio che il governo dello zar è il suo peggior nemico che difende i capitalisti e lega mani e piedi agli operai. L'operaio comincia a capire che le leggi vengono emanate nell'interesse dei soli ricchi e che anche i funzionari difendono gli stessi interessi; che al popolo lavoratore viene tappata la bocca e non gli si permette di parlare dei suoi bisogni: che la classe operaia deve necessariamente conquistarsi il diritto di sciopero, il diritto di pubblicare giornali operai (...) Anche il governo stesso comprende molto bene che gli scioperi aprono gli occhi agli operai: ecco perché teme tanto gli scioperi e vuole ad ogni costo soffocarli al più presto. (...)
Gli scioperi, dunque, abituano gli operai all'unione, mostrano loro che soltanto uniti, possono lottare contro i capitalisti, insegnano loro a pensare alla lotta di tutta la classe operaia contro tutta la classe dei fabbricanti e contro il governo autocratico e poliziesco. Ecco perché i socialisti - oggi avrebbe scritto marxisti-leninisti, ndr - chiamano gli scioperi una "scuola di guerra", scuola nella quale gli operai imparano a fare la guerra contro i loro nemici, per la liberazione di tutto il popolo e di tutti i lavoratori dal giogo dei funzionari e dal giogo del capitale.
(Estratti dallo scritto di Lenin "Sugli Scioperi", fine 1899, pubblicato per la prima volta nel 1924 nella Proletarskaia revolutsa, Opere complete, Vol. 4, pagg. 316-323)

21 luglio 2010