L'autobiografia di Cossutta
"Una storia comunista" o una storia revisionista?

Puntuale è arrivata in libreria anche l'autobiografia di Armando Cossutta, fondatore del PRC e attuale presidente del PdCI. Dopo quelle di D'Alema, Fassino, Veltroni, Occhetto, Ingrao e Bertinotti.
L'amor di sé è irrefrenabile per i politicanti borghesi, sia di destra che di "sinistra". Si credono talmente importanti da magnificare la loro opera, a futura memoria.
Cossutta vuole che lo si ricordi come un "comunista, senza vergogna e senza abiure". Per dimostrarlo ha scritto l'autobiografia dal titolo "Una storia comunista", con l'aiuto del giornalista Gianni Montesano, capo ufficio stampa del PdCI.
Ma è veramente così? Per noi marxisti-leninisti, no. In realtà si tratta di una storia revisionista. L'abbiamo sempre detto e dimostrato in documenti del PMLI e su "Il Bolscevico". Leggendo questo libro ne abbiamo una riprova.
Cossutta infatti ci documenta che si è sempre comportato da togliattiano e da berlingueriano per aver appoggiato il "rinnovamento" del PCI, la concezione del "partito nuovo", la "via italiana al socialismo", il "compromesso storico", i "governi di solidarietà nazionale", il XX Congresso del PCUS e la condanna di Stalin.
Una linea revisionista, riformista, parlamentarista, pacifista, legalitaria e costituzionale che egli ha sempre seguito, anche quando ha fondato prima il PRC e poi il PdCI appoggiando il primo governo Prodi e il governo D'Alema, e ora è pronto a fare altrettanto con l'eventuale nuovo governo Prodi.
Questo perché, come egli dice, "nel PCI l'ipotesi della lotta armata non è mai esistita: era stata accantonata dalla Direzione del partito sin dai tempi della liberazione e definitivamente scartata con la scelta repubblicana e costituzionale" (p. 150). Convinto com'era che "in Occidente il socialismo non può affermarsi che coniugandosi con la pienezza della democrazia" (borghese, ndr) (pag. 179).
Il dissidio con Berlinguer, e successivamente con Occhetto, non riguarda quindi la strategia borghese e riformista del PCI, bensì il rapporto tra questo e la centrale revisionista di Mosca di cui Cossutta era un agente prezzolato. Quando poi questa centrale va a pezzi regalando totalmente l'Urss ai capitalisti, e il rinnegato Gorbaciov non è più in grado di sostenerlo, Cossutta si "mette in proprio" per riempire il vuoto che si creava a sinistra con la liquidazione del PCI e la fondazione del PDS, oggi DS e domani chissà che cosa.
"Rifondazione comunista - dice Cossutta - era un segno di continuità ma anche di innovazione, esattamente quello che ci proponevamo di fare, cioè costruire un partito che conservasse e allo stesso tempo innovasse e rendesse attuale e moderna l'esperienza politica dei 'Comunisti italiani"' (p. 230).
Bertinotti, prendendolo in contropiede non gliel'ha concesso in quella forma, con quei caratteri e con quella strategia, e allora Cossutta ha ripreso il suo vecchio discorso revisionista, anticomunista e controrivoluzionario fondando il PdCI. Una nuova trappola per il proletariato rivoluzionario e per i fautori del socialismo.
Nelle sue parole finali Cossutta afferma: "ho cercato di essere sempre un comunista, un comunista italiano" ( p. 272). è vero. Solo che al posto di comunista va letto revisionista.
Un inedito. A 16 anni, due anni prima di entrare nel PCI e nelle Sap (Squadre di azione partigiana), Cossutta era un avanguardista, membro della Gioventù del littorio fascista. Sapevamo dei trascorsi fascisti di Ingrao, solo ora apprendiamo quelli di Cossutta. Meglio tardi che mai!

27 ottobre 2004