"Libro bianco'' di Maroni: con l'arbitrato, aggirato e annullato l'art. 18 dello "Statuto dei lavoratori''
IL GOVERNO BERLUSCONI CONCEDE AI PADRONI LA LIBERTA' DI LICENZIAMENTO
Così si torna alla legislazione fascista del 1942
In quella sorta di "nuova carta del lavoro'' della seconda repubblica neofascista, contenuta nel "Libro bianco'' del ministro leghista del Lavoro Maroni, c'è un punto, tra tutti, particolarmente grave e indecente che richiede di essere evidenziato, smascherato e denunciato. Riguarda l'istituto dell'arbitrato nei conflitti di lavoro finalizzato ad aggirare e annullare gli effetti dell'art.18 della legge 300 ("Statuto dei lavoratori'') e di conseguenza, concedere ai padroni la libertà di licenziamento come da tempo rivendicano i grandi capitalisti alla Agnelli, la Confindustria di D'Amato e persino il governatore di Bankitalia Fazio. Oltre a quella che i padroni hanno nelle aziende sotto i 15 dipendenti e col moltiplicarsi dei contratti di lavoro a tempo e precari.
Attenzione però! Il governo del neoduce Berlusconi questo obiettivo intende realizzarlo per via indiretta, subdola, truffaldina e con la collaborazione dei sindacati (sic!); consapevole di non poter richiedere direttamente la cancellazione della suddetta norma sulla "giusta causa'' di tutela nei casi di licenziamenti illegittimi, visto che essa ha passato il vaglio di un recente referendum (quello promosso dai radicali) senza che sia stata abrogata. Infatti, nel suo libro nero Maroni non parla mai di art.18 da eliminare ma di "attuale ordinamento giuridico del lavoro da modernizzare''. Non si azzarda a parlare di licenziamenti ma di "regime estintivo di rapporto di lavoro indeterminato''. Ciancia di privilegi garantiti agli insider (lavoratori occupati) a scapito degli outsider (i disoccupati). Richiama in modo del tutto strumentale le inefficienze e le lungaggini presenti nella giustizia del lavoro in Italia; facendo finta di non sapere che nei processi di lavoro le cause per licenziamenti individuali senza giusta causa rappresentano un'infima parte. Per arrivare a proporre la sua "soluzione'', appunto l'abirtrato.

POTERI INDISCRIMINATI
"Il Governo - si legge - considera assai interessante la proposta, da più parti avanzata, di sperimentare interventi di collegi arbitrali.
Le controversie di lavoro - aggiunge - potrebbero essere amministrate con maggiore equità ed efficenza per mezzo di collegi arbitrali. Con particolare riferimento al `regime estintivo del rapporto di lavoro indeterminato', si potrebbe anche considerare la possibilità di conferire allo stesso collegio arbitrale di optare per la reintegrazione o per il risarcimento''. Dunque, non più obbligatorietà e automaticità del reintegro nel posto di lavoro del lavoratore licenziato ingiustamente, deciso dal giudice del lavoro, ma solo possibilità, opzione, stabilita dal collegio arbitrale tra reintegro e risarcimento economico.
In questo quadro, il governo vuole affidare, a questi collegi arbitrali, poteri che siano svincolati e non condizionati dalle norme di legge e da quelle contrattuali. Esso infatti considera sbagliato e da rimuovere "il divieto di affidare all'arbitrato le controversie che abbiano ad oggi oggetto diritti del lavoratori derivanti da disposizioni di legge o da contratti collettivi. è insufficiente - insiste - a rilanciare l'istituto arbitrale nelle controversie di lavoro vincolare l'arbitro al rispetto della legge e dei contratti collettivi e considerare impugnabile il lodo arbitrale, per qualsiasi vizio, innanzi alla Corte di Appello''.
Affidare le controversie di lavoro, specie quelle per "giusta causa'', al magistrato ordinario o al collegio arbitrale c'è una sostanziale differenza: il primo emette una sentenza, sui diritti eventualmente violati, indiscutibile e da applicare, pena ulteriori sanzioni; il secondo, per sua natura, propone soluzioni di compromesso che, nel caso specifico, mira ad evitare, a favore delle imprese, il reintegro del lavoratore messo fuori dall'azienda.

REGRESSIONE LEGISLATIVA E CONTRATTUALE
è vero che il ricorso all'arbitrato non è indicato come obbligatorio, visto che c'è una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (527/2000) che lo vieta. Ma molti sono i modi per farlo diventare "obbligatorio'' di fatto. Si va dalle pressioni che le aziende esercitano direttamente sui lavoratori interessati; al pagamento delle spese del processo in caso di sconfitta legale; a proposte di defiscalizzazione dei soldi ottenuti in sede di arbitrato.
Insomma, anche se la via perseguita è piuttosto contorta, l'obiettivo del governo è la libertà di licenziamento. Con tutte le conseguenza regressive e devastanti che si possono facilmente immaginare sul piano legislativo e delle tutele sindacali dei lavoratori di oggi e di domani. In buona sostanza verrebbero annullati le norme e gli effetti della legge n. 604/1966 che introdusse il principio del "giustificato motivo'' per licenziare e in sua assenza il reintegro o, alternativamente, un'indennità risarcitoria; la legge 300/1970 che sanciva l'obbligo del reintegro, nelle aziende sopra i 15 dipendenti, nei casi di licenziamenti discriminatori ingiustificati. Si tornerebbe alla legislazione fascista, segnatamente all'art. 2118 del codice civile del 1942, che contemplava la piena libertà di licenziamento "ad nutum'', cioè con un semplice cenno.
La libertà di licenziamento mette nelle mani dei padroni un enorme potere indiscriminato e ricattatorio e mina, alle fondamenta, l'intero impianto delle tutele sindacali sancite nello "Statuto dei lavoratori'', nei contratti nazionali di lavoro, nella stessa legislazione del lavoro. In questa ottica, il problema non riguarda solo il diritto del singolo lavoratore licenziato, ma tutti i lavoratori, le masse popolari, le libertà sindacali, le stesse libertà democratico-borghesi. Essendo sotto perpetua minaccia di licenziamento, chi e quanti avranno il coraggio di alzare la testa ed esporsi nei luoghi di lavoro, nel sindacato (figuriamoci militare in una forza politica di sinistra) per far valere ogni tipo di diritto: dal salario, all'orario, alla contrattazione dei ritmi di lavoro, alla sicurezza, alla salute, alla pensione, allo sciopero, ecc.?
Opporsi risolutamente, senza tentennamenti e concessioni a questa deriva reazionaria è dunque per tutti i lavoratori e per gli stessi sindacati un'esigenza vitale inderogabile.

7 novembre 2001