Il "Libro bianco'' di Maroni riporta ai tempi di Mussolini le relazioni sindacali e il lavoro
Abolizione del contratto nazionale, contratti individuali, licenziamenti più facili, gabbie salariali, ridimensionamento del diritto di sciopero, riduzione delle pensioni pubbliche, maggiori flessibilità in entrata, via libera ai privati nel collocamento
Contestualmente al varo della Finanziaria 2002 di 33 mila miliardi, contenente tre leggi delega su previdenza, "mercato del lavoro'', fisco ed enti locali il governo del neoduce Berlusconi, tramite il suo ministro del Lavoro, il leghista Roberto Maroni, ha avviato il 4 ottobre scorso una serie di incontri con i sindacati confederali, la Confindustria e le altre associazioni padronali sulla (ennesima e più liberista che mai) "riforma'' del welfare e delle relazioni sindacali. Maroni, accompagnato dal ministro Marzano e dai vice-ministri Sacconi e Baldassarri ha illustrato alla trentina di rappresentanti delle suddette organizzazioni il "Libro bianco'' sul "mercato del lavoro'' e il dossier della "Commissione Brambilla'' sulla previdenza. è interessante notare che tra gli estensori di questi due documenti vi è un gruppo di economisti e giuristi che avevano collaborato, a suo tempo, con Tiziano Treu quando era ministro del Lavoro dei governi di "centro-sinistra'' sugli stessi temi, ora passati al servizio del governo di "centro-destra''.
Appare chiaro che a conclusione di questi incontri, al termine di quello che ora viene chiamato il "dialogo sociale'' i temi trattati e nel "Libro bianco'' e nel dossier previdenza saranno recepiti nelle leggi delega sopra citate, indipendentemente dal dissenso espresso in sede sindacale e senza discussione e approvazione parlamentare. Come abbiamo già scritto nell'articolo sulla Finanziaria apparso nel numero scorso de "Il Bolscevico'', l'attacco iperliberista e fascista del governo Berlusconi alle condizioni di lavoro e di vita delle masse lavoratrici e popolari e alle libertà sindacali passa in larga parte proprio da queste leggi delega. Occorre pertanto sviluppare una campagna di denuncia propedeutica e di supporto alla mobilitazione di piazza, progressiva e generale. In particolare ci occuperemo del "Libro bianco''. Del dossier previdenza ne parleremo in un prossimo articolo.

FOTOCOPIA DEL PIANO DELLA CONFINDUSTRIA
Di questo "Libro bianco'' colpisce: la sua voluminosità, conta 89 pagine; la quantità dei temi trattati; la linea, gli obiettivi e le motivazioni tutte chiaramente al servizio degli interessi del grande capitale; l'arroganza tutta padronale con cui vengono perseguiti questi obiettivi; il salto di qualità iperliberista e decisionista che si intende imporre nelle relazioni sindacali. Tutte queste caratteristiche ricordano da vicino il programma reazionario e antioperaio messo a punto dalla Confindustra nell'aprile scorso a Parma al quale i ministri di Berlusconi si sono ampiamente rifatti. Questa controriforma generale sui temi del lavoro, sociali, fiscali e sindacali la cui applicazione sarà fortemente favorita dalla legge sul federalismo voluta dal governo di "centro-sinistra'' Amato, più che richiamare il liberismo di stampo thatcheriano e reaganiano ci riporta ai tempi di Mussolini.

VIA LA CONCERTAZIONE
Con Berlusconi salta persino il metodo della concertazione con i sindacati sulle materie del lavoro, sociali e previdenziali, sostituito dal cosiddetto "dialogo sociale''. D'ora in avanti il governo presenterà alle "parti sociali'' le sue proposte, ascolterà le loro considerazioni e, in tempi molto stretti, legifererà comunque sia, accogliendo o meno le proposte che gli sono state avanzate, anche davanti a un netto e totale dissenso di una parte o di tutti i rappresentanti sindacali. Maroni, echeggiando quanto già sostenuto dal presidente di Confindustria, D'Amato, e dallo stesso Agnelli ha detto che gli accordi si fanno con chi ci sta (vedi il caso del contratto di lavoro dei metalmeccanici). Ciò col chiaro intento di "rompere'' l'unità sindacale, coltivare il collateralismo dei sindacati più filogovernativi e filopadronali ed isolare la Cgil affinché ceda e capitoli. In pratica salta tutto il vecchio impianto delle relazioni sindacali e contrattuali fondato sulla "politica dei redditi'' e i due livelli contrattuali: quello nazionale e quello decentrato aziendale.
La concertazione e gli accordi triangolari di stampo neocorporativo governo-Confindustria-sindacati avviati dal "patto sociale'' del 23 luglio '93 sulla "politica dei redditi'', che pure hanno favorito in modo sfacciato i profitti padronali, che pure hanno permesso all'Italia di sanare i bilanci dello Stato e di entrare nell'Euro, che pure hanno penalizzato enormente i salari operai e le tutele sindacali sono considerati un lacciuolo di cui sbarazzarsi, una "mediazione'' non più accettabile, una perdita di tempo da eliminare per portare fino in fondo le privatizzazioni e la deregolamentazione del lavoro, per ridimensionare e mettere fuori gioco il potere contrattuale e di pressione dei sindacati, Cgil anzitutto, per fare prevalere senza vincoli le ferree leggi del "mercato'' e della competitività internazionale.
Questo nuovo metodo, di fatto, è già in azione visto che a metà novembre il governo intende terminare il giro di incontri e presentare i decreti legislativi.

UN RADICALE SALTO INDIETRO
La faccenda è seria, molto seria e non va affatto sottovalutata da parte dei lavoratori e dei loro rappresentanti sindacali, di tutte le forze politiche e sociali progressiste, democratiche e antifasciste. Se questi provvedimenti gravissimi e totalmente irricevibili passassero, tutte le conquiste (o per meglio dire ciò che rimane di esse) del movimento dei lavoratori sarebbero d'un tratto azzerate facendo fare un salto indietro di parecchi decenni.
Il primo a saltare sarebbe il contratto collettivo nazionale di lavoro, sostituito dai contratti regionali in linea col nuovo assetto federale dello Stato disegnato dalla recente legge costituzionale sottoposta a referendum, che conferisce alle regioni la facoltà di legiferare in materia di lavoro. Rompendo così a livello territoriale l'unità economica e normativa dei lavoratori di uno stesso settore di lavoro, ripristinando le vecchie e odiose "gabbie salariali'' per il Sud, facendo dilagare le flessibilità orarie. Non solo. è prevista persino l'introduzione del contratto individuale. Una cosa mostruosa! In pratica le aziende possono contrattare direttamente col lavoratore il tipo di contratto, le condizioni di lavoro e le spettanze sindacali in deroga ai contratti nazionali. Ad esempio, meno salario, rinuncia alla tredicesima, accettazione di lavoro nei giorni festivi in cambio dell'allungamento del contratto.

LIBERTA' DI LICENZIARE
Liberalizzazioni e flessibilità, fino alla libertà di licenziamento sono dunque i capisaldi su cui poggia il "Libro bianco''. In questo ambito Maroni ripropone per dire l'odioso contratto di lavoro a chiamata a intermittenza (job on call in inglese) bocciato mesi orsono clamorosamente nel contratto aziendale della Zanussi. In pratica i lavoratori che firmano un contratto del genere sono a disposizione 24 ore su 24 per eventuali esigenze aziendali in cambio di una piccola indennità e un minimo di lavoro garantito annualmente.
Sulla stessa falsariga le modifiche peggiorative previste per il part-time e il contratto a termine. Il governo vuole favorire e incentivare una più ampia utilizzazione di questi istituti eliminando vincoli di natura burocratica e sindacale. E intende proporre una sorta di lavoro "superinterinale'', cioè il leasing di manodopera, con agenzie specializzate nella fornitura a carattere continuativo e a tempo indeterminato (e non a termine come nell'interinale) di parte della forza lavoro, ampiamente diffuso negli Usa e in Gran Bretagna.
Il moltiplicarsi delle forme private dell'impiego di mano d'opera ha come conseguenza il superamento e la cancellazione del collocamento pubblico.
Scompare gradualmente il contratto di formazione-lavoro sostituito dall'apprendistato.
Nel libro nero di Maroni non poteva mancare un punto paradossalmente intitolato "Giustizia del lavoro'' che desse ai padroni la libertà di licenziare in contrasto con l'art.18 dello Statuto dei lavoratori sulla "giusta causa''. Di fronte a un licenziamento riconosciuto in sede legale illegittimo, in pratica si vorrebbe conferire al collegio arbitrale il potere di decidere se reintegrare il lavoratore interessato oppure optare per un risarcimento in denaro. Insomma, come primo passo si mira a rompere l'automaticità del reintegro in azienda del licenziato. Non a caso il governo ha già messo in agenda la messa in discussione e la modifica della legge 300/70 con un non ben precisato "Statuto dei lavori'' per abbattere tutele e garanzie fondamentali.

INGABBIATO LO SCIOPERO
Mentre sul lavoro il governo Berlusconi alleggerisce regole e vincoli, sul diritto di sciopero, in particolare per il pubblico impiego, li aumenta, li rende più pesanti per limitarne il più possibile il suo utilizzo; oltretutto nel momento stesso in cui i dipendenti pubblici sono duramente colpiti dalla legge finanziaria. Come? Introducendo il referendum consultivo obbligatorio tra i lavoratori chiamati a scioperare e sostituendo la Commissione Garanzia (per l'esercizio del diritto di sciopero) con un organismo più direttamente controllato dal governo e meno "permissivo''.
Preoccupano e molto le (non) reazioni dei vertici sindacali. Specie quelle di Cisl e Uil, gratificati dalle attenzioni particolari dedicate loro dal governo, che non si sono peritati negli ultimi anni a firmare numerosi contratti separati di natura filopadronale e che, attraverso Savino Pezzotta e Luigi Angeletti, rispettivamente segretari generali di Cisl e Uil, hanno avanzato pericolose e deleterie aperture al "Libro bianco'' di Maroni ed espresso, addirittura, degli apprezzamenti su parti di esso. Su questa base, dovrebbe essere chiarissimo almeno in casa Cgil, che non c'è nessunissimo spazio di trattativa e che la parola passa alla lotta e alla mobilitazione.
Occorre una risposta di lotta forte e tempestiva certamente non a difesa della concertazione e della "politica dei redditi'' ma sulla base di una nuova e diversa piattaforma rivendicativa. Si moltiplicano le ragioni per indire lo sciopero generale nazionale. Che ne se ne parli anche nei congressi Cgil in corso: è un'occasione da non perdere.

17 ottobre 2001