Malasanità a Messina
Botte in sala parto per il commercio dei pazienti
Ne hanno pagato le conseguenze una partoriente e il neonato
Cinque i medici di Messina indagati nell'inchiesta che accerterà le responsabilità per il gravissimo episodio di malasanità accaduto nella sala parto del reparto di ostetricia e ginecologia del Policlinico della città dello Stretto il 26 agosto. Il sostituto procuratore, Francesca Rende, sta ascoltando il personale presente quel giorno ad "assistere" Laura Salpietro, 30 anni, durante il travaglio.
Due medici, un borsista dell'Università, Antonio De Vivo che seguiva privatamente la donna, e che non aveva nemmeno l'abilitazione per operare, e Vincenzo Benedetto, titolare del turno di guardia in reparto mentre "assistevano" la donna hanno scatenato una rissa in sala parto. Durante la sanguinosa lite tra i due medici si è consumato un fatale ritardo di un'ora e mezza e solo quando si sono evidenziate le gravi complicazioni, i sanitari hanno deciso di operare con taglio cesareo, ma il bambino durante l'intervento subisce due arresti cardiaci, nasce asfissiato e adesso è in terapia intensiva, con sospetti danni cerebrali dovute a due ischemie. Dopo il parto la paziente ha avuto una emorragia ed è stata nuovamente operata con l'asportazione dell'utero. Indagati anche i medici che hanno eseguito questa seconda operazione.
Ciononostante Domenico Granese, direttore dell'unità operativa di ostetricia e ginecologia del Policlinico di Messina, dichara: "Tutto si è svolto regolarmente. L'intervento dei sanitari visto le complicazioni della donna è stato tempestivo. Non c'è alcun rapporto tra la lite e le complicazioni della donna che sono sorte a prescindere da quello che è accaduto".
"Non deve più accadere, abbiamo già attivato gli ispettori", ha detto il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, Pdl, sulla vicenda, "Questo - ha continuato Fazio - è chiaramente non solo un episodio di malasanità, ma indecoroso: questo non deve più succedere. Queste cose succedono purtroppo, prevalentemente, anche se non unicamente, in regioni in cui c'è, diciamo, un lassismo della sanità".
Il problema non è il "lassismo" nella sanità meridionale o perlomeno non è solo quello. Con tutta evidenza il problema principale è che in Italia il privato spadroneggia sul pubblico e il commercio dei pazienti è diventato una routine nelle corsie.
Secondo quanto emerge dal racconto del marito della donna, infatti, appare evidente che dietro la rissa che ha impedito un intervento tempestivo ci sono interessi economici legati alla professione. De Vivo pretendeva di escludere dal parto cesareo il medico strutturato. La motivazione era che la gestante era stata seguita da lui, nel suo studio privato. Ma anche l'altro dottore è titolare di uno studio privato e le assicurazioni mediche, per fare un esempio, rimborsano i parti cesarei con circa 2mila euro in più in rispetto al parto naturale. Sarà stato, allora, proprio questo il lucroso motivo della rissa in sala parto a Messina?
Ma bisognerebbe anche capire come mai un medico come De Vivo, che con la struttura pubblica ha solo un rapporto da assegnista e che è titolare di uno studio privato e non ha alcun titolo ad operare, pensa sia scontato accogliere nella struttura pubblica la "sua" paziente e decidere il cesareo con una convocazione immediata dell'anestesista della struttura stessa per la sala operatoria. Lo stesso direttore generale del Policlinico, Giuseppe Pecoraro, rivela che è uso comune che i ginecologi che frequentano i reparti della struttura pubblica hanno pazienti personali seguiti fuori dalle mura ospedaliere, gestanti che spesso partoriscono nelle cliniche private, se possono, oppure arrivano in ospedale sperando di trovare in sala parto il "loro" medico.
Insomma, appaiono delinearsi i contorni di un megabusiness che vive e prospera su un insano rapporto tra pubblico e privato, nel quale il primo è subordinato agli interessi economici del secondo. In Italia l'affare del cesareo produce annualmente profitti milionari. Le statistiche degli ultimi anni dicono che nel nostro Paese i parti con taglio cesareo sono passati dall'11% del 1980 al 38% del 2008, la più alta percentuale a livello europeo e forse mondiale. La media Ocse accettabile di cesarei è di non oltre il 25%. Nelle regioni del Sud dove è raro trovare medici pubblici che non siano anche titolari di uno studio privato o non abbiano rapporti con il privato, la cifra sale moltissimo. In Sicilia la percentuale dei tagli cesarei è del 52%, mentre la Campania supera il 60%. Ad esempio nel caso particolare della giovane donna di Messina, il quadro clinico e i monitoraggi del feto nelle ultime settimane lasciavano supporre che avrebbe potuto dare alla luce suo figlio attraverso parto spontaneo. Invece il suo ginecologo di fiducia aveva iniziato la procedura per un taglio cesareo. Alla luce di quanto detto, quel "non deve più accadere" detto da un ministro del governo che ha più di tutti favorito il consolidarsi degli interessi privati nella sanità pubblica suona solo come una presa in giro per la famiglia che ha subito questo trattamento e non è certo con le parole che si mette un freno al proliferare degli atti di malasanità negli ospedali italiani.

8 settembre 2010