Davanti al palazzo della Regione Liguria
IL MANGANELLO DI BERLUSCONI E SCAJOLA SI ABBATTE SUBITO SUGLI OPERAI DELL'ILVA
I lavoratori protestavano contro la chiusura della fabbrica e i licenziamenti
Come Mussolini, anche il neoduce Berlusconi e il suo fido ministro degli Interni Claudio Scajola, 48 ore dopo il giuramento al Quirinale, hanno esordito sfoderando il manganello.
A farne le spese sono stati gli operai delle acciaierie dell'Ilva di Cornigliano, quartiere a ponente di Genova, in lotta da anni contro la chiusura della fabbrica, perché troppo inquinante, e il licenziamento di ben 1.200 lavoratori: il 13 giugno sono stati selvaggiamente picchiati dalla polizia mentre tentavano di far valere pacificamente le loro ragioni.
La giornata di lotta dei lavoratori Ilva inizia con la conferma ufficiale dell'ordine di sequestro e la conseguente chiusura di tutta la linea per la lavorazione a caldo dell'acciaio a cominciare dalla cokeria deciso da un'ordinanza del Tribunale Amministrativo. Ciò significa che oltre mille famiglie stanno per finire sul lastrico per volontà del nemico giurato degli operai Emilio Riva.
Esasperati da mesi di trattative inconcludenti, gli operai convocano subito un'assemblea e decidono di raggiungere in corteo il palazzo regionale per manifestare il proprio malcontento.
Alla testa del corteo lo striscione dei "giovani operai Ilva'', a seguire circa mille lavoratori a bordo di pesanti mezzi meccanici, caterpillar, gru e camion.
Dopo otto chilometri di marcia, all'ingresso del centro città gli operai intonano a squarciagola "Bandiera rossa'' e slogan contro il governo Berlusconi e il padron Riva riscuotento la solidarietà e l'incoraggiamento dei passanti.
Giunti all'altezza di via Fieschi, a ridosso dei palazzoni in cemento armato della Regione, gli operai in corteo invece di essere accolti "a braccia aperte'' come aveva promesso la sera prima il governatore forzista Sandro Biasotti si trovano davanti un cordone di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa con un'inquietante foggia nero/parà.
Al primo accenno di oltrepassare il cordone di poliziotti, gli operai vengono selvaggiamente aggrediti e picchiati a sangue a suon di manganellate. La polizia cerca di sciogliere il corteo ma gli operai non demordono e coraggiosamente attraverso le viuzze e le scalette del centro storico raggiungono il palazzo della regione. Non appena il corteo si ricompatta davanti all'ingresso della regione partono altre violente cariche della polizia accompagnate dagli applausi di un gruppo di consiglieri missini ex picchiatori fascisti usciti dalle fogne e approdati alla corte del loro nuovo duce Berlusconi.
Bilancio: 5 operai feriti alla testa con prognosi di 5 e 10 giorni e diversi manifestanti contusi.
Respinti dalla polizia gli operai bloccano per tutta la giornata il centro della città e al termine dell'incontro in prefettura fra i presidenti di Regione e Provincia, il berlusconiano Biasotti e la diessina Marta Vincenzi, il sindaco DS Giuseppe Pericu e il padron Riva ottengono a tarda sera un accordo che blocca per 10 giorni i licenziamenti in attesa di una soluzione governativa.
Insomma se questo è il biglietto da visita del governo Berlusconi che fino a poche settimane fa prometteva milioni di nuovi posti di lavoro e ora getta sul lastrico 1.200 famiglie non bisogna esitare nemmeno un minuto a dichiarare guerra totale al governo del neoduce Berlusconi pieno zeppo di fascisti, neofascisti, secessionisti, razzisti, piduisti e liberisti.
Anche i governi di "centro-sinistra'' da Prodi a D'Alema e Amato che niente hanno fatto per impedire i licenziamenti non sono immuni da responsabilità in tutta questa vicenda. Anzi, la triste storia dell'Ilva di Cornigliano inizia proprio con la completa privatizzazione dello stabilimento voluta dall'ex presidente dell'Iri e poi presidente del Consiglio, il DC Prodi che in cambio di due lire ha svenduto uno dei pilastri della siderurgia pubblica italiana a favore di Emilio Riva. E si è conclusa con l'Accordo di Programma siglato il 29 novembre del 1999 fra l'allora presidente del Consiglio, il rinnegato Massimo D'Alema, gli Enti locali liguri, sindacati e Riva che prevede comunque la chiusura totale della lavorazione a caldo ma non fornisce garanzie certe sul futuro occupazionale dei lavoratori.