Le mani degli imperialisti su Haiti affamata e devastata dal terremoto

Un devastante terremoto di magnitudo 7,3 ha colpito il 12 gennaio l'isola di Haiti. Il sisma ha avuto epicentro sulla terraferma, 15 chilometri a sudovest della capitale Port au Prince, semidistrutta da quattro potenti scosse che hanno raso al suolo la parte bassa della città. Un tragico evento che ha colpito il paese più povero delle Americhe, dove quasi l'80% della popolazione vive con meno di 2 dollari al giorno e la disoccupazione è al 70%; il bilancio provvisorio, stimato dal governo del presidente Renè Preval, è di almeno 150 mila vittime, anche se si teme che il numero possa arrivare a 500 mila. I feriti e i senzatetto sono oltre tre milioni e mezzo.
Immediati sono partiti gli aiuti da molti paesi e con altrettanta rapidità si sono allungate le mani degl imperialisti sul paese affamato. A partire dagli Usa.
Obama annunciava l'invio di 6 mila soldati e l'incarico ai suoi due predecessori, George W. Bush e Bill Clinton, di coordinare gli aiuti umanitari. Le immagini di un Clinton impegnato a distribuire i pacchi di aiuti del 19 gennaio potrebbero però trarre in inganno perché a quella data i soccorsi erano ancora fermi nell'aeroporto della capitale preso in gestione dai militari americani. La macchina organizzativa degli Usa girava a vuoto, "non possiamo distribuire a caso. Bisogna assicurare la giusta divisione", affermavano i responsabili militari, impegnati soprattutto a dirigere il traffico dell'aeroporto. Con grande scorno della Francia: "l'aeroporto non è a disposizione della comunità internazionale ma si è trasformato in un appendice di Washington", dichiarava l'ambasciatore francese ad Haiti, protestando perché un aereo francese con a bordo un ospedale da campo non aveva ricevuto l'autorizzazione all'atterraggio dai militari Usa. Critiche simili venivano espresse dal rappresentante del Brasile.
Francia e Usa, le due potenze coloniali che nel tempo hanno controllato l'isola, e il Brasile che non vuol certo mancare al suo ruolo di potenza egemone locale si accapigliavano per assicurarsi il controllo degli aiuiti e della ricostruzione. Per trasformare l'abbraccio solidaristico in un imprigionamento del paese caraibico. Anche altri paesi imperialisti hanno mandato aiuti e mezzi militari, tra i quali l'Italia di Berlusconi che ha disposto la partenza della portaerei Cavour ma la partita principale la giocano in tre. Con gli Usa in posizione di vantaggio.
Obama ha sostenuto che "questo è un momento che richiede la leadership dell'America" e ha mosso le fila per assumere il ruolo di guida della coalizione internazionale accorsa in aiuto a Haiti, nell'isola caraibica che si trova nel "cortile di casa" americano. Un modo anche per mantenere il controllo di Haiti dopo che i recenti contatti del presidente Préval col venezuelano Chavez, avevano portato all'isola consistenti forniture energetiche e partecipazioni in progetti infrastrutturali che potevano attirare Haiti verso l'Alba, l'alleanza economica continentale antiamericana guidata dal Venezuela.
Un obiettivo che rientra anche nei desideri brasiliani. Con i soccorsi il presidente Lula ha inviato il ministro della Difesa a verificare l'azione dei quasi 1.300 soldati brasiliani impegnati nella missione Onu di stabilizzazione (Minustah), diretta dal suo paese. Un ruolo che svolge da sei anni a conferma delle ambizioni brasiliane di conquistarsi un proprio spazio egemone anche nell'America centrale, in collaborazione e competizione con l'imperialismo americano. Ma anche con quelle di Venezuela, Bolivia e Nicaragua.
Nel frattempo gli aiuti restano all'aeroporto della capitale, e la popolazione continua a soffrire l'immane tragedia provocata dal terremoto a cui si è aggiunto l'occupazione imperialista dell'isola.

20 gennaio 2010