La manovra di stabilità
Tagli, tagli, tagli
Sospesa la "riforma" universitaria perché non ci sono i soldi. Bossi: "Tremonti è come Bismark, cancelliere di ferro"

In appena 30 minuti il consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, ha approvato il 15 ottobre la legge di stabilità (ossia la vecchia legge finanziaria) e il disegno di legge (ddl) recante disposizioni per la formazione del bilancio dello Stato per il triennio 2011-2013, all'unanimità, dunque anche con i voti dei ministri finiani perfettamente allineati sulla politica finanziaria, economica, sociale del governo di cui fanno parte. Il tutto compresso in un unico articolo accompagnato da una miriade di tabelle comprensibili solo agli addetti ai lavori. Perché ha tenuto a sottolineare Tremonti, "i numeri vengono prima della politica". Come se i numeri, ovvero le cifre del bilancio dello Stato (entrate e spese), non fossero il frutto di scelte politiche fatte proprio da lui e dal governo del neoduce Berlusconi.
Nella conferenza stampa che si è tenuta subito dopo, il "super" ministro dell'Economia ha dato la sua versione dei fatti e illustrato a modo suo la manovra di stabilità appena varata, con una faccia tosta unica. Ha parlato di "discussione responsabile" e di "massima condivisione" tra i componenti dell'esecutivo, ha parlato di una riconferma della manovra economica approvata nel luglio scorso, con nessun nuovo taglio ma con una rimodulazione delle spese: "non si tratta di nuovi interventi - si legge nel comunicato del governo - bensì di una redistribuzione di risorse di bilancio" pari a 1.000 milioni per l'anno 2011, 3.000 milioni per il 2012 e 9.500 milioni di euro per il 2013, da impiegare, è detto, per la costruzione di centrali nucleari, la pubblica amministrazione, welfare, la "riforma" fiscale. E qui Tremonti ha gonfiato il petto e affermato: "Il governo italiano avanza sulla strada dell'Europa. L'Italia è il primo Paese che imposta una grande riforma fiscale. Ora le tappe sono la stabilità e lo sviluppo... Da oggi possiamo formalmente avviare la seconda fase".
In realtà i provvedimenti proposti, si potrebbe dire imposti, da Tremonti hanno suscitato forti malumori, se non proprio contrasti aperti con alcuni ministri che hanno visto sospesi e rinviati, o addirittura cancellati gli stanziamenti necessari a varare interventi nei settori di competenza. È il caso del ministro dell'istruzione, Mariastella Gelmini, che si è vista sospendere la "riforma" universitaria, ivi compresi gli emendamenti che prevedevano, tra l'altro, la creazione di un fondo di 1,7 miliardi di euro fino al 2016 e 480 milioni annui dal 2017 in poi per finanziare l'assunzione a tempo indeterminato di 9 mila ricercatori precari. Non ci sono i soldi si è giustificato Tremonti, caso mai se ne riparlerà a fine anno con il decreto "milleproroghe".
È il caso del ministro dei Beni Culturali, il rinnegato Sandro Bondi, al quale è stato cancellato lo stanziamento per la defiscalizzazione dei contributi di privati per il cinema e altre attività culturali. E poi la ministra dell'ambiente, Stefania Prestigiacomo, che ha minacciato le dimissioni per il taglio dei fondi ai parchi, e il ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan che a fronte dei tagli previsti per il suo dicastero ha dichiarato: "È una tragedia".
Ma Tremonti se ne frega e tira a diritto, anche perché gode dell'appoggio assoluto del leader della Lega neofascista, razzista e xenofoba Umberto Bossi, il quale ha affermato: "Tremonti viene attaccato dagli altri ministri? Io lo difendo come sempre, lui è come Otto Von Bismark, il cancelliere di ferro". "Chi tiene stretta la borsa - ha aggiunto - tiene stretto il potere".
Non si capisce nulla dei contenuti e delle sue ricadute economiche e sociali della suddetta legge di stabilità se non la si ricollega con la manovra finanziaria correttiva 2010-2012 per un ammontare di 24 miliardi di euro, di cui è sostanzialmente una conferma, approvata dal governo anch'essa in una manciata di minuti nel maggio scorso, una manovra di lacrime e sangue, di vera macelleria sociale per tagliare drasticamente la spesa pubblica, colpire duramente i lavoratori pubblici in particolare, ma anche quelli privati, ridurre pesantemente e in modo intollerabile i trasferimenti finanziari a Regioni e Enti locali con prevedibili conseguenze drammatiche per il mantenimento dei servizi e del welfare che ormai all'80% si applica a livello locale. Se si tiene conto che ricchi e ricchissimi non sono stati minimamente toccati, a costoro non è stato chiesto alcun contributo nemmeno una-tantum e gli evasori sono stati ulteriormente favoriti, con l'ennesimo maxi-condono edilizio.
Tagli, tagli, tagli, sono l'elemento distintivo della politica finanziaria di Tremonti. Tutti a danno dei lavoratori e delle masse popolari: il congelamento degli stipendi per tre anni ai dipendenti pubblici; decine e decine di migliaia di precari di scuola, università e pubblico impiego che non vedranno rinnovato il contratto per il dimezzamento dei fondi, il blocco del turn-over nella pubblica amministrazione, l'innalzamento dell'età pensionabile da 60 a 65 anni per le lavoratrici pubbliche; la riduzione di diverse centinaia di milioni di euro del fondo sanitario nazionale; il peggioramento della normativa per la pensione di invalidità; il taglio delle risorse alle Regioni di 10 miliardi in due anni e di altri 3,3 miliardi a province e comuni; e ancora un taglio cosiddetto "lineare" del 10% delle risorse a tutti i ministeri senza alcun discrimine, senza discernimento fondato sulle peculiarità e le necessità di spesa e investimento.
Dietro le cifre della legge di stabilità c'è questa politica profondamente antipopolare e con un segno recessivo se è vero come è vero che il potere d'acquisto di salari e pensioni è andato giù a picco, la povertà ha raggiunto livelli di massa assolutamente allarmanti, la precarietà investe un'intera generazione di giovani, la disoccupazione (dati di Bankitalia) è schizzata all'11,05%. Senza dire delle centinaia di fabbriche con lavoratori in cassa integrazione e a rischio di licenziamento. Senza dire delle scuole che cadono a pezzi, dei servizi sociali strozzati dalla mancanza di risorse.
La promessa di Tremonti di avviare una seconda fase di sviluppo, dopo quella della "sistemazione dei conti pubblici", è una panzana, è fumo negli occhi. Una seconda fase che dovrebbe decollare attraverso "una grande riforma fiscale". Ma se è dal 2002 che il consulente fiscale per le grandi aziende Tremonti, nella veste di ministro del Tesoro, promette a ogni piè sospinto la "riforma" fiscale. Salvo poi fare poco o nulla per alleggerire la pressione fiscale tra le più alte a livello europeo su lavoratori e pensionati, per dissuadere e progressivamente eliminare l'elusione e l'evasione fiscali. Anzi, se qualcosa è stato fatto, ha favorito gli evasori, vedi i condoni edilizi, vedi lo scudo fiscale per il rientro in Italia dei capitali esportati illecitamente all'estero. E in ogni caso la "riforma" che hanno in mente sia Tremonti sia Berlusconi si basa sulla riduzione delle aliquote Irpef a soli due scaglioni a favore dei redditi alti, sullo spostamento della pressione tributaria dalle imposte dirette a quelle indirette, dal reddito personale alle cose che cancella il principio della progressione, chi più ha più deve contribuire. Senza toccare i privilegi fiscali delle rendite e delle transazioni finanziarie, e di quelle patrimoniali.
Tra l'altro il debito dello Stato in relazione al Prodotto interno lordo (Pil) non va affatto bene, vuoi perché il governo ha dato tanti soldi alle banche a fondo perduto per uscire dalla crisi che esse stesse hanno contribuito a far esplodere, vuoi perché le entrate fiscali si sono ridotte a causa della recessione produttiva e la caduta dei consumi, vuoi perché l'evasione fiscale ha proseguito a prosperare. Anche la corruzione nella pubblica amministrazione diventata sistema, com'è apparso chiaro nei traffici della "loggia P3", pesa non poco sui bilanci dello Stato. Il che può comportare nuovi interventi finanziari correttivi del governo nei prossimi mesi. Altro che investimenti, altro che sviluppo.
Per inibire la protesta, Tremonti agita lo spettro del tracollo finanziario greco. Invece questa terribile ipotesi deve essere un motivo in più per mobilitare la piazza, per proclamare lo sciopero generale da parte della Cgil e degli altri sindacati se ci stanno per contestare e bloccare questa politica economica, per buttare giù il governo Berlusconi prima che faccia ulteriori danni!

27 ottobre 2010