Per ritorsione contro la Fiom e i lavoratori che si oppongono al suo diktat
Marchionne scippa la monovolume a Mirafiori e la trasferisce in Serbia
Immediati scioperi e proteste degli operai Fiat di Torino

L'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, che amerebbe essere osannato come salvatore dell'industria italiana, ci va giù molto duro nel braccio di ferro che è in atto con la Fiom e i lavoratori del Gruppo, con in testa gli operai di Pomigliano che non ci stanno a subire senza colpo ferire il suo diktat, a rinunciare ai propri diritti contrattuali e legislativi, per non dire quelli costituzionali, diritto di sciopero in primis. Al supermanager di Torino non gli è andato giù il fallimento del plebiscito nel referendum tenutosi alla Fiat di Pomigliano, e nemmeno lo sciopero riuscito dell'intero Gruppo del 16 luglio contro i licenziamenti antisindacali, cinque per il momento, a Mirafiori e alla Sata di Melfi, e contro il mancato pagamento del premio di risultato. Da qui l'accusa ai sindacati di "non essere seri", accusa rivolta alla Fiom ed anche alla Cgil e non certo ai sindacati complici Cisl, Uil e Fismic e Ugl che fin qui hanno servilmente assecondato ogni atto di Marchionne. Da qui l'annuncio improvviso e clamoroso di voler trasferire la produzione della nuova monovolume da Mirafiori di Torino allo stabilimento di Kragujevac in Serbia.
Per i tempi in cui si inserisce questo annuncio e per le motivazioni tranquillamente esplicitate, esso assume un chiaro significato di rappresaglia e di ennesimo ricatto per piegare la resistenza dei lavoratori e, magari, per ottenere ulteriori sostegni di carattere economico dal governo Berlusconi. Facendo leva, per questo, sul fatto che il governo di Belgrado sarebbe disponibile a elargire 10 mila ero per ogni lavoratore assunto e generosi sconti fiscali. Quello della delocalizzazione per ottenere aumenti di produttività con lo stesso personale, una riduzione del "costo del lavoro" e aumenti progressivi di profitto, senza conflittualità sindacale per Marchionne è diventato un metodo sistematico: nel 2004 traslocò la Panda da Torino in Polonia; nel 2010 toglie la produzione della nuova Panda alla Polonia per portarla a Pomigliano alle condizioni che si sanno; ora il giochino si ripete con lo scippo della nuova monovolume a Mirafiori per produrla in Serbia.
"La strategia della Fiat - ha affermato il segretario della Fiom, Maurizio Landini - è quella di contrapporre gli stabilimenti, gli operai e gli stessi Paesi". Nel caso specifico si tratta "di una linea di ritorsione nei confronti del sindacato e dei lavoratori". Anche per il segretario generale della Cgil è difficile non pensare ad un atto di ritorsione. Ormai si usa "qualsiasi pretesto per intimorire o colpire lavoratori e delegati. Questo è inaccettabile nell'Italia e nell'Europa d'oggi".
Di fronte alla nuova uscita del vertice della Fiat il governo balbetta, il ministro del lavoro Sacconi si è limitato a elemosinare un incontro non si capisce bene per fare cosa. Totalmente spiazzati i vari Bonanni e Angeletti rimasti, come suol dirsi, con il moccolo in mano. Più duro, o sarebbe meglio dire, più furbo elettoralmente parlando, il leghista Calderoli che ha affermato: "L'ipotesi ventilata da Marchionne non sta né in cielo né in terra. Non si può pensare di sedersi a tavola, mangiare con gli incentivi per l'auto e gli aiuti dello Stato e poi alzarsi senza nemmeno aver pagato il conto".
Per quanto la battaglia si faccia più dura e il ricatto aziendale assai più pesante, se Mirafiori chiudesse (e non è escluso che questo alla fine sia uno degli obiettivi di Marchionne) andrebbero a casa 10 mila lavoratori tra diretti e indiretti. Gli operai hanno risposto senza timore e tempestivamente con scioperi e presidi ai cancelli della fabbrica, assumendo e sostenendo la seguente parola d'ordine: "Da Torino a Pomigliano non ci pieghiamo"!

28 luglio 2010