Eletto Marini con i voti dei senatori della "sinistra" borghese
Un crumiro dc nuovo presidente del Senato
Premiato un ex sindacalista cislino servo del capitalismo. Il neoeletto apre alla casa del fascio e inneggia all'interventismo dell'italia
È Franco Marini, capocorrente della destra democristiana nella Margherita, ex sindacalista della Cisl, il nuovo presidente del Senato, eletto coi voti dell'Unione della "sinistra" borghese il 29 aprile. Marini è risultato eletto con 165 voti contro 156 alla terza votazione (o anche alla quarta, perché la seconda è stata annullata e ripetuta a causa di tre schede col suo nome scritto "sbagliato"), in un estenuante quanto squallido confronto, tutto tra ex DC, con il plurinquisito (e condannato per mafia, anche se prescritto) Giulio Andreotti, candidato della Casa del fascio.
A proposito di questo duello tra ex compari dello scudocrociato (Marini è stato tra l'altro ministro del Lavoro nell'ultimo governo Andreotti nel 1991), un democristiano di antico pelo come Paolo Cirino Pomicino, anche lui plurinquisito per reati di corruzione e oggi riciclato nella nuova DC alleata con la Casa del fascio, aveva osservato significativamente: "Marini o Andreotti: dà il senso del valore di una classe dirigente. Onore a entrambi. Rappresentano la DC, anzi sembra di nuovo di essere di fronte a un confronto fra le correnti".
Anche il modo con cui si è arrivati all'elezione di Marini è stato caratterizzato da intrighi, mercato di voti sottobanco, ricatti mafiosi e intrallazzi degni di un vecchio congresso democristiano. Uno spettacolo disgustoso che ha accomunato in un unico calderone maleodorante la destra e la "sinistra" borghese, con la prima che si è servita della candidatura di un assetato di potere come Andreotti, sponsorizzata anche dal Vaticano, per cercare di strappare voti degli ex DC nel campo avversario; e la seconda che è stata tenuta in ostaggio per ben tre scrutini dagli ex DC di Mastella (i cosiddetti "franceschi tiratori", per via delle schede col nome di Marini scritto volutamente sbagliato), che reclamava da Prodi il ministero della Difesa: e solo dopo che il capo dell'UDEUR ha ricevuto formali assicurazioni in tal senso (e forse non solo lui, ma anche altri dentro e fuori l'Unione di Prodi) la situazione si è sbloccata permettendo a Marini di passare al quarto tentativo, addirittura con alcuni voti in più provenienti dal "centro-destra".
Con Marini sale dunque al seggio più alto del Senato, la seconda carica dello Stato, un incallito e navigato democristiano, che ha vissuto da protagonista e sempre in posizioni di potere tutte le fasi dell'ascesa, caduta e resurrezione dello scudocrociato, fin da quando nel 1979 vi entrò proveniente dal PSDI, diventando in breve tempo leader della corrente di "Forze nuove" fondata da Donat Cattin; per poi, dopo Tangentopoli, diventare nel '97 segretario del PPI nato sulle ceneri della DC, tentando da quella posizione perfino la scalata al Quirinale (fallita), fino a diventare il leader della destra democristiana della Margherita, dando insieme a Rutelli diversi grattacapi a Prodi, che a un certo punto si era visto bocciare dai due il suo progetto di lista unica dell'Ulivo e ad affrontare quasi il rischio di una scissione.
Ma Marini è anche un anticomunista e un ex sindacalista collaborazionista. È stato segretario della CISL dal 1985 al 1991, gli anni più neri dei governi del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani), quelli degli attacchi sistematici e devastanti alle conquiste dei lavoratori, come la scala mobile e il diritto di sciopero, contribuendovi da buon crumiro sindacale, anche imprimendo alla CISL una sua marcata impronta di destra con la liquidazione di ogni residua spinta interna all'unità sindacale. Una vocazione da servo del capitalismo, questa, che apparirà ancor più chiara quando nel 1991 lascia il sindacato per diventare ministro del Lavoro nel governo Andreotti, come dire da falso "difensore" dei lavoratori a rappresentante effettivo degli interessi padronali nel consiglio d'affari della borghesia.
Anche il suo discorso d'insediamento riflette fedelmente questa sua squallida carriera di crumiro anticomunista e democristiano. Che non a caso intende coronare servendo il sistema capitalista, lo Stato borghese e il regime neofascista nella loro interezza, più che la "sinistra" borghese che lo ha eletto: "Guardando i fatti, i fatti che avete determinato voi, mi sembrerebbe non giusto non sostenere che prevalentemente sono eletto dalla maggioranza politica che ha vinto le recenti elezioni. Ma sarò il presidente di tutto il Senato e in un dialogo fermo e mai abbandonato sarò il presidente di tutti voi, con grande attenzione e rispetto per le prerogative della maggioranza e per quelle dell'opposizione, come deve essere in una vera democrazia bipolare che io credo di aver modestamente contribuito, anche con il mio apporto, a realizzare nel nostro Paese", ha detto infatti il neoeletto aprendo alla Casa del fascio. Invitandola esplicitamente allo "sviluppo di forme di moderna collaborazione".
In nome di che cosa? Per unire il Paese "chiamato a rilanciare la sua competitività economica in un mondo divenuto un mercato globale", dice Marini, che risfodera per l'occasione il suo accanito interventismo di cui ha già fatto ampio sfoggio in parlamento firmando mozioni in appoggio all'occupazione dell'Iraq e contro il ritiro delle nostre truppe: "La nostra ferma collocazione nelle alleanze atlantiche - ha detto questo degno successore del crociato guerrafondaio Pera - non ci deve impedire di muoverci liberamente nelle nuove regioni orientali del mondo, dove il nostro sviluppo può trovare radici ed intrecci fertili e vitali".
In altre parole il crumiro DC Marini chiede di espandere il capitalismo italiano nel mondo anche con la forza militare. E su questo è pronto a svolgere un ruolo di mediazione tra la destra e la "sinistra" del regime neofascista, affinché non ci siano ostacoli allo sviluppo e all'espansione del nuovo colonialismo armato italiano. Non per nulla ha voluto aprire il suo discorso ricordando ancora una volta i soldati morti a Nassiriya, nonostante che l'aula li avesse già commemorati in apertura dei lavori. Come del resto, in perfetta sintonia - essendo ormai un rituale obbligato per tutti i servi del regime neofascista omaggiare le forze armate interventiste - aveva fatto anche il nuovo guardiano della Camera, Bertinotti, alla fine del suo discorso di insediamento.

3 maggio 2006