Concluso il maxi-processo "Spartacus1"
16 ergastoli per il vertice del clan dei Casalesi

Dopo 11 anni si è concluso, con il terzo grado di giudizio, il processo Spartacus1, il più grande processo contro la camorra del dopoguerra, paragonabile solo al maxiprocesso di Palermo istruito da Falcone e Borsellino negli anni '80. Prese il via il primo luglio 1998 presso la Procura di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) per merito dei pm del pool anti-camorra: Federico Cafiero De Raho, Franco Roberti, Lucio Di Pietro, Francesco Greco, Carlo Visconti, Francesco Curcio, Raffaele Cantone, Raffaello Falcone, Antonello Ardituro, Lello Magi. Dopo 7 lunghi anni, ben 626 udienze, in cui sono stati ascoltati oltre 500 testimoni e 24 collaboratori di giustizia di cui 6 imputati, il 15 settembre 2005, nell'assordante silenzio dei mass media nazionali del regime neofascista, era giunta la sentenza di 1° grado: 95 condanne, tra cui 21 ergastoli.
Fino all'ultimo ci sono stati tentativi per fermare questo processo, compreso il tentativo di appellarsi alla legge Cirami (legge varata dal governo Berlusconi) da parte di tutti i boss alla sbarra.
Il 19 giugno 2008, dopo che il processo era stato trasferito nell'aula bunker di Poggioreale per le minacce di morte indirizzate a magistrati (il Pm Cantone) e giornalisti (Rosaria Capacchione de il mattino e Roberto Saviano autore di Gomorra), è arrivato anche il giudizio della sentenza d'appello con la conferma di 16 richieste di ergastolo formulate dai Pm sulla base di ben 550 faldoni di prove e testimonianze che hanno portato alla sentenza: carcere a vita per "i capi" della holding dei Casalesi: Francesco Schiavone, detto Sandokan, Francesco Bidognetti, detto Cicciott 'e mezzanotte, Michele Zagaria, Mario Iovine e Mario Caterino, Giuseppe Caterino, Cipriano D'Alessandro, Enrico Martinelli, Sebastiano Panaro, Giuseppe Russo, Francesco Schiavone, Walter Schiavone, Luigi Venosa, Vincenzo Zagaria, Alfredo Zara, Raffaele Diana. Dieci anni e mezzo al "pentito" Carmine Schiavone.
Lo scorso 15 gennaio è stata finalmente la volta della Corte di Cassazione che ha confermato tutte le condanne, anche se restano da catturare 4 "superlatitanti": Michele Zagaria, Antonio Iovine, Mario Caterino, Sebastiano Panaro.
Nel corso dei tre gradi di giudizio sono stati attribuiti al clan dei casalesi, una confederazione di clan di tutte le famiglie della provincia di Caserta che si riuniscono in una cupola egemonizzata per almeno un ventennio dal clan di Casal di Principe, un clan-azienda capeggiato dopo la morte del boss Bardellino da Francesco Schiavone, detto Sandokan, in carcere dal 1998, una spaventosa serie di efferati assassini e stragi. Dal 1985 al 2004 sarebbero stati compiuti dal clan 646 omicidi, senza contare tutti i morti per cancro, uccisi dai rifiuti tossici sotterrati nelle terre, nelle cave, tra le bufale e le coltivazioni di mele! Smascherati anche gli affari della cosca almeno fino alla metà degli anni '90. Si va dal saccheggio di migliaia di miliardi destinati alla bonifica dei Regi Lagni, alla maga-speculazione edilizia del "villaggio Coppola", dagli appalti e i subappalti nel settore rifiuti, fino alla sanità convenzionata, alle Asl e alle mense scolastiche, per le infrastrutture stradali e ferroviarie, come la "superstrada" Nola-Villaliterno e l'Alta velocità Napoli-Roma, fino alle bombe per imporre ai rivenditori campani i marchi controllati dal gruppo che fu di Calisto Tanzi (parmalat), quegli stessi marchi che l'organizzazione camorristica più sanguinaria d'Europa imponeva anche quando essi erano di proprietà del gruppo Cirio di Cragnotti, senza contare la gestione manageriale del traffico d'armi, di droga e di rifiuti di ogni tipo.

Duro colpo alla camorra casertana
Si tratta quindi dal punto di vista giudiziario e giornalistico di un duro colpo assestato alla spietata camorra casertana, anche se è ancora presto per parlare della fine della holding come sottolinea colui che tra i primi ha avuto il merito di svegliare l'opinione pubblica sull'argomento camorra, lo scrittore Roberto Saviano. Perché - come scriveva nell'ottobre 2008 - "quando un'organizzazione può decidere del destino di un partito controllandone le tessere, quando può pesare sulla presidenza di una Regione, quando può infiltrarsi con assoluta dimestichezza e altrettanta noncuranza in opposizione e maggioranza, quando può decidere le sorti di quasi sei milioni di cittadini, non ci troviamo di fronte a un'emergenza, a un'anomalia, a un 'caso Campania'. I Casalesi restano infatti ben radicati ed inseriti nei gangli economico-istituzionali dalla provincia di Caserta, fino a Roma, Parma, Modena e al centro di Milano, dove figurano come costruttori in attesa dell'Expo di Moratti e De Corato.
Più che consolidato è anche il potere mafioso nella provincia di Caserta, sul litorale domizio fino al basso Lazio ed alla Ciociaria dove i casalesi hanno stabilito un controllo totale, militare, a garanzia del monopolio delle costruzioni, del movimento terra, del ciclo del cemento fino alla distribuzione dei prodotti alimentari e al ciclo dei rifiuti urbani e tossici, garantendosi un livello di collusione istituzionale sconvolgente.

Gli sporchi affari dei casalesi
Su questi territori un tempo a forte vocazione agricola, sono state censite 5 mila discariche abusive e semiabusive gestite da affiliati e prestanome ed oltre 500 aziende edili, secondo un modello imprenditoriale esportato in Polonia, Ungheria, Bulgaria, Germania, Inghilterra, Romania e Spagna, dove i capi dei casalesi sono proprietari di immobili, aziende agricole, alberghi, ville, negozi di lusso ed hanno il monopolio del traffico di droga, a Santo Domingo, Venezuela e Kenya dove sono presenti nello smaltimento internazionale dei rifiuti tossici e nocivi delle industrie del Nord. A New York sarebbero addirittura implicati in attività illecite correlate alla ricostruzione delle Torri Gemelle, in Svizzera dove riciclano il denaro sporco tramite l'acquisto di banche, così come in Scozia, Cina e a Francoforte mentre in Portogallo, Brasile, Francia, Ungheria sarebbero sbarcati in borsa. A Roma in sostanza la holding dei casalesi avrebbe ereditato l'impero che fu di Pippo Calò e della Banda della Magliana.
Non stupisce allora se, nonostante i processi e le condanne, la cupola può contare secondo recenti stime, su di un budget tra i 100 e 120 miliardi di euro. Del resto - spiega ancora Saviano - "i due capi Zagaria e Iovine, sono ancora latitanti e liberi di fare affari". Sono probabilmente nascosti non lontano dai loro territori - avverte lo scrittore - e godrebbero di una fitta rete di appoggi che renderebbe impossibile il loro arresto.
Zagaria è considerato dagli investigatori l'uomo del cemento, il viceré con delega alle grandi opere, grazie ai cementifici di famiglia proliferati lungo il tracciato dell'alta velocità che da Napoli porta a Roma. Gestirebbe il ciclo del cemento in molte zone d'Italia, dall'Emilia-Romagna all'Umbria fino alla Toscana ed alla Lombardia dove punterebbe dritto agli appalti dell'Expo.
Iovine invece sarebbe attivo nel settore dell'edilizia e del turismo a Roma e in tutto il Lazio. Il suo nome sarebbe comparso come titolare di una famosa discoteca della Capitale, il night Gilda, storico ritrovo della "Roma bene". Nel 2007 'o Ninno, il Neonato come è sopranominato, si era tranquillamente "mimetizzato" nel centro storico, nel "triangolo d'oro" compreso tra piazza di Spagna, il Pantheon e piazza del Popolo. Sicuro di potere fare affidamento su una rete di protezione nelle alte sfere aveva provato anche scalare la squadra di calcio della Lazio, quotata in borsa, per riciclare milioni di euro provenienti dall'Ungheria. Sempre nella Capitale è provato il suo passaggio nell'azionariato di alcune attività commerciali, generalmente di ristorazione e di importazione dalla Campania di latticini, uova e pollami, attività utili al riciclaggio di denaro sporco. Alcuni esempi? Corrado De Luca, condannato a 30 anni nel maxi-processo Spartacus, ufficialmente era titolare del ristorante romano "Il destriero" e per numerosi concessionari di Roma passano le vetture di lusso degli autosaloni di Sandokan; un parente del Ninno ha completamente spostato su Roma il suo core business, quello dei videogiochi. E poi autosaloni, negozi di abbigliamento, società di servizi alberghieri. E un celebre hotel al centro di incontri tra parlamentari e imprenditori in odore di criminalità.
Poi c'è il mercato dei falsi. Molti prodotti arrivano nei negozi dell'Esquilino e nei mercati di Roma direttamente dalle pendici del vulcano sotto il controllo del clan Fabbrocino, leader nazionale del tarocco. Invece di complicate importazioni da Pechino, l'organizzazione avrebbe scelto di produrre "in loco" per mezzo dei quasi 5 mila schiavi cinesi che vivono tra Terzigno e San Giuseppe Vesuviano. La distribuzione a Roma sarebbe garantita proprio dal patto tra la camorra e le mafie emergenti, come quella cinese e (in subordine) nigeriana. Prestanome dei casalesi starebbero aggiudicandosi gli appalti del dopo terremoto de L'Aquila, altri appalti finanziati dai ministeri della Giustizia e degli Interni, e addirittura il restyling delle aule bunker del carcere di Poggioreale e di un fabbricato strappato proprio ai clan nel Napoletano.
Un altro dato inquietante viene dalle indagini avviate da tre procure antimafia, Palermo, Roma e Napoli: il capomafia latitante Matteo Messina Denaro, insieme ad altri boss corleonesi, avrebbe avviato da tempo affari con il clan dei Casalesi. Le indagini degli inquirenti avrebbero infatti individuato i legami tra il capomafia trapanese, ricercato da 15 anni e condannato per le stragi del 1993, il clan camorristico dei Casalesi, la 'ndrangheta e altre organizzazioni criminali romane.

L'azione della magistratura anti-mafia
Nonostante i provvedimenti filo mafiosi del governo (scudo fiscale, messa all'asta dei beni confiscati, abolizione del falso in bilancio, privatizzazione di acqua, scuola, università, sanità, ecc.) la lotta della magistratura anti-mafia continua con l'appoggio, che deve essere soprattutto di piazza, della popolazione e di quella piccola parte dell'informazione non ancora silenziata. Il processo Spartacus, che prende il nome dall'eroico gladiatore tracio che nel 73 avanti Cristo insorse con un pugno di uomini contro Roma, riuscendo, partendo dalla scuola gladiatoria di Capua, a raccogliere nella insurrezione schiavi, liberti, gladiatori d'ogni parte del meridione, ha generato infatti Spartacus2 e Spartacus3, processi altrettanto se non più importanti, che guarda caso per colpa delle condizioni in cui versano gli uffici giudiziari vanno al rilento, perché puntano a smascherare il vastissimo potere economico-finanziario, le protezioni nelle alte sfere della politica, dell'imprenditoria e della finanza nonché l'assetto odierno dell'organizzazione. Ci sono inchieste che vedono coinvolti sindaci, ex-sindaci, assessori e consiglieri fino al sottosegretario del governo Berlusconi e capo del Cipe, Nicola Cosentino, indicato da quattro pentiti come referente dei Casalesi, altri filoni che ipotizzano i reati di "disastro ambientale" per la multinazionale Impregilo di Romiti, la società mista mafiosa "Eco4" e il Commissariato straordinario ai rifiuti, fino al processo all'"ala terrorista" capeggiata da Giuseppe Setola che il 18 settembre 2008 a Castelvolturno diede ordine di massacrare 6 inermi immigrati di colore.
Liberiamo la Campania e l'Italia dalle mafie. Per l'Italia unita, rossa e socialista!

27 gennaio 2010