36 inquisiti, molteplici reati, collegamenti con la camorra, fondi neri
Maxi scandalo per il tunnel Tav a Firenze
Squali capitalisti targati PD
Cancellare il tunnel Tav, dimissioni di Renzi e Rossi

Redazione di Firenze
Una valanga giudiziaria si è abbattuta sul tunnel di 7,5 km della TAV per il sottoattraversamento di Firenze, un'opera contestata con forza perché inutile, pericolosa e costosissima, dai 710 ai 900 milioni di euro. Da un'indagine partita sullo smaltimento dei fanghi di scavo, coordinata dal procuratore capo di Firenze, Giuseppe Quattrocchi e dai pm Giulio Monferini e Gianni Tei, è emerso di tutto: truffa allo Stato, frode, corruzione, associazione a delinquere, violazione delle norme paesaggistiche, frode nelle pubbliche forniture, traffico illecito di rifiuti (tramite una ditta collegata al clan camorristico dei Casalesi) e abuso d'ufficio.
Gli stessi squali capitalisti, avidi e senza scrupoli, che hanno popolato i vari scandali sulle "grandi opere". Questi, ed è qui la particolarità, sono inequivocabilmente targati PD.
Il bubbone è scoppiato il 17 gennaio con 25 perquisizioni in tutta Italia e 36 persone indagate che secondo gli inquirenti: "pianificano una serie di interventi a vasto raggio per influire e determinare le varie pubbliche amministrazioni coinvolte, in maniera da superare ogni possibile ostacolo e intralcio agli obiettivi dell'associazione: ovverosia favorire al massimo in termini economici Nodavia e tramite essa Coopsette (di cui si teme anche la prossima insolvenza) a scapito dei costi dell'appalto e a danno delle casse dello Stato", "limiti e procedure di legge visti solo come un ostacolo da superare a ogni costo".

Gli indagati
Nei guai sono infatti finiti i dirigenti della Nodavia, società vincitrice dell'appalto e general contractor, cioè la società che affida e organizza i vari sub appalti, dirigenti della emiliana Coopsette, sua socia di maggioranza e una delle storiche coop "rosse", cioè egemonizzate dalla "sinistra" del regime, tecnici di Italferr, componenti e funzionari della commissione di Via (valutazione di impatto ambientale) del ministero dell'Ambiente, dell'autorità di vigilanza delle opere pubbliche e dirigenti dell'unità di missione del ministero delle Infrastrutture.
Personaggio di spicco l'ex governatore PD dell'Umbria, Maria Rita Lorenzetti, ora presidente dell'Italferr (società di progettazione del gruppo Ferrovie); le vengono contestati l'abuso di ufficio, l'associazione a delinquere e la corruzione, "svolgendo la propria attività nell'interesse e a vantaggio della controparte Nodavia e Coopsette mettendo a disposizione dell'associazione le proprie conoscenze personali i propri contatti politici e una vasta rete di contatti grazie ai quali era in grado di promettere utilità ai pubblici ufficiali avvicinati e conseguendo altresì incarichi professionali nella ricostruzione del terremoto in Emilia in favore del coniuge", Domenico Pasquale, per ora non indagato.
Tra gli altri indagati Valerio Lombardi, dirigente Italferr, responsabile unico del procedimento e Gualtiero Bellomo, funzionario della commissione Via del ministero delle Infrastrutture; quest'ultimo, secondo i magistrati, in cambio di "assunzioni di parenti, consulenze" e altri favori personali, "si metteva a disposizione per stilare pareri compiacenti", Ercole Incalza, ex consigliere del ministro Lunardi, dirigente dell'unità di missione del ministero delle infrastrutture. Coinvolti funzionari del ministero dell'Ambiente e di società di FS. Indagato anche Francesco Bocchimuzzo, procuratore di Rete Ferroviaria Italiana di stanza in viale Matteotti, referente per la realizzazione del tratto sottoviario della rete bolognese ad Alta velocità.
Fra i manager e i tecnici Novadia e Coopsette sono indagati: Furio Saraceno, Paolo Bolondi, Maurizio Brioni, Matteo Forlani, Claudio Lanzafame, Alfio Lombardi, Riccardo Guagliata, Domenico Clarizia.

Fanghi pericolosi sversati illegalmente nelle falde acquifere, una ditta legata alla camorra
413mila le tonnellate di fanghi pericolosi trattati come normali rifiuti. Le prove accusatorie "dimostrano che gli indagati hanno chiarissima percezione della natura di rifiuto dello scarto che andranno a produrre e la volontà di gestirlo abusivamente previa artata predisposizione dei documenti tecnici e amministrativi (...) utili a fornire, a prima vista, un'apparente veste di legittimità a tale illecito smaltimento rifiuti. Tale aspetto in particolare coinvolge i soggetti appartenenti alla stazione appaltante Italferr e Rfi (...) che a fronte di un progetto del tutto carente in punto di adeguata valutazione dei costi e di soluzioni corrette dal punto di vista ambientale, perseguono in tutti i modi la realizzazione dell'opera considerando le condizioni, i limiti e le procedure previste dalla legge un mero ostacolo da superare a ogni costo".
In concreto "Davano indicazioni e direttive puntuali ad altre ditte minori coinvolte nel traffico illecito pertanto la Rete Ferroviaria Italiana pagava gli elevati costi di smaltimento alle ditte, ma in realtà i rifiuti non seguivano la corretta procedura prevista dalla normativa vigente, creando quindi un indebito profitto a favore delle varie ditte interessate". "Dal punto di vista ambientale, la gravità del reato consiste nel fatto che i suddetti materiali (soprattutto i fanghi) venivano scaricati direttamente nella falda acquifera posta nelle vicinanze dei lavori con il rischio di contaminazione della stessa e del suolo". Una delle ditte indagate viene indicata legata al clan camorristico dei Casalesi.

Scavi pericolosi
Lo strumento principale dello scavo la "talpa", attualmente sotto sequestro, pomposamente denominata "Monna Lisa" e sbandierata come uno strumento eccezionale di ultima generazione, è stata valutata dagli inquirenti montata con pezzi non originali e "con guarnizioni non in grado di sostenere la pressione dello scavo". La "talpa" è fornita dalla ditta Seli che in questo modo cerca di risolvere problemi di liquidità.
Secondo l'accusa il monitoraggio in corso dei lavori di scavo o di consolidamento preliminare del terreno è stato fatto in modo tale "da esporre a grave pericolo l'incolumità delle persone", "in modo del tutto insufficiente" e "gravemente negligente proprio su un punto sensibile quale una scuola media con gli studenti in classe". Si tratta della "Ottone Rosai", dove fra agosto e settembre 2011 avvennero crepe, distacchi di intonaco o parti di vetrate pericolosi per ragazzi e insegnanti. I responsabili del cantiere Tav non andarono neanche a verificare i danni, anzi produssero una falsa attestazione affinché Nodavia non subisse contestazioni.

Alterati i materiali ignifughi, galleria a rischio di collasso
Il rivestimento interno delle galleria, i cosiddetti "conci", secondo gli inquirenti, "risultano prodotti in totale difformità rispetto ai requisiti di sicurezza contro la combustione e l'incendio con grave pericolo per l'incolumità delle persone se posati in opera". Sotto Firenze avremmo avuto un tunnel rivestito con materiale "concretamente pericoloso": "Dai test ripetuti - spiega la procura - si è manifestato evidente il fenomeno dello spalling, ossia di un collassamento della struttura dovuto al calore e al fuoco". Concretamente la ditta Seli, allo scopo di raddoppiare i guadagni, avrebbe commissionato alla Ipa di Calcinate (Bergamo) conci contenenti quantitativi di fibre "notevolmente inferiori" ai 3 chili per metro cubo previsti per legge. Poi Aristodemo Busillo della Seli si sarebbe accordato con Gianluca Morandini, incaricato Italferr, e avrebbe esercitato pressioni sul professor Alberto Meda affinché nascondesse l'esito negativo del primo test eseguito sui conci. "Nessuno mai potrà accorgersi del magheggio" si sente nelle intercettazioni.

Fondi neri
Forte il sospetto che parte della truffa alle ferrovie sia finalizzata alla costituzione di fondi neri. Secondo gli inquirenti Nodavia si faceva pagare i fanghi da Italferr 100 euro a tonnellata garantendo lo smaltimento secondo legge, mentre gli smaltitori subappaltanti avevano in contratto 80 euro a tonnellata, dei quali però 14 ritornavano a Nodavia in nero. A cosa dovevano servire questi fondi neri è un interrogativo ancora aperto.

Fermare i lavori. Renzi e Rossi si devono dimettere
Grande imbarazzo nei vertici del PD. Il neopodestà di Firenze Matteo Renzi si è prodotto in una dichiarazione perfettamente contradditoria: "Se avessi la macchina del tempo non avrei firmato per la stazione nell'area dei macelli (legata al tunnel sotto Firenze, ndr), ma dopo un anno dico che quell'accordo va benissimo".
Senza risparmiare una stoccata di stampo berlusconiano agli inquirenti: "se il campo di gioco è presidiato dalla magistratura è bene che i politici non mettano bocca e quindi, da politico, non commento. Certo, da un lato sarebbe interessante discutere di quanto la magistratura talvolta entra nel campo della politica".
Il governatore Enrico Rossi resta "profondamente convinto della necessità dell'opera e mi auguro che i lavori riprendano quanto prima", agitando lo spauracchio dei 300 posti di lavoro legati alla realizzazione del tunnel e ora a rischio.
Noi siamo con il Comitato contro il tunnel Tav che lunedì 21 gennaio con un blitz è intervenuto in Consiglio comunale alzando cartelli: ''Noi visionari o voi dimissionari?'', "compensazioni Tav = prostituzione urbanistica'', "Tunnel Tav, Renzi dimissioni! Omissione di controllo pubblico'', "Tunnel Tav presto e bene, alla camorra conviene''.
Il tunnel Tav deve essere cancellato, Renzi e Rossi devono dimettersi.

23 gennaio 2013