La Camera vota la controriforma Tremonti sul fisco
MENO TASSE PER I CAPITALISTI E PER I RICCHI

Due sole aliquote Irpef: 23% fino a 100.000 euro e 33% per i redditi superiori. Sgravi anche per le società per azioni
CANCELLATA LA PROGRESSIVITA' DELL'IMPOSTA PERSONALE

Il governo del neoduce Berlusconi procede come uno schiacciasassi nell'attuazione del suo programma iperliberista, per quanto riguarda la politica economica e sociale, prendendo per i fondelli i sindacati confederali, facendosi beffa della molliccia e inconcludente ``opposizione'' parlamentare del ``centro-sinistra'' e del PRC e fregandosene (mussolinianamente) della protesta della piazza. L'ultima eclatante dimostrazione, in questo senso, è venuta l'8 maggio scorso quando la Camera ha approvato la legge delega sul fisco presentata dal ministro del Tesoro e delle Finanze, nonché fiscalista personale di Berlusconi, Giulio Tremonti. Proprio nello stesso giorno in cui si teneva l'incontro con i segretari di Cgil, Cisl, e Uil, Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta, e Luigi Angeletti per discutere (sic!) la ``riforma'' fiscale che noi abbiamo già duramente criticato nel n.4/2002 de ``Il Bolscevico''.
Si tratta di una vera e propria controriforma di stampo thatcheriano e da seconda repubblica, che cambia radicalmente il precedente sistema impositivo, non solo sui meccanismi e le cifre ma nella filosofia, invertendo il principio costituzionale secondo cui: chi più guadagna e possiede ricchezze, più deve contribuire al bilancio dello Stato. ``Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche - si legge infatti nell'art.53 della Costituzione - in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività''. Un principio, questo, che fino adesso, aveva funzionato essenzialmente attraverso la tassazione progressiva sui redditi (Irpef) sulla base di un sistema di scaglioni di reddito in crescendo con relative aliquote di prelievo fiscale con percentuali a salire. Anche se per noi le vecchie aliquote non erano condivisibili.
Al di là delle spudorate menzogne del cavaliere piduista di Arcore e del suo tirapiedi Tremonti, le conseguenze, inevitabili, saranno: una forte riduzione del prelievo fiscale per i capitalisti e i ricchi, ai quali era già stata abolita la tassa di successione, l'aumento delle pesanti tasse sui redditi dei lavoratori e dei pensionati, la cancellazione del principio (di origine liberaldemocratico) della progressività dell'imposta personale, un consistente calo delle entrate dello Stato da compensare con drastici tagli alla spesa pubblica e sociale. Visto che per quanto riguarda la lotta alla gigantesca evasione fiscale esistente in Italia, pari a 400 mila miliardi di lire nel 2001, non c'è ninte di nuovo.

SENZA PARAGONI NELLA UE E NEGLI USA
L'aspetto più grave della suddetta controriforma lo troviamo nell'articolo del disegno di legge (dei 10 approvati) che stabilisce due sole aliquote dell'imposta sulla persona fisica (Irpef). Così formulate: 23% fino a 100.000 euro di reddito (poco meno di 200 milioni di vecchie lire) e 33% per i redditi superiori. Mentre il sistema vigente ne prevedeva cinque di aliquote fiscali: 18% sui redditi fino a 20 milioni di lire; 24% per i redditi oltre 20 milioni e fino a 30 milioni; 32% fino a 60 milioni; 39% fino a 135 milioni; 45% per i redditi oltre questa soglia. Le due aliquote fiscali volute dal governo Berlusconi non hanno eguali in nessun paese capitalistico occidentale, visto che in Belgio ce ne sono sette, in Francia e in Spagna sei, in Germania quattro; negli stessi Stati Uniti, patria del liberismo, le aliquote proposte dall'amministrazione Bush sono quattro, e se è vero che l'aliquota massima proposta è pari al 33% è anche vero che vanno considerate le addizionali locali attorno al 12%, portando il totale della pressione fiscale sul 45%.
Nel goffo tentativo di difendersi dalle critiche che da più parti sono cadute sulla ``riforma'', Tremonti si giustifica sostenendo che i benefici per i redditi medio-bassi e la progressività dell'imposizione saranno garantiti col sistema delle deduzioni, in sostituzione delle attuali 80 detrazioni per carichi di famiglia, mutui, ecc. A parte che di concreto e di preciso ancora non c'è nulla, il rischio che si corre è che, attraverso la cancellazione delle detrazioni per carichi familiari, le tasse aumentino enormemente sui redditi del lavoro dipendente.
Infatti, prendendo ad esempio un reddito lordo di 30 milioni di lire di un lavoratore dipendente. In base alle attuali aliquote Irpef l'imposta aumenterebbe a 6,0 milioni. Con le nuove aliquote il prelievo aumenterebbe a 6,9 milioni con un incremento quindi già di 900 mila lire. Ma l'aggravio potrebbe peggiorare ulteriormente tenendo conto delle agevolazioni fiscali già esistenti per la famiglia e i figli a carico pari a 552.000 lire per il primo figlio, 616.000 lire per i figli successivi, più 240.000 lire di detrazioni per ogni figlio di età inferiore a 3 anni sulle quali la delega non fornisce alcuna notizia.
Prendendo, per ipotesi, una fascia di esenzione totale dalle tasse, chiamata ``no tax area'' di 15 milioni e deduzioni progressive fino a 40 milioni, che sono poi le cifre fatte balenare dalla maggioranza di governo, il calcolo delle nuove aliquote porta ai seguenti sorprendenti risultati: un reddito medio di 50 milioni lordi all'anno paga in base alle aliquote attuali 12,04 milioni di Irpef e verrebbe a pagare 11,50 milioni con la nuova Irpef, cioè solo 900 mila lire in meno. Mentre per i redditi più alti il vantaggio diventa assai più elevato. Con 350 milioni di lire all'anno la vecchia Irpef è di 141,6 milioni, mentre la nuova Irpef è di 95,5 milioni con un risparmio di 46,1 milioni. Per un reddito di 500 milioni la vecchia Irpef è di 209,1 milioni, la nuova Irpef è di 145,6 milioni con uno sgravio di circa 64 milioni di lire. Sono proprio questi redditi, percepiti da una estrema minoranza di nababbi, che si ``pappa'' ben il 60% del totale degli sgravi previsti.

INDEBITAMENTO PUBBLICO E TAGLIO DELLA SPESA SOCIALE
Enorme il costo di questa ``riforma'' fiscale del governo Berlusconi che comprenderà anche la cancellazione dell'Irap (imposta regionale sulle attività produttive) e sgravi fiscali per le società per azioni. Lo stesso Tremonti parla di un minor gettito di 19,1 miliardi di euro. La Cgil parla invece di 29-33 miliardi di euro. Secondo i conti dell'Ulivo sarebbero addirittura 50. Ammesso che sia approvata in modo definitivo anche in Senato, come troverà copertura finanziaria? Tanto più considerando che il bilancio dello Stato è tornato a peggiorare e peggiorerà ancora se si considera che nel primo trimestre del 2002 la produzione industriale ha segnato un -7,1% e la crescita del pil (prodotto interno lordo) il dato recessivo di appena +0,1%. Cambiano perciò in peggio le prospettive di crescita economica che non andrà oltre l'1,4% invece del 2,3% previsto dal governo.
Quello che ci dobbiamo aspettare dal programma economico berlusconiano, di cui la riduzione delle tasse per i capitalisti e i ricchi è un aspetto non secondario è: non sviluppo ma depressione economica, alta percentuale di disoccupati e aumento del precariato, crescita del debito pubblico e taglio dei servizi, della spesa sociale e previdenziale ed espansione della povertà.
Preoccupano e molto le dichiarazioni rilasciate dai vertici sindacali confederali. C'è ``un segnale di ripresa del confronto col sindacato - dice Pezzotta per la Cisl- su una materia fondamentale come il fisco...il governo si è detto disponibile al confronto anche sul Dpef e Finanziaria... ha espresso la volontà di partire da una riforma fiscale del reddito basso''. Angeletti della Uil si dice soddisfatto della convocazione del governo anche se accenna una flebile critica al meccanismo fiscale messo a punto. Più critico il giudizio della Cgil per bocca di Epifani. ``Mi pare che il governo - dice - voglia continuare discutere solo sulle deduzioni fiscali delle imposte. E di fronte a una riforma che prevede la riduzione delle aliquote a due, con conseguente messa in discussione del principio di progressività delle imposte non c'è sistema di deduzioni che tenga''. In queste condizioni non c'è alcuno spazio per la trattativa. Ai sindacati si chiede solo di ratificare ciò che il governo ha già deciso.
Con tutta evidenza si prospetta un corposo spostamento della ricchezza verso le classi medie e alte borghesi, un impoverimento dei salari e delle pensioni e un'accentuazione dell'ingiustizia sociale. Il che richiede una forte e tempestiva risposta di lotta da parte dei lavoratori e dei pensionati, con la ripresa degli scioperi e delle manifestazioni di piazza.

22 maggio 2002