Intervento all'assemblea annuale della Confindustria
Montezemolo detta la linea al governo
Prodi: "Mi sento a casa mia". Bersani: "Non siamo qui a distruggere. Non abrogheremo la 'riforma' Biagi''
I padroni e il governo concordano sulla concertazione
Come è andata l'assemblea annuale della Confindustria, tenutasi il 24 maggio scorso a Verona, a poco più di un mese dalle elezioni politiche? Qual è la linea politica ed economica dell'associazione del grande capitale illustrata dal suo presidente, Luca Cordero di Montezemolo? Che tipo di interventi hanno pronunciato il neo-presidente del consiglio, nonché leader dell'Unione, Romano Prodi e il neo-ministro per lo sviluppo economico, il diessino Pierluigi Bersani? Per quanto nessuno, tra le file dei lavoratori, avesse particolari aspettative e nutrisse soverchie illusioni, le cose sono andate persino peggio di quello che si poteva pensare.
La linea dettata a vasto raggio da Montezemolo, non solo sul piano meramente economico, fiscale e del lavoro, ma anche su quello politico e istituzionale è di chiara marca padronale, di stampo liberista, antipopolare e antioperaia, e quando invoca una nuova "riforma" elettorale e costituzionale anche reazionario e neofascista. Salvo che per l'aspetto della concertazione tra imprenditori, governo e sindacati che egli vuole rilanciare alla grande, non si scorgono grandi differenze con la precedente gestione della Confindustria filo-berlusconiana. I nuovi governanti della "sinistra" borghese di fronte alla platea degli industriali non hanno fatto una piega, si sono dimostrati anzi accomodanti e compiacenti, disponibilissimi ad andare incontro alla lunga e arrogante lista di richieste avanzate.
Un po' più nel dettaglio. Il presidente della Confindustria, a mo' di cappello politico, ciancia di "progetto grande e condiviso: si deve puntare - precisa - su crescita, competitività, favorire il mercato, riformare il welfare, ridurre le corporazioni". Quali? Quelle sindacali? E quella padronale, no? Non si capisce come questo grande progetto che ruota tutto attorno alla centralità dell'impresa e agli interessi economici e alla crescita dei profitti dei capitalisti, possa essere condiviso dagli altri, in primis dalle masse popolari. Montezemolo ci va giù duro, forse anche per saggiare le reazioni di Prodi e Bersani nella loro prima uscita istituzionale. Parla della necessità di scelte coraggiose e impopolari, di mancanza di scorciatoie, di "riforme" strutturali specie, guarda un po', per ridurre la spesa pubblica, ma non i trasferimenti e le agevolazioni fiscali alle aziende che invece devono crescere considerevolmente.
Al di là di tante belle e altisonanti parole sul superamento del declino industriale e il rilancio economico e sociale del Paese, stringi stringi Montezemolo si riduce a battere cassa, a chiedere al governo soldi a pioggia, a intimare di non toccare la legge 30 (detta Biagi) sul "mercato del lavoro" flessibile e precario, e a pretendere la "riforma" della contrattazione sindacale, da farsi con chi ci sta, ossia anche senza la Cgil; e anche questa è una cosa già vista col governo Berlusconi e la Confindustria gestione D'Amato. Non sono spiccioli quelli rivendicati. "Serve una terapia d'urto - dice - per abbattere il cuneo fiscale di cinque punti subito e di 10 punti nella legislatura e per fare una riflessione sull'Irap". Se si considera che ogni punto vale ben due miliardi di euro il conto è presto fatto: complessivamente sono 20 miliardi di euro. Senza contare che gli industriali vorrebbero anche la cancellazione dell'Irap (imposta regionale sulle attività produttive) dalla quale arriva il grosso delle risorse del bilancio delle regioni e soprattuto il finanziamento della sanità pubblica.
E dove si trova questa montagna di denaro in un momento di forte difficoltà del debito statale? A parte l'invocazione formale e ipocrita di provvedimenti per ridurre l'evasione fiscale e contributiva (per la maggior parte prodotta proprio dal lavoro autonomo), a parte una disponibilità, non si sa quanto sincera e strumentale, ad accettare un lieve ritocco in alto dell'imposta sulle rendite finanziarie, Montezemolo indica il vero obiettivo sul quale si dovrebbe agire per tagliare la spesa pubblica: l'amministrazione pubblica. Contenendo gli stipendi dei dipendenti pubblici, abolendo le province, decurtando il numero dei parlamentari. Non lo dice ma, sotto sotto, pensa anche alla sanità e alle pensioni.
A sostegno delle imprese Montezemolo chiede al governo un piano di risparmio energetico del 10% del fabbisogno nei prossimi 10 anni ma anche la drastica riduzione della bolletta del 20% per quella della luce e del 10% per il gas naturale. Questi regali ai padroni eventualmente chi li dovrebbe pagare? In questo ambito, come se nulla fosse, chiede un ritorno esplicito al nucleare, a suo tempo rifiutato dalla maggioranza degli italiani, attraverso un referendum.
La ricetta confindustriale prevede anche un intenso sfruttamento della "forza lavoro". Anzitutto difendendo la "legge Biagi" che non va cancellata ma attuata e completata, aggiungendo gli "ammortizzatori sociali" il cui costo peserebbe nel bilancio dello Stato. E prevede, come si è accennato alla "riforma" della contrattazione fondata: sulla riduzione di peso del contratto nazionale a favore di quello aziendale; un maggior legame dei salari ai risultati economici; un sistema di raffreddamento dei conflitti che comporta limitazioni al diritto di sciopero. "Non possiamo accettare ulteriori rinvii - ha detto minacciosamente Montezemolo - né diritti di veto". Inoltre, in caso di crisi aziendale, secondo il capo della Confindustria, si dovrebbe fare come nella Germania di Angela Markel, cioè abbassare i salari a parità di orario. Dimenticando però che lì l'orario settimanale è per legge a 35 ore e le retribuzioni medie sono sensibilmente più alte.
Prodi ci ha tenuto a far sapere che quello di "centro-sinistra" è un governo amico degli industriali. Infatti, ha esordito dicendo che in questa assemblea "mi sento a casa". E prosegue: "Alle imprese ci impegniamo a dare molto (si noti bene, ndr) e chiederemo molto". Sul dare è molto esplicito. Ad esempio conferma l'intenzione a tagliare il cuneo fiscale di 5 punti, nei primi cento giorni di governo, per "aiutarle a riacquisire capacità competitive". Ma sul chiedere è molto vago e fumoso. A parte la disponibilità alla concertazione con l'esecutivo e i sindacati che, però è anche una richiesta di questa Confindustria. Oltre alle agevolazioni fiscali Prodi promette l'impegno del governo su quattro punti: infrastrutture, leggi appalti miliardari per i grandi speculatori immobiliari e finanziari, ricerca, concorrenza e semplificazione amministrativa, leggi abbattimento ulteriore di vincoli e controlli pubblici sulle attività padronali.
Sulla legge 30 ci ha pensato Bersani a tranquillizzare la Confindustria. E c'è riuscito bene a giudicare dagli applausi ricevuti. Il ministro ha detto: "Non ci muoveremo con la logica della distruzione creativa o dell'anno zero, ma con quella del buon senso". In parole povere, non abrogheremo la "riforma" Biagi sul "mercato del lavoro". Tutt'al più la renderemo meno invisa ai lavoratori e la completeremo per la parte mancante. E questo vale, aggiunge, "per tutte le riforme che abbiamo trovato".
Insomma, tra Prodi e il vertice confindustriale c'è un chiaro feeling programmatico e sugli obiettivi da raggiungere; confermando la regola che nel capitalismo il governo è il comitato d'affari della borghesia, indipendentemente dalla coalizione che lo compone.
I segretari di Cgil, Cisl e Uil, Epifani, Bonanni e Angeletti, presenti anch'essi a questa assise se la sono cavata con dichiarazioni insignificanti, di circostanza, che lasciano aperta tutta la porta a futuri accordi di concertazione e di "patto sociale" a danno degli interessi dei lavoratori.

31 maggio 2006