L'abbattimento del muro di Berlino non rappresentò il crollo del socialismo ma il fallimento storico dei rinnegati revisionisti

In occasione del 20° anniversario della caduta del muro di Berlino, datata ufficialmente al 9 novembre 1989, quando il governo revisionista dell'allora DDR annunciò la rimozione dei confini con la Germania dell'Ovest, la borghesia, i governanti e i mass media dei Paesi imperialisti hanno celebrato in pompa magna quello che essi amano evocare come il "crollo del comunismo" (ma semmai si dovrebbe dire del socialismo, dato che il comunismo non è mai stato ancora storicamente realizzato), insieme a quella che essi spacciano come la "vittoria" e la "superiorità" della democrazia borghese e del capitalismo. Nella capitale della Germania riunificata si sono tenute anche le commemorazioni ufficiali dell'evento, con la cancelliera Merkel che ha passato l'ex confine a braccetto con il rinnegato Gorbaciov e l'ex leader della "rivoluzione" polacca Lech Walesa, considerati non a torto dagli imperialisti occidentali i due veri "eroi" che hanno dato la spallata decisiva al traballante e agonizzante socialimperialismo sovietico e al suo sistema di Stati satelliti revisionisti.
Ma davvero i popoli devono prestare credito a questo coro assordante, a questa nuova orgia di anticomunismo a cui partecipano con altrettanto zelo imperialisti, fascisti e rinnegati, tutti uniti nell'esaltare il presunto "fallimento del comunismo" e la "vittoria" del capitalismo? Se ciò fosse vero non si capirebbe perché a distanza di 20 anni costoro sentano ancora il bisogno di riaffermare solennemente tale "fallimento" e tale "vittoria", quando oramai dovremmo trovarci davanti a un fatto acquisito e a un capitolo chiuso.
Ma, come sono bastati pochi anni, con la prima mostruosa guerra del Golfo del 1991, che inaugurò una nuova serie interminabile di guerre imperialiste una più devastante dell'altra che continua tuttora, per spazzare via tutte le chiacchiere demagogiche e trionfalistiche sulla "fine della storia" e delle guerre, e così come è bastata la crisi finanziaria ed economica che si è abbattuta prima sugli Usa per poi contagiare tutta l'economia globalizzata, a far riapparire lo spettro del crollo del capitalismo che 20 anni fa, sull'onda dell'euforia per il crollo del muro veniva dato ormai per trionfante ed eterno, così lo spettro del socialismo deve turbare tuttora fortemente i sonni della borghesia, se essa ha bisogno di esorcizzarlo ancora con tanta enfasi e tanto dispendio di mezzi e continuare ad attaccarlo con tanta rabbia e a screditarlo agli occhi dei popoli.
La verità è che essa sa bene che nell'89 non è fallito il socialismo ma il revisionismo. Non è fallita cioè l'idea immortale della necessità storica ineluttabile del socialismo, che continua e continuerà sempre a vivere tra gli sfruttati e gli oppressi dal capitalismo e dall'imperialismo, ma è fallito solo il simulacro di socialismo che era rimasto dell'Urss e degli altri Paesi ex socialisti dell'Est dopo il colpo di Stato dei revisionisti kruscioviani del XX congresso del Pcus nel 1956, che con la "destalinizzazione" aveva rovesciato la dittatura del proletariato e restaurato quella della borghesia, avviando già da allora, come aveva lucidamente previsto Mao, la rovinosa parabola che si sarebbe conclusa nell'89 con la resa al capitalismo e all'imperialismo dichiarata dal rinnegato Gorbaciov. Con la stessa logica, dopo la morte di Mao, anche in Cina la borghesia ha ripreso il potere trasformando questo glorioso Paese socialista in una tenebrosa dittatura fascista, dove imperversano il capitalismo selvaggio e il supersfruttamento dei lavoratori e dell'ambiente.

La lotta di classe continua anche nel socialismo
Il socialismo non è fallito, perché finché furono vivi Lenin e Stalin in Urss e Mao in Cina esso ha conosciuto sempre grandi e ininterrotti successi in tutti i campi, fino a rappresentare al momento della sua massima espansione, negli anni '50, una grande parte del mondo e dell'umanità e da costituire il faro indiscusso che illuminava la strada al proletariato dei Paesi capitalisti e ai popoli che lottavano per liberarsi dal colonialismo e dall'imperialismo. Il problema è, come ha dimostrato Mao con la Grande rivoluzione culturale proletaria, che anche nel socialismo la lotta di classe continua ad operare e la borghesia può sempre tornare al potere, se non si trasforma la coscienza delle masse secondo la concezione proletaria del mondo e non si educano milioni di successori della causa della rivoluzione proletaria.
In Urss, come detto, un colpo di Stato della borghesia annidata nel partito è riuscito, approfittando della morte di Stalin, a troncare il processo rivoluzionario già nel '56; mentre in Cina, anche sulla base di quella esperienza negativa, Mao era riuscito con la Rivoluzione culturale proletaria ad avviare tale processo e a far progredire l'esperienza socialista per altri 20 anni conseguendo importanti successi ed ispirando grandi lotte in tutto il mondo, tra cui la grande stagione rivoluzionaria del '68 in America e in Europa. Ma non ha potuto finire l'opera, e dopo la sua morte anche la Cina ha cambiato colore.
Non soltanto Mao aveva denunciato fino dal 1956 la restaurazione del potere della borghesia in Urss attraverso la cricca revisionista kruscioviana e previsto la sua involuzione capitalista e socialimperialista, ma era anche pienamente cosciente che ciò sarebbe potuto accadere anche alla Cina, se il partito avesse abdicato anche per un momento alla lotta di classe e smesso di lottare per la rivoluzione e il socialismo: "La grande rivoluzione culturale in corso - metteva in guardia Mao nel 1966 - non è che la prima di questo genere; sarà necessario intraprenderne delle altre. Nella rivoluzione la questione di sapere di chi sarà la vittoria non sarà risolta che al termine di un lungo periodo storico. Se non agiamo come si deve, la restaurazione del capitalismo può prodursi in ogni momento. I membri del Partito e il popolo intero non devono credere che tutto andrà bene dopo una, o due o anche tre o quattro grandi rivoluzioni culturali. Restiamo in guardia e non allentiamo mai la nostra vigilanza".
Quanta lucidità e lungimiranza in questi insegnamenti di Mao, che ci spiegano in maniera chiara e rigorosa, come solo chi padroneggia e applica a fondo il metodo marxista-leninista, il perché e come è potuto accadere che grandi fortezze socialiste come l'Urss e la Cina siano state espugnate dall'interno dopo aver resistito ai più tremendi assalti del capitalismo e dell'imperialismo.
Per quanto riguarda la fortezza sovietica ciò era già successo nel 1956, anche se per ingannare il suo e gli altri popoli che continuavano a guardare ad essa come al bastione del socialismo nel mondo, la cricca revisionista al potere manteneva formalmente ancora un simulacro di società socialista.
Dietro questo simulacro i rinnegati revisionisti del Cremlino ammantavano in realtà una politica di affamamento delle masse sovietiche e di sfruttamento dei paesi revisionisti dell'Est, per alimentare con Breznev, Andropov e Cernenko la corsa agli armamenti necessaria a soddisfare le loro smanie espansioniste e imperialiste, come in Afghanistan, e a reggere il confronto con la superpotenza americana allora in piena espansione militare con il guerrafondaio Reagan. Un confronto che si rivelerà disastroso e porterà l'Urss prima alla bancarotta economica e quindi, con Gorbaciov, alla disgregazione politica e statuale e alla resa all'imperialismo occidentale.

Alternanza delle fasi storiche
Ciò non deve però scoraggiare i sinceri anticapitalisti, né tantomeno fargli prestare orecchio alle menzogne dei reazionari e dei rinnegati sul presunto "fallimento del socialismo", perché come abbiamo visto non di questo si tratta ma del fallimento del revisionismo, che non è nemmeno riuscito a sopravvivere a sé stesso e ha dovuto arrendersi e riciclarsi nel capitalismo: come è successo in Russia e negli altri paesi dell'Est, dove molti degli ex dirigenti revisionisti si sono arricchiti e sono diventati magnati capitalisti e boss mafiosi. E così è successo nei paesi capitalisti come l'Italia, dove i rinnegati revisionisti si sono inseriti anch'essi nel sistema corrotto, piduista e mafioso che sta alla base del regime neofascista imperante.
Guardando le cose su scala storica e con metodo materialistico è del tutto naturale che la lotta titanica per il socialismo alterni fasi di successi e di sconfitte, anche per periodi relativamente lunghi. Anche perché quando erano ancora vivi Lenin, Stalin e Mao, specie dopo la sconfitta del nazi-fascismo da parte dell'Urss e la vittoria della rivoluzione in Cina, fino alla metà degli anni '70, il vento della rivoluzione prevaleva sul vento della controrivoluzione. Mentre da allora il vento si è rovesciato ed è seguita una lunga gelata controrivoluzionaria che ora comincia a scongelarsi. E tuttavia non senza violenti sussulti e scossoni che hanno finito per mutare profondamente gli equilibri geopolitici e che prefigurano nuovi sconvolgimenti rivoluzionari.
Come ci ricorda Mao in una conversazione del 1968: "Secondo il punto di vista leninista, la vittoria finale in un paese socialista non solo richiede gli sforzi del proletariato e delle larghe masse popolari del proprio paese, ma dipende anche dalla vittoria della rivoluzione mondiale e dall'abolizione del sistema di sfruttamento dell'uomo sull'uomo su tutta la Terra, in modo che tutta l'umanità raggiunga l'emancipazione. Perciò parlare alla leggera della vittoria finale della rivoluzione nel nostro paese è erroneo, va contro il Leninismo e non corrisponde neanche ai fatti".
"Il che non significa - sottolinea il compagno Giovanni Scuderi nel discorso Mao e il socialismo tenuto alla commemorazione del 15° Anniversario della scomparsa di Mao - che non si può realizzare il socialismo in un solo paese, ma solamente che la vittoria definitiva del socialismo si può avere quando in tutto il pianeta sventola la bandiera rossa".
"Con la caduta del grande bastione rosso della Cina, dopo quello sovietico vent'anni prima - proseguiva il compagno Scuderi - si conclude una fase della storia della dittatura del poletariato, ora si tratta di aprirne un'altra forti dell'esperienza accumulata nel passato. Non sappiamo quanto tempo passerà prima di allora, ma è certo che passerà. Dalla Comune di Parigi all'Ottobre sovietico passarono 46 anni e altri 32 prima dell'Ottobre cinese. Quanti altri anni dovremo ancora aspettare prima del trionfo dell'Ottobre italiano? Noi ce la mettiamo tutta per affrettarne i tempi, quanto prima il proletariato si sveglierà e ce ne darà la forza tanto prima sventolerà la bandiera rossa in Italia".
È questo lo spirito marxista-leninista con cui i sinceri anticapitalisti e fautori del socialismo devono guardare e giudicare gli avvenimenti dell'89, senza farsi confondere dai falsi e ingannatori proclami trionfalistici dei reazionari anticomunisti e dei rinnegati, per continuare a lottare con rinnovata forza e fiducia con il PMLI per l'Italia unita, rossa e socialista.

11 novembre 2009