L'ultimo atto del rinnegato presidente della Repubblica
Napolitano si inchina al papa
Il capo dello Stato riabilita Leone, De Nicola, Segni e Fanfani
Chi pensava che l'elezione del "laico" Napolitano al Quirinale potesse almeno attenuare la subalternità dello Stato italiano alla Chiesa cattolica, è bene che si affretti a ricredersi.
Nel suo discorso di insediamento Napolitano aveva voluto impegnarsi solennemente: "come rappresentante dell'unità nazionale" a raccogliere "il riferimento ben presente nel messaggio augurale inviatomi dal Pontefice Benedetto XVI, al quale rivolgo il mio deferente ringraziamento e saluto", "ai valori umani e cristiani che sono patrimonio del popolo italiano", nella convinzione che "debba laicamente riconoscersi la dimensione sociale e pubblica del fatto religioso e svilupparsi concretamente la collaborazione, in Italia, tra Stato e Chiesa cattolica in molteplici campi in nome del bene comune". Così invece di stoppare le ingerenze e le pretese di Ratzinger e delle gerarchie vaticane, le appoggiava e sollecitava.
La visita di Stato in Vaticano del 20 novembre scorso, a cui sono seguite altre gravissime dichiarazioni su bioetica e educazione, ne sono la clamorosa conferma. Neppure i presidenti della Repubblica democristiani erano giunti a comportamenti e pronunciamenti di così sperticata adesione e entusiastico consenso ai precetti e ai dogmi sostenuti dalle gerarchie vaticane e all'apertura di così ampi varchi all'ingerenza della chiesa negli affari di esclusiva pertinenza dello Stato italiano.
Altro che "mettere i puntini sulle i" sulla laicità dello Stato, come hanno affermato i rimbambiti de il manifesto. I fatti dimostrano che Napolitano sta minando alle fondamenta l'indipendenza dello Stato dalla chiesa e ha come modello quello Stato confessionale di mussoliniana memoria.
La sua visita di Stato in Vaticano è stata l'occasione per inchinarsi al papa nero e alle gerarchie vaticane. Tanto che Ratzinger ha potuto trionfalmente affermare che il colloquio "conferma il legame tra fede e storia, che da secoli lega l'Italia al Successore di Pietro". È stata la "felice conferma" di un rapporto che cresce lungo i binari degli accordi del 1984 (il Concordato firmato da Craxi) che sanciscono la "reciproca collaborazione per la promozione dell'uomo ed il bene del Paese".
Le cronache sono unanimi nel sottolineare la grande cordialità che ha contraddistinto l'incontro. A partire dal solenne cerimoniale con il quale il Quirinale ha impostato tale visita. Non solo Napolitano si è presentato in Vaticano in pompa magna con un corteo presidenziale di ben 24 persone, inclusa la moglie Clio e il ministro degli Esteri D'Alema e consorte. Per omaggiare il papa ha sfoggiato sul frac "di ordinanza" l'onorificenza pontificia del Collare dell'Ordine Piano fattagli recapitare prima dell'incontro da Ratzinger al Quirinale.
Il resto lo ha fatto la sostanza. Nei 25 minuti di faccia a faccia Napolitano e il papa si sono ripromessi che la "collaborazione" tra Stato e Chiesa "possa continuare e sviluppare concretamente". Una "collaborazione" che in realtà significa che il Vaticano "detta" e lo Stato italiano ubbidisce. E infatti Ratzinger, anche se con toni diversi da quelli usati con Ciampi lo scorso anno e al recente convegno di Verona, ha ribadito uno dopo l'altro i suoi diktat. Pur ripetetendo la solita tiritera che la chiesa "non è e non intende essere un agente politico", ha aggiunto che "ha un profondo interesse per il bene della comunità politica". Quindi ha insistito sul fatto che "la libertà che la Chiesa e i cristiani rivendicano non pregiudica gli interessi dello Stato o di altri gruppi sociali e non mira ad una supremazia autoritaria su di essi" (sic!). "Ai cattolici che si occupano di politica" ha scandito la direttiva che "nella loro azione essi poggino sui valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell'essere umano, riconoscibili anche attraverso il retto uso della ragione". Dove il "retto sentire" riguarda non solo le guerre, terrorismo e fame, ma anche e soprattutto "la tutela della vita dal concepimento fino alla morte naturale e la promozione della famiglia, fondata sul matrimonio e prima responsabile dell'educazione" "per il bene di tutta la società". In altre parole la chiesa, spacciando i suoi principi morali per "universali", ribadisce no all'aborto, no all'eutanasia, no ai pacs.
E Napolitano? Fa sue le parole del papa affermando che "mai dovrebbe la politica spogliarsi della sua componente ideale e spirituale, della parte etica e umanamente rispettabile della sua natura" e soprattutto riconosce alla chiesa "un'alta missione universale", la omaggia per "il prezioso servizio che essa offre alla Nazione" e continua a battere il tasto del "dialogo". "Un clima più disteso, uno sforzo maggiore di ascolto e di dialogo - ha infatti affermato Napolitano - potrà favorire la ricerca di soluzioni valide, ponderate, non partigiane per gli stessi, complessi problemi del sostegno alla famiglia, della tutela della vita, della libertà dell'educazione (leggi più soldi pubblici alle scuole private cattoliche, ndr), che suscitano l'attenzione e le preoccupazioni della Chiesa e del suo Pastore".
I termini di questo "dialogo" Napolitano li ha chiariti alcuni giorni dopo, quando in occasione della Giornata della ricerca sul cancro, ha incredibilmente sostenuto che "occorre trovare soluzioni ponderate e condivise sulla libertà di ricerca, sui suoi codici, sulle regole e i più complessi temi bioetici". Dunque è favorevole al compromesso tra Stato e chiesa su temi delicatissimi come testamento biologico, legge 40, inseminazione eterologa, ricerca sulle staminali, manipolazione genetica.
E poi ancora durante la sua visita a Napoli dove ha sostenuto che "è necessaria una comune missione educativa della Chiesa e dello Stato. Abbiamo bisogno di una grande sinergia: sono persuaso che Chiesa e Stato siano chiamati a seguire gli stessi valori di moralità e di eticità". Che equivale a sostenere che lo Stato deve adeguarsi all'etica delle gerarchie vaticane dal momento che è improponibile chiedere alla chiesa di laicizzarsi, di rinunciare a dio e alla sua dottrina.
Altro che primo "comunista" al Quirinale! Questo rinnegato e anticomunista ha tutte le carte in regola per garantire il regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista. E lo sta dimostrando a tutto tondo, con una rapidità sconcertante e su ogni fronte. Ecco perché non ha aspettato tempo per abiurare sui fatti d'Unghieria del '56 e rendere omaggio alla tomba di Nagy; per esortare entrambi i poli del regime neofascista a completare la stagione delle controriforme istituzionali e costituzionali; per esaltare la politica nazionalista, militarista, patriottarda e interventista dell'imperialismo italiano. E ora per sdoganare e riabilitare i leader della Democrazia Cristiana, come Giovanni Leone, spinto proprio dall'allora PCI revisionista alle dimissioni da capo dello Stato per lo scandalo Loocked, diventato a suo dire "un presidente corretto e rigoroso, un esempio da tutti i punti di vista"; come Amintore Fanfani un protagonista "del progresso economico, sociale e civile del paese"; come il governo Segni (il futuro presidente golpista al tempo del golpe De Lorenzo) rivalutato addirittura per la "posizione risoluta a sostegno dell'insurrezione (ungherese, ndr) e contro l'invasione militare sovietica".
Insomma il rinnegato Napolitano si sta affannando a riscrivere la storia italiana e a riabilitare in toni apologetici i massimi rappresentanti di quella DC che nel secondo dopoguerra ha garantito e difeso il capitalismo e l'imperialismo in nome dell'anticomunismo più viscerale e attraverso lo sfruttamento, l'oppressione e la repressione del proletariato e di ogni oppositore antifascista e anticapitalista.

29 novembre 2006