Di nuovo in visita nel capoluogo partenopeo
Napolitano mette in riga i giornalisti e riabilita l'ex presidente democristiano Leone
Disdetta la sua presenza nelle scuole di periferia
Redazione di Napoli

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è tornato nel capoluogo partenopeo, ma non per promuovere un piano straordinario per il lavoro, lo sviluppo e l'industrializzazione pubblica che urgerebbe per alleviare la povertà e precarietà della popolazione e spuntare gli artigli alle holding camorriste, ma per buttare una scialuppa di salvataggio a Iervolino, Bassolino e Di Palma.
Appena ha messo piede in città, sabato 25 novembre, ha dato la colpa a quegli organi di informazione, giornalisti e scrittori "che danneggiano l'immagine della città", "Giornali e tv che parlano poco di cosa fanno in positivo le istituzioni, e di ciò ne soffriamo. Tiriamoli per un braccio - ha detto - questi giornalisti e facciamogli sapere ciò che non sanno". Non si è capito onestamente se la predica, paternalista e autoritaria insieme, era riferita a Roberto Saviano, che con il suo Gomorra, coraggiosamente sta facendo il suo dovere nel descrivere la dura realtà partenopea non piegandosi al regime omertoso e neofascista che imperversa nei mass-media locali e nazionali. Oppure se era un invito a fare di giornali e tv il bollettino delle istituzioni in camicia nera, come avvenuto con la sua visita in città. Probabilmente tutte due le cose insieme. Certo è che Napolitano ha disdetto le sue visite alle scuole di periferia di Ponticelli e Miano, per dare spazio alle cerimonie, come quella a Castelcapuano, dove ha scoperto, assieme al ministro Mastella, un busto in onore dell'ex-presidente DC della Repubblica Giovanni Leone, "un uomo che per tutta la vita ha dato 'prova estrema di senso della responsabilità verso le istituzioni della Repubblica'", ed al quale la neopodestà DC Iervolino ha voluto pure dedicare una piazza. Su questo importantissimo evento per il futuro della città sono state scritte pagine e pagine di cronache e commenti prezzolati dal Mattino, la Repubblica, il Tg3 regionale, neanche un pennivendolo ha osato muovere una critica alla riabilitazione di un personaggio tutt'altro che immacolato. Per non parlare poi del discorso di esaltazione dello "spirito bipartisan" per "salvare Napoli" dinanzi al nuovo busto di Enrico De Nicola, nella villa a lui dedicata a Torre del Greco. Infine la sua visita al quartiere popolare della Sanità, ospite del vescovo Crescenzio Sepe. Un quartiere che Napolitano definisce "storico".
Esatto! Ma nel senso che è un quartiere storicamente talmente abbandonato al degrado, alla disoccupazione e alla camorra, talmente sfruttato esclusivamente come serbatoio elettorale fin dal primo dopoguerra, ossia ai tempi dei "santi" De Nicola, Buonocore e Lauro, che oggi, in era bassoliniana, i progetti di sviluppo sono legati esclusivamente alle elemosine di stampo neocoloniale della Fondazione a stelle e strisce di Bill e Hillary Clinton.

Chi era Giovanni Leone
Ma vediamo chi era l'ex presidente della Repubblica Giovanni Leone vergognosamente riabilitato da Napolitano.
Nato a Napoli nel 1908 da una ricca famiglia di notabili. Si iscrisse giovanissimo al Partito fascista. Divenuto avvocato penalista insegnò fin dal 1933 "diritto e procedura penale" nelle università littorie di Camerino, Messina, Bari, Napoli e Roma.
Sostenne la monarchia nel referendum del 1946. Nello stesso anno si iscrisse alla Democrazia Cristiana e fu il primo segretario della DC napoletana. Durante i lavori per la stesura della Costituzione, fece parte della Commissione presieduta da Meuccio Ruini, battendosi affinché rimanesse in vita il sistema giudiziario fascista, a cominciare dal codice Rocco. Del fascismo sono densi anche i suoi scritti, come quelli ossessivi e pieni di ostracismo nei confronti della carriera femminile in magistratura e avvocatura.
Fu deputato ininterrottamente dal 1948 al 1963, grazie allo pregiudicato sfruttamento a fini di carriera dei voti del serbatoio democristiano napoletano, Presidente della Camera nel 1955, 1958, 1963, presidente del Consiglio in governi monocolori democristiani nel 1963 e nel 1968.
Per tutti gli anni '50 e '60 avallò la politica predatoria dell'armatore monarchico e fascista Achille Lauro. "Senatore a vita" ad appena 59 anni, Leone fu eletto presidente della Repubblica il 24 dicembre 1971 dopo una lunghissima serie di votazioni, il record di 23 scrutini e del minor numero di votanti favorevoli 518 su 996. Gli furono determinanti i voti del Movimento Sociale del fucilatore di partigiani Giorgio Almirante. Nel 1972, su pressione delle gerarchie ecclesiastiche, sciolse anticipatamente d'imperio le camere per evitare il referendum confermativo della legge sul divorzio.
La sua presidenza, in stretti rapporti di sudditanza con il presidente americano Ford e il vicepresidente Rockfeller, è costellata di tentativi di golpe, stragi fasciste, terrorismo delle "brigate nere", sui quali non ha mai contribuito a fare luce. In politica estera sostenne lo Scià di Persia, in politica interna sarà ricordato per avere nominato "cavaliere del lavoro" il giovane piduista Silvio Berlusconi. Per Napoli poco o nulla, mentre a suo tempo fece scalpore per la corruzione e il nepotismo, per nascondere la quale arrivò a censurare e mettere a l'indice il libro di Camilla Cederna "Giovanni Leone. Carriera di un Presidente". Si mantenne in posizione molto defilata e silenzioso durante i giorni del sequestro e dell'uccisione di Aldo Moro, del quale non condivideva la "strategia dell'attenzione" verso il PCI.
Il 15 giugno 1978, sei mesi prima della scadenza del mandato presidenziale si dimise per lo scandalo Lockeed, accusato di essere uno dei maggiori responsabili del vorticoso giro di tangenti per decine di miliardi di lire per l'acquisto a partire dal '72 da parte dell'aeronautica militare degli Hercules c-130 della multinazionale americana Lockeed, i cui rappresentanti italiani erano i napoletani fratelli Lefebvre in strettissimi rapporti con Leone, nome in codice, "sbranatore di antilopi". A chiedere l'impeachment fu proprio il PCI revisionista di cui Giorgio Napolitano rappresentava l'ala destra. Da senatore del gruppo "misto" nel 1994 vota la fiducia al 1° governo del neoduce Berlusconi, poi aderisce al PPI di Martinazzoli e Iervolino. Muore nella più assoluta indifferenza del popolo italiano e napoletano nel novembre 2001. Napolitano è il primo presidente della Repubblica a riabilitare ufficialmente il suo predecessore, dopo la cerimonia in Senato del 1998 in cui a farlo fu l'allora presidente DC di Palazzo Madama, Nicola Mancino.

29 novembre 2006