Senza denunciarne la manifesta incostituzionalità e apprezzandone "l'impianto riformatore"
Napolitano rimanda al parlamento la legge sull'art.18
Sacconi: "non smantelleremo l'arbitrato"

C'era attesa su cosa avrebbe fatto il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nei confronti della legge n. 1167-B approvata definitivamente in Senato il 3 marzo scorso, la legge che, tra le altre schifezze, con l'arbitrato permette di aggirare l'art.18 dello Statuto dei lavoratori, favorisce i licenziamenti senza reintegro e mette fuori gioco il giudice del lavoro. Anche perché contro di essa si erano mobilitati, a fianco della Cgil, molti noti giuslavoristi per denunciarne l'estrema gravità, definendola apertamente una vera controriforma del diritto del lavoro, con ampi profili di incostituzionalità in netto contrasto con gli art. 3, 24, 35, 39 e 41 della Carta, un "atto eversivo" che se avesse il via libera farebbe "tabula rasa dei diritti e delle situazioni giuridiche soggettive di un secolo". C'era attesa e preoccupazione anche perché sin qui Vittorio Emanuele III Napolitano le porcate del governo del neoduce Berlusconi le aveva avvallate tutte, esempio: il mega-indulto esteso ai colletti bianchi (2006), il decreto Mastella per bruciare i dossier Telecom (2007), le leggi razziali del pacchetto di sicurezza e il lodo Alfano (2008), lo scudo fiscale (2009), il decreto salva liste Pdl (2010).
Ebbene, per la prima volta, l'attuale inquilino del Quirinale, avvalendosi dell'art.74 primo comma della Costituzione, non ha firmato e in data 31 marzo ha rimandato al parlamento la suddetta legge, accompagnata da una nota di cinque pagine dove scrive le sue perplessità, i suoi dubbi e l'invito a un approfondimento su di essi. Ma da una lettura attenta di questa nota non emerge una netta bocciatura del provvedimento di legge per il suo stridente contrasto con la Costituzione, ma delle critiche su alcuni aspetti da correggere. Infatti parla della necessità di "approfondimenti da parte delle camere, affinché gli apprezzabili intenti riformatori (sic!) che traspaiono dal provvedimento possano realizzarsi nel quadro di precise garanzie" e un equilibrio tra legislazione, contrattazione collettiva e contratto individuale "più chiaro e definito".
Per arrivare al dunque Napolitano la prende larga. Ricorda il travagliato "iter parlamentare nel corso del quale il testo, che all'origine constava di 9 articoli e 39 commi e già interveniva in settori tra loro diversi, si è trasformato in una legge molto complessa" di 50 articoli e 140 commi. Sottolinea, di conseguenza, la marcata "eterogeneità dell'atto normativo" che risulta del resto dal titolo delle legge: "Deleghe al Governo in materia di lavori usuranti, di organizzazione di enti, di congedi, aspettative e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per l'impiego, di incentivi all'occupazione, di apprendistato, di occupazione femminile, nonché misure contro il lavoro sommerso e disposizioni di lavoro pubblico e di controversie di lavoro". E "gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto". Fatta la premessa le attenzioni del presidente si concentrano su due articoli della legge esaminata, il 31 che tratta dell'arbitrato e della conciliazione dei conflitti di lavoro e il 20 che tratta delle garanzie antinfortunistiche per i lavoratori che hanno operato a contatto coll'amianto.
Sul primo argomento, Napolitano sostiene "che può risultare certamente apprezzabile e merita di essere valutata con spirito aperto", l'introduzione nell'ordinamento di strumenti finalizzati a prevenire l'insorgere di controversie e a semplificarne le modalità di definizione, "ma occorre verificare attentamente - aggiunge - che le relative disposizioni siano pienamente coerenti con i principi della volontarietà dell'arbitrato e della necessità di assicurare una adeguata tutela del contraente debole". C'è poco da verificar perché nella legge in questione, di fatto, non c'è né la volontarietà né la tutela della parte debole, cioè del lavoratore rispetto al datore di lavoro. Sulla base di numerose pronunce della Corte Costituzionale in materia, desta "perplessità la previsione... secondo cui la decisione di devolvere ad arbitri la definizione di eventuali controversie (compresa quella di licenziamento senza 'giusta causa', ndr) può essere assunta non solo in costanza di rapporto di lavoro... ma anche nel momento della stipulazione del contratto" che è il "momento nel quale massima è la condizione di debolezza della parte che offre la prestazione di lavoro". Perplessità sono espresse anche sulla clausola compromissoria (comma 5 art. 31) che può ricomprendere la "richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento". Ma poiché nell'arbitrato di equità la controversia può essere risolta in deroga alle disposizioni di legge "si incide in tal modo sulla disciplina sostanziale del rapporto di lavoro rendendola estremamente flessibile anche a livello del rapporto individuale". Non convince nemmeno "la estensione della possibilità di ricorrere a tale tipo di arbitrato anche in materia di pubblico impiego". Insomma, "l'arbitrato può svolgere un ruolo apprezzabile ed utile - è scritto - solo a patto di muoversi all'interno di uno spazio significativamente circoscritto in limiti certi e condivisi".
Detto questo, Napolitano giudica però come corrette e condivisibili le "sollecitazioni da tempo provenienti dal mondo dell'imprenditoria" per "una incisiva modifica della disciplina sostanziale del rapporto di lavoro che si è finora prevalentemente basata su normative inderogabili o comunque disponibili esclusivamente in sede di contrattazione collettiva". Per cui è lecito, conclude, perseguire una modifica della normativa e un ampliamento del ricorso dell'arbitrato e della conciliazione equitativa delle controversie purché siano definiti dal parlamento in modo più puntuale modalità tempi e limiti e "un'adeguata tutela dei diritti rilevanti del lavoratore". Si tratta di "adeguamenti normativi - è detto con una certa dose di ambiguità - che vanno al di là della questione, pur rilevante, delle garanzie apprestate nei confronti del licenziamento dall'art.18 dello statuto dei lavoratori". In questo ambito è consigliata la concertazione tra le "parti sociali" per individuare "spazi di regolamentazione integrativa o in deroga per negoziazioni individuali adeguatamente assistite".
Nella parte conclusiva, la nota del Quirinale invita a rivedere non solo l'art. 31 ma anche gli art. 30, 32 e 50 che riguardano gli stessi giudizi e che si prestano a seri dubbi interpretativi e a potenziali contenziosi.
Infine, rilievi sono stati espressi sull'art. 20 che esclude dalle norme del 1955 sulla sicurezza del lavoro il personale a bordo dei navigli di Stato. In esso vi è contenuta una norma che, tra l'altro, bloccherebbe l'inchiesta della procura di Torino su 142 uomini della marina militare morti per esposizione all'amianto e un processo a Padova per la morte, per lo stesso motivo, di altri due militari.
Le reazioni. Per parte sindacale, Epifani della Cgil ha espresso soddisfazione e apprezzamento per la decisione del Quirinale. Mentre Bonanni della Cisl e Angeletti della Uil hanno detto che la decisione di Napolitano non significa una bocciatura dell'arbitrato e rappresenta anzi un sostegno a quell'avviso comune sottoscritto con governo e Confindustria, senza la Cgil, l'11 marzo per stipulare accordi interconfederali per l'applicazione dell'arbitrato e della conciliazione delle controversie del lavoro, senza ricorrere al giudice.
Per il governo è intervenuto il ministro del welfare, Maurizio Sacconi, che facendo buon visto a cattivo gioco ha detto che, saranno tenuti di conto i rilievi mossi da Napolitano; ma ha anche aggiunto che verrà riproposto l'istituto dell'arbitrato "che lo stesso presidente della Repubblica ha apprezzato".
Per il momento la controriforma del diritto del lavoro ha subito una battuta d'arresto. Questo è innegabile. Ma occorre tener alta la vigilanza. Si può star certi che il governo nel prossimo futuro ci riproverà, sapendo di poter contare sulla complicità di Cisl, Uil e Ugl e di poter recuperare, con qualche concessione, il consenso della stessa Cgil. Per non dire dell'opposizione parlamentare che anche nella circostanza ha dimostrato di essere inesistente.

7 aprile 2010