"Partorita" nell'assemblea nazionale de "la Cgil che vogliamo"
Nasce l'area di sinistra della Cgil
Punti condivisibili e non del documento finale. "Rete 28 aprile" si scioglie per confluire nella nuova area programmatica. Ne fanno parte anche i marxisti-leninisti sulla base della linea sindacale del PMLI

Già annunciata con una dichiarazione di Mimmo Moccia nel direttivo nazionale della Cgil del 28 maggio scorso, è nata ufficialmente nell'Assemblea nazionale tenutasi il 6 luglio all'Hotel Parco dei Principi a Roma, l'Area programmatica "La Cgil che vogliamo", cui hanno partecipato 450 delegati, era presente anche la compagna Antonella Casalini. Al direttivo Moccia tra l'altro disse: "intendiamo qui confermare la volontà delle compagne e dei compagni che si sono riconosciuti nella mozione 'La Cgil che vogliamo' di proseguire nell'esperienza avviata in occasione del 16° congresso. Le motivazioni che hanno dato vita alla mozione mantengono intatti valore e attualità che, anzi, si sono rafforzati dall'ulteriore degrado della situazione generale politica, sociale e sindacale intervenuto dopo il congresso stesso. Nulla è cambiato, se non in peggio, nelle condizioni del paese".

I motivi della nascita
Per la verità non era affatto scontato che lo schieramento riunitosi attorno al documento congressuale "La Cgil che vogliamo" presentatosi in alternativa a quello della destra Cgil di Epifani, si sarebbe organizzato in area programmatica. Anzi erano in molti, tra i loro leader, a negarlo. Ma alla fine queste remore sono cadute per tutta una serie di ragioni, tra le quali: lo svolgimento del congresso che ha negato un confronto vero e a pari condizioni tra le due diverse proposte congressuali e dove si sono verificate numerose scorrettezze da parte degli esponenti della mozione Epifani; le conclusioni del congresso che hanno bocciato tutti gli emendamenti presentati dalla mozione di minoranza e dove sono state messe in atto dalla maggioranza varie prepotenze nella formazione del nuovo direttivo nazionale; l'approvazione di una modifica statutaria finalizzata a introdurre un rigido centralismo da parte del vertice confederale e a restringere e punire il dissenso delle categorie verso decisioni confederali. A ciò va aggiunta la posizione recente della segreteria Epifani-Camusso sulla vertenza della Fiat di Pomigliano che avrebbe voluto la capitolazione della Fiom di fronte all'odioso e inaccettabile diktat di Marchionne.
Tornando all'Assemblea, alla presidenza c'erano Moccia, Podda, Maulucci, Rinaldini e Scarpa. In sala c'era Giorgio Cremaschi, tra i più attivi nella formazione di questa nuova area nella Cgil. I lavori sono stati introdotti da Mimmo Moccia che ha ripercorso l'esperienza congressuale e le motivazioni che hanno portato alla nascita de "La Cgil che vogliamo" per rappresentare i 320 mila lavoratrici e lavoratori che hanno votato il documento congressuale alternativo, per proseguire la battaglia politica nella Cgil. Ha fatto seguito un vivace dibattito, sia pure in un tempo troppo ristretto, 18 interventi in tutto. Temi trattati: incapacità della Cgil di rispondere all'attacco concentrico di governo e Confindustria; vergognosa dichiarazione di Epifani sul referendum che si doveva svolgere alla Fiat di Pomigliano sul piano Marchionne; esigenza di costruire una piattaforma e un percorso assieme e con il consenso dei lavoratori, impedire che la Cgil scivoli sulle posizioni cogestionarie neocorporative della Cisl. In più d'uno hanno detto che la Cgil deve recuperare un carattere di classe e praticare una democrazia non piramidale ma orizzontale, una democrazia che parta dai delegati di luogo di lavoro.

Luci e ombre del documento
Valide le motivazioni che sono alla base della continuazione della battaglia congressuale, giusta la decisione di formalizzare l'area della sinistra della Cgil con un'assemblea nazionale. Tuttavia, il documento finale, costitutivo dell'area programmatica, approvato al termine dei lavori, suscita più di una perplessità, non ci sembra all'altezza; anche se, in un punto, si accenna a un documento programmatico da varare successivamente, "dopo ampia consultazione di delegati e iscritti a tutti i livelli dell'organizzazione" per aggiornare la mozione congressuale. Soprattutto la prima parte, quella più politica, non convince, risulta inadeguata e per tanti versi non condivisibile. In particolare l'analisi della crisi: troppo poco limitare la critica al "modello economico neoliberista" quando ormai è evidente che si tratta di una crisi strutturale di sistema capitalistico, aggravata dall'avvento della globalizzazione dei mercati e dalla competizione imperialista. Sballata ed errata è anche tutta la parte che tratta di Europa che sconterebbe "una pesantissima arretratezza sul piano politico, economico e sociale" e auspica "la costruzione di un'Europa politica, dotata di poteri e strumenti in grado di realizzare grandi progetti di innovazione e infrastrutturali, di ricerca, di servizi avanzati". E qui può benissimo scattare un applauso anche da Confindustria. Ma il punto più carente lo ravvisiamo nell'analisi e nella denuncia della situazione del nostro Paese, in specie delle politiche e degli obiettivi del governo del neoduce Berlusconi sul piano economico, sociale e sindacale, ma anche su quello politico, istituzionale e costituzionale. Il nuovo Mussolini sta facendo tabula rasa dei diritti dei lavoratori e delle libertà democratico-borghesi, come la legge bavaglio dimostra, vuole rimettere la camicia nera agli italiani, gliela sta già mettendo, nell'ambito del progetto della terza repubblica capitalista, neofascista, presidenzialista, federalista, interventista, razzista e xenofoba, ma di questo nel suddetto documento c'è poco. Parlare di "sistema plebiscitario e populista" non è sufficiente, non chiarisce bene quello che sta avvenendo e, di conseguenza, non sollecita una risposta adeguata per ampiezza e forza.
Più forte e condivisibile invece tutta la parte più specificatamente sindacale, relativa "alle grandi priorità di questa fase" e ai quattro punti programmatici che, in sintesi, indicano la necessità di: riconquistare un nuovo sistema di regole contrattuali con la "riconferma del contratto nazionale come strumento universale di difesa ed espansione dei diritti del lavoro e di rafforzamento del potere d'acquisto"; individuare le priorità alla lotta alla precarietà per ridare "centralità al contratto di lavoro a tempo indeterminato, senza distinzione di tipologia e dimensione aziendale nell'esercizio di tutti i diritti previsti dallo Statuto dei lavoratori, a partire dall'art.18". In questo ambito contrastare, anche con lo sciopero generale "il collegato lavoro e le ipotesi sullo Statuto dei Lavori"; definire, come precondizione per i rapporti con le altre organizzazioni sindacali, "modalità certe e pienamente democratiche nella misurazione della rappresentatività e nella validazione di piattaforme e accordi tramite il voto referendario dei lavoratori"; infine rivitalizzare "la democrazia interna agli organismi, che risulta troppo spesso ingessata da conformismi e opportunismi schieramenti pregiudiziali, etichettature". Invece, "alcune modifiche statutarie introdotte al Congresso" portano a "una progressiva restrizione degli spazi del pluralismo e della partecipazione".

I principi organizzativi
Il documento costitutivo si conclude con 7 punti che delineano le caratteristiche organizzative dell'Area. Le quali, in sostanza stabiliscono: l'organizzazione interna "dovrà essere assolutamente democratica", ciò si sostanzia "nell'attribuire la titolarità di orientamento e scelte ai delegati che si riconoscono nell'Area". A questo fine sono previste due assemblee nazionali all'anno "precedute da assemblee dei delegati ai vari livelli". L'adesione all'Area "avviene con la sottoscrizione individuale del documento costitutivo". Le decisioni saranno prese con largo consenso e "senza alcuna forma di disciplina". "La decisione assunta - è specificato - non vincola comportamenti individuali". Le attività dell'Area "sono aperte alla partecipazione e ai contributi di tutti i militanti e i dirigenti interessati".
Il giorno precedente l'Assemblea nazionale si era riunita "Rete 28 aprile" per decidere il suo scioglimento e confluenza nella nuova Area programmatica; decisione approvata con 85 favorevoli, 4 contrari e 17 astenuti. Non senza preoccupazioni, espresse da molti, "disperdere in un'area più vasta ma anche più eterogenea il patrimonio di elaborazione di iniziative della Rete".
Le operaie e gli operai, le lavoratrici e i lavoratori e le pensionate e i pensionati militanti e simpatizzanti del PMLI che fin qui hanno operato con la "Rete 28 aprile" e nella battaglia congressuale hanno appoggiato il documento alternativo "La Cgil che vogliamo", proseguendo questo cammino, devono aderire formalmente alla nuova Area di sinistra della Cgil, anche se non ci riconosciamo interamente nel documento costitutivo, anche se gli attuali leader dell'Area non ci rappresentano. È un'adesione organizzativa di tipo tattico che deve essere presa sulla base della linea sindacale del PMLI, aggiornata nel 5° Congresso nazionale con al centro la proposta strategica del sindacato delle lavoratrici, dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati fondato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale contrattuale alle rispettive assemblee generali. Una adesione attiva e partecipativa, con leale spirito di fronte unito, all'interno del quale portare il nostro specifico contributo di analisi, di denunce e di proposte.

21 luglio 2010