Solo il 5,5% dei neolaureati entra in azienda con un contratto a tempo indeterminato
Occorre scendere in piazza per bloccare la macelleria sociale di cui è responsabile il governo Berlusconi

di Federico Picerni*

Le vittime della crisi capitalista si allargano a macchia d'olio. Un'indagine condotta da Gidp/Hrda (Associazione direttori risorse umane) dedicata all'analisi dell'entrata nel mondo del lavoro dei neolaureati, testimonia in modo inequivocabile che conseguire una laurea non è garanzia di assunzione immediata, né tanto meno di assunzione certa e duratura. E infatti il primo dato che balza all'occhio è una caduta spaventosa della percentuale di neolaureati assunti a tempo indeterminato: se nel 2004 erano il 20%, un numero già di per sé molto ridotto, nel 2009 erano solo il 7%, mentre per il 2010 si rileva un'ulteriore caduta addirittura al di sotto del 6%. Siamo, insomma, ai minimi storici.
Secondo l'indagine, solo il 5,5% delle imprese assume a tempo indeterminato; il 20% stipula contratti a tempo determinato, mentre il 40% preferisce la forma dello stage, ovvero quella forma di tirocinio che assicura al padrone una certa quantità di forza-lavoro a prezzi estremamente ridotti, in quanto la retribuzione media degli stagisti si aggira fra cifre inferiori ai 1000 euro al mese (ad essere pagati meno di tutti, naturalmente, i metalmeccanici).
Un dato che non deve passare inosservato, perché è l'ulteriore dimostrazione di chi è premiato dall'università "meritocratica" e classista della terza repubblica, è il fatto che le imprese tendono ad assumere i neolaureati non tanto sulla base del voto conseguito o sull'argomento della tesi, quanto piuttosto sui tempi che hanno impiegato per concludere gli studi, favorendo naturalmente chi ce l'ha fatta nei tempi prestabiliti. Vengono tendenzialmente avvantaggiati, in altre parole, gli studenti che hanno alle spalle famiglie con condizioni economiche che permettono loro di sostenere le esose tasse universitarie, mentre coloro che provengono da famiglie meno abbienti e che sono quindi costretti a lavorare, impiegando magari più tempo per concludere l'università in quanto devono integrare studio e lavoro, hanno meno possibilità di essere assunti. Anche perché, rileva l'indagine, i padroni guardano più a eventuali esperienze all'estero rispetto a chi ha già esperienze lavorative alle spalle. Ecco a voi la meritocrazia del denaro.
Manco a dirlo, a essere maggiormente selezionati sono quei neolaureati che escono da facoltà con materie funzionali al sistema capitalista, nella fattispecie economia e ingegneria (se la cavano anche giurisprudenza e informatica, mentre in generale chi esce dalle altre facoltà non ha vita facile), e chi conosce le "lingue del mercato", ossia inglese, francese, tedesco, russo e cinese.
Secondo l'indagine, inoltre, sono prerequisiti essenziali per l'assunzione essere disposti alla mobilità, la "motivazione" e "l'entusiasmo", in altre parole la disponibilità a conformarsi alle direttive dall'alto o, tanto più viste quali sono le facoltà privilegiate, ad essere obbedienti quadri del sistema economico capitalistico.
Lo scorso ottobre, in un convegno della Banca popolare di Milano, il ministro stangatore Giulio Tremonti spendeva tante belle parole per affermare che "la mobilità fu imposta dalla globalizzazione, ma da noi non va bene", che "il posto fisso è la base su cui costruire una famiglia", e in cambio riceveva plausi "bipartisan" tanto dai sindacati collaborazionisti di regime, CISL e UIL, quanto da La Repubblica di Ezio Mauro. Ma questi dati dimostrano qual è la realtà, neanche troppo velata dietro le apparenze: la mobilità è legge, il posto fisso è un sogno per le lavoratrici e i lavoratori italiani. Questa, al di là delle farneticazioni di Tremonti, è la vera politica del governo Berlusconi, che, quando non ciancia che la crisi è finita da tempo, continua a favorire imperterrito i padroni senza aiutare i lavoratori (o gli aspiranti tali, come in questo caso) in difficoltà.
L'indagine della Gidp sulle dure condizioni, fra gli altri, dei neolaureati, conferma ancora una volta la nostra convinzione che occorrano quanto prima provvedimenti d'emergenza per favorire le assunzioni dei giovani.
Occorre però, in primo luogo, abolire gli stage, che altro non sono che sfruttamento legalizzato pressoché gratuito, e lottare affinché i giovani alla ricerca di un lavoro ottengano immediatamente contratti a tempo indeterminato, senza passare per tirocini e apprendistati vari. Ciò però è possibile non sperando in un qualche intervento del governo, come ancora è costume del "centro-sinistra" di Bersani, ma scendendo in piazza per rivendicare un lavoro stabile, a salario intero, a tempo pieno e sindacalmente tutelato per tutti e per lottare contro il governo del neoduce Berlusconi, responsabile della macelleria sociale che investe i lavoratori e, soprattutto, condanna alla precarietà quando non alla disoccupazione i giovani alla ricerca dell'impiego.

* Responsabile per il lavoro giovanile del CC del PMLI

28 luglio 2010