Trotzkisti e fascisti si danno di nuovo la mano
"LIBERAZIONE'' E "IL SECOLO D'ITALIA'' ESALTANO IL FILOSOFO DI HITLER, NIETZSCHE
Ci risiamo. Evidentemente non si trattava di un momentaneo smarrimento della ragione dovuto al caldo ferragostano, ma di una delle più paradossali conseguenze dell'irreversibile deriva di destra del vertice neorevisionista e trotzkista del PRC.
Parliamo dell'esaltazione del filosofo ispiratore del nazismo, Friedrich Nietzsche, che "Liberazione'' fece in occasione del centenario della sua morte avvenuta a Weimar il 25 agosto 1900, dedicandogli un'intera pagina dell'edizione del 24 agosto 2000 che anticipava di un giorno gli stessi quotidiani borghesi e perfino l'organo dei fascisti di AN il "Secolo d'Italia'' (cfr. "Il Bolscevico'' n. 32/2000). A distanza di due anni il quotidiano trotzkista si ripete, in occasione della recente pubblicazione di una biografia di Nietzsche scritta dal giornalista Massimo Fini, un ex craxiano di ferro, già noto come autore di feroci editoriali anticomunisti sull'organo del PSI l'"Avanti!'' e gravitante attualmente nel campo della destra neofascista, di cui come altri intellettuali tipo Marcello Veneziani, Giuliano Ferrara, Ernesto Galli Della Loggia, Angelo Panebianco ecc., ambisce a rappresentare una sorta di "coscienza critica''. Sta di fatto che anche stavolta "Liberazione'', nell'edizione del 30 maggio scorso, dedica un'intera pagina all'esaltazione del pensiero del filosofo tedesco, attraverso l'entusiastica recensione del libro di Fini fatta dalla trotzkista luxemburghiana Rina Gagliardi. E anche stavolta, guarda caso, in contemporanea con il quotidiano fascista "Secolo d'Italia'', che dedica anch'esso un'intera pagina al libro di Fini attraverso un'intervista all'autore.
Il quesito di fondo che la Gagliardi pone alla base del suo intervento, mutuato a suo stesso dire dall'esaltante lettura della biografia nietzschiana di Fini, è quantomeno stupefacente, ed è il seguente, così come è formulato nel sottotitolo dell'articolo: "Si può considerare il pensatore tedesco come un critico implacabile delle grandi costruzioni della cultura cristiana e liberale e di quell'ottimismo `assoluto' che tanto informa di sé il capitalismo. Un profilo che ne può fare uno dei padri del movimento no global''? Ovviamente la sua risposta al paradosso provocatoriamente avanzato dall'intellettuale neofascista è sì. E' la stessa tesi, cambiati i tempi e il soggetto politico - il movimento no-global che allora non era ancora pienamente salito alla ribalta - che Anubi D'Avossa Lussurgiu sosteneva su "Liberazione'' due anni fa, quando affermava che "grande è il peso dell'uso nazional-socialista delle `provocazioni' filosofiche nietzschiane; ma grande è stato il loro influsso sulle fondazioni intellettuali dell'ultimo `assalto al cielo' rivoluzionario, quello partito dal '68''.

UNO STRANO CONNUBIO
Questa singolare convergenza di giudizi su Nietzsche tra i trotzkisti e i neofascisti deve far riflettere. Da dove viene il trasversalismo che fa dire all'intellettuale della destra Massimo Fini che "Nietzsche è oltre la destra e oltre la sinistra'', in perfetto unisono col filosofo di "sinistra'', il trotzkista Cacciari, che due anni fa affermava testualmente: "Se destra e sinistra sono già categorie poco efficaci per capire, che so, il governo Amato, figuriamoci per capire Nietzsche''?
Stando ai trotzkisti lo sfruttamento che il nazismo fece delle idee del filosofo tedesco sarebbe stato improprio e arbitrario, mentre invece egli, sostengono con Fini, fu piuttosto un pensatore che avrebbe precorso i tempi preconizzando la "crisi dell'Occidente'' capitalistico fondato sui valori liberali e la morale cristiana. Da qui l'assurdo tentativo di strapparlo all'esclusivo uso e consumo della destra per rivalutarlo e attualizzarlo a pensatore "universale'', capace di parlare e insegnare anche alla sinistra, e ai giovani di sinistra in particolare. Ma può avere un senso, ed è credibile un'operazione del genere?
E' vero che il pensiero di Nietzsche rifletteva il disfacimento del sistema di valori della borghesia della seconda metà dell'800, sotto la spinta delle contraddizioni di classe e dello sviluppo tumultuoso del capitalismo che mettevano a nudo l'ipocrisia della morale cristiana e liberale. Ma al contrario di Marx ed Engels egli ne predicava l'uscita attraverso l'accentuazione e l'esaltazione proprio di quei caratteri che stanno alla base della società classista: l'individualismo, il dominio di una aristocrazia di uomini "eletti'' sulla maggioranza considerata alla stregua di schiavi senza anima né valore, senza alcun diritto alla felicità e al benessere, la spietatezza, la sopraffazione, la guerra e la conquista fine a sé stesse, come metodo di selezione naturale di una razza superiore (il "superuomo''), spingendo tali "valori'' fino alle più estreme e folli conseguenze, al di là di ogni concetto di bene e di male, pur di farli trionfare.
Per lui la storia è fatta dai grandi condottieri. Le masse devono vivere solo per permettere a costoro di eccellere su tutti. E di conseguenza la civiltà occidentale avrebbe potuto uscire dalla crisi solo attraverso un nuovo Napoleone, personaggio di cui Nietzsche era un grande ammiratore: "La rivoluzione rese possibile Napoleone: questa è la sua giustificazione. Noi dovremmo desiderare il crollo nell'anarchia di tutta la nostra civiltà, se il risultato fosse una simile ricompensa'', scriveva il filosofo tedesco.
Egli si pone agli antipodi dei filosofi illuministi alla Rousseau e delle loro idee egualitarie: "Tutto ciò che blandisce, che allevia e che porta avanti il `popolo' o la `donna', opera in favore del suffragio universale, cioè a dire del dominio dell'uomo `inferiore''', scriveva sprezzantemente Nietzsche. In quest'ottica anche il cristianesimo viene fustigato dal filosofo tedesco, pur essendo egli stato educato a una ferrea morale cristiana dal padre pastore protestante (e forse proprio in reazione a ciò), in quanto per Nietzsche il cristianesimo rappresenta una "morale da schiavi''.
Anche la sua misoginia rientra in questa concezione razzista: la donna è l'essere inferiore per eccellenza, debole e stupido, buono al massimo per partorire soldati e servire da trastullo sessuale (divertimento, riposo) del guerriero. In ogni caso un essere da tenere severamente soggiogato: "Vai da una donna? Non dimenticare la tua frusta'', era il suo motto. La guerra invece è per lui la massima espressione di nobiltà e civiltà umana, perché è attraverso di essa che si forgia il "superuomo''. Questo è per lui l'obiettivo da perseguire disprezzando ogni remora morale: "L'obiettivo - scrive infatti Nietzsche - è di pervenire a quella enorme energia di grandezza che può modellare l'uomo del futuro per mezzo della disciplina ed anche per mezzo dell'annientamento di milioni di bruti e informi, e che può tuttavia evitare di andare in rovina alla vista delle sofferenze così provocate, il cui eguale non è mai stato visto prima''.

ISPIRATORE DEL NAZISMO
Come si vede non c'è da stupirsi se pochi decenni dopo il nazismo attingerà a piene mani dal suo pensiero e ne farà una rilevante parte della sua folle, razzista e criminale ideologia. Anche se c'è da dire che Nietzsche non fu il solo filosofo tedesco che ispirò il nazismo. Egli fa parte infatti di un più largo gruppo di filosofi e artisti, come Fichte, lo stesso Hegel per molti aspetti, Wagner, Treitschke e altri, che come lui esaltavano la superiorità della "razza'' tedesca, destinata dalla storia a primeggiare sugli altri popoli, e magnificavano le "virtù'' della guerra come "rigeneratrice'' delle nazioni. Ad ogni modo Hitler lo ammirava, insieme a Wagner, al di sopra di tutti, e amava riempire i suoi discorsi e i suoi scritti di citazioni del filosofo, visitò spesso il museo a lui dedicato a Weimar e si fece ritrarre accanto al suo busto. Anche il primo Mussolini ne subì l'influenza e il fascino, cosiccome in generale tutto il fascismo internazionale si è sempre ispirato e si ispira tuttora a lui, nel razzismo, nel nazionalismo guerrafondaio, nel culto della violenza, negli atteggiamenti superomistici ecc.
Dunque, che c'entra Nietzsche con l'ideologia, la storia, la cultura e le tradizioni del movimento operaio e della sinistra? Non ci potrebbe essere pensiero più agli antipodi dell'ideologia del proletariato. Egli appartiene di natura, storicamente e di fatto alla destra della borghesia, ed è bene che rimanga tale. Il fatto che i falsi comunisti e trotzkisti alla Bertinotti, Gagliardi e Cacciari cerchino di contrabbandarlo nella sinistra è solo la dimostrazione del loro marcio eclettismo e opportunismo e trasversalismo senza scrupoli, della loro inguaribile natura borghese e della loro irreversibile deriva di destra, inquantoché hanno talmente preso ormai le distanze dal socialismo e accettato il sistema capitalistico dall'accettare anche i suoi referenti ideologici.
Essi si comportano come i riformisti socialdemocratici alla Turati e Nenni e gli opportunisti alla Bordiga e Gramsci, che negli anni '20 sottovalutavano il fascismo considerandolo quasi una deviazione sottoproletaria del movimento operaio, invece di denunciarlo come un'arma al servizio della borghesia reazionaria per schiacciare il movimento operaio stesso. Così oggi i loro eredi neorevisionisti e trotzkisti finiscono per flirtare con i fascisti invece di denunciare il regime neofascista di tipo mussoliniano instaurato dal neoduce Berlusconi e incitare il proletariato e le masse popolari ad abbatterlo.

19 giugno 2002