Contro lo scempio ambientale del treno ad alta velocità Torino-Lione
I"No Tav" difendono attivamente il territorio della Valsusa
Le "forze dell'ordine" di Letta, Berlusconi e Alfano aggrediscono con inaudita violenza la marcia notturna. 7 arrestati e 63 feriti. Una ragazza pestata a sangue e toccata nelle parti intime. "La Repubblica" megafono del governo e del PD contro i "No TAv"
Liberare subito gli arrestati e prosciogliere gli indagati

"Perché nella nostra Valle gli scarponi contro il Tav non si mettono mai via, ma sono sempre pronti a portarci in marcia nel sentiero della nostra lotta per fermare il Tav", è la determinata dichiarazione con cui gli organizzatori hanno invitato la popolazione a partecipare alla marcia notturna di venerdì 19 luglio per difendere attivamente il territorio della Valsusa violentato dall'imposizione di una mostruosa opera che le masse popolari non vogliono "né per sé, né per altri".

L'estate di lotta popolare
Nonostante la morsa d'acciaio della militarizzazione, nonostante l'identificazione nei giorni del 18 e 19 luglio di 175 manifestanti ai posti di blocco che rendono impossibile la vita della gente della valle, centinaia di giovani erano arrivati e continuano ad arrivare in questi giorni nella valle per partecipare alla lunga estate di lotta popolare che il movimento ha saputo organizzare all'interno del campeggio "No Tav", dal 12 al 31 luglio, lanciando una serie di iniziative, dibattiti e assemblee, momenti di socializzazione, tornei sportivi, scambi di esperienze tra le diverse lotte sociali e per la difesa del territorio che si stanno attualmente svolgendo in Italia e in Europa. Citiamo, ad esempio, gli incontri con il "movimento per il diritto all'abitare", con alcuni esponenti della lotta in Grecia contro le miniere d'oro in Calcidica e con altri della lotta in Francia contro l'aeroporto di Notre Dame des Landes.
Tra queste iniziative anche la marcia notturna del 19 luglio. Essa inizia verso le nove di sera. Ritrovatisi al campo sportivo di Giaglione (Torino), uno dei centri della resistenza al devastante progetto, centinaia di "No Tav" si sono incamminati per i sentieri che conducono alla baita Clarea. Accanto alle giovani e ai giovani, che generosamente da tutta Italia e da anni partecipano alla lotta con solidarietà e per difendere il futuro della valle e delle masse popolari che vi abitano, c'erano i residenti, donne e uomini di tutte le età che rivendicano la libertà di lottare fino in fondo e con ogni mezzo condiviso per la liberazione dall'assedio militare e dal cantiere. Uno degli obbiettivi della marcia era quello di affermare il diritto ad attraversare liberamente l'intollerabile "zona rossa" attorno al cantiere che a metà maggio, con un'ordinanza prefettizia chiesta e imposta dal ministro dell'interno Alfano durante una riunione in Prefettura a Torino, con l'obbiettivo di impedire ai manifestanti di radunarsi in uno spiazzo troppo vicino al cantiere, è stata allargata fino al torrente Clarea, una cinquantina di metri in più rispetto alla porzione precedentemente interdetta d'imperio alla popolazione.
La combattiva marcia procede tra bandiere "No Tav" e cori contro il treno ad alta velocità. "Giù le mani dalla Valsusa" urlano i manifestanti a più riprese. Verso mezzanotte, l'avanguardia del corteo è già a destinazione. Non potendo arrivare alla zona recintata del cantiere, davanti al quale per la prima volta è schierato un imponente dispositivo militare in assetto antisommossa, la testa del corteo si ferma tra i boschi. La retroguardia in buona parte non ha ancora oltrepassato il piccolo ponte sul torrente Clarea che conduce al cantiere.

La repressione poliziesca
All'improvviso, senz'altro motivo che quello di massacrare il corteo, parte un'operazione militare di una violenza inaudita premeditata e preparata a tavolino. I manifestanti vengono imbottigliati. Mentre un plotone di "forze dell'ordine" è già sul ponticino a chiudere la ritirata all'avanguardia del corteo, spezzando quest'ultimo in due tronconi, su tutti i manifestanti inizia a cadere una gragnuola di lacrimogeni con il micidiale gas CS. I candelotti cadono ininterrottamente sulla retroguardia del corteo che tenta di defluire e su coloro che sono intrappolati davanti tra i boschi. Alcuni lacrimogeni vengono sparati ad altezza d'uomo, altri colpiscono gli alberi e rimbalzano simili a pericolosissimi proiettili impazziti.
L'aria si fa irrespirabile e chi tra i giovani ha avuto l'accortezza di portarsi le maschere antigas le indossa e va avanti per sostenere la battaglia. Come sottolineerà, nella conferenza stampa del 20 luglio, Nicoletta Dosio, storica portavoce dei "No Tav", i giovani hanno ingaggiato la battaglia per tenere impegnate le "forze dell'ordine", difendere la retroguardia del corteo e consentirle di allontanarsi: "Loro insieme ad altri - dichiara la Dosio - che sono stati feriti hanno permesso a noi anziani di poter defluire, di poter evitare le botte che loro hanno preso. Per questo motivo noi li definiamo con un termine che non vorremmo dover usare: eroi".
Durante la guerriglia che prosegue per un'ora e mezza le "forze dell'ordine" iniziano una violentissima caccia all'uomo, inseguendo nella notte i manifestanti tra i boschi e sullo scosceso pendio che porta a Giaglione, rischiando di fare precipitare qualcuno dei giovani e di provocare qualche gravissimo incidente. Il risultato di questo attacco militare dello Stato contro la popolazione è di centinaia di feriti, denunciano in conferenza stampa i "No Tav", alcuni dei quali non si faranno medicare per non essere identificati, e 9 fermati, di cui 7 arrestati.
Durante la conferenza stampa, Marta Camposana, un'attivista "No Tav" di Pisa, tra i 2 rilasciati dopo il fermo, denuncia: "Durante il tratto da dove mi hanno fermata al cantiere sono stati dieci minuti di follia, pura follia, perché mi stavano già trasportando ed è passato un celerino che ha deciso di tirarmi una manganellata e spaccarmi la bocca. Passavano e mi toccavano. Mi hanno toccato nelle parti intime, mi hanno toccato il seno. Mi hanno insultata: 'Sei una puttana'. Mi hanno sputato". Mentre ciò succedeva, dentro il cantiere-fortino venivano portati i giovani catturati per poi essere trasferiti con i cellulari alla questura a Torino, dove venivano trattenuti e identificati e solo in seguito alcuni trasferiti al pronto soccorso, in taluni casi dopo 4 ore dal pestaggio.
I feriti che sono riusciti a tornare a Giaglione sono stati soccorsi dalla popolazione.
Il 22 luglio si è svolta l'udienza di convalida dell'arresto per i sette giovani che si trovavano nel carcere delle Vallette a Torino. Solo durante l'udienza gli avvocati hanno potuto vedere per la prima volta i propri assistiti e alcuni siti riportano le loro denunce che parlano di violenze subite dai "No Tav" anche durante il fermo. Tutti i giovani riportano grosse ferite alla testa, costole fratturate e nasi rotti. Peraltro ad uno di loro, Ennio Donato, sarebbero state ripetutamente rifiutate le necessarie cure.
Il PMLI chiede l'immediata liberazione degli arrestati, dei quali in questo momento sei sono agli arresti domiciliari e uno sottoposto all'obbligo di firma, e il proscioglimento di tutti gli indagati.

La strategia del governo Letta-Berlusconi e delle istituzioni borghesi
La strategia contro la popolazione della Valsusa ha mostrato un salto di qualità nella notte del 19 luglio, ma essa è stata scientificamente preparata a livello politico con il concorso unanime di tutte le istituzioni borghesi dal governo Letta-Berlusconi, al governatore del Piemonte, Roberto Cota (Lega Nord), al neopodestà di Torino, Piero Fassino (PD), ai pubblici ministeri Andrea Padalino e Antonio Rinaudo che da dicembre seguono le inchieste penali legate al cantiere Tav, al prefetto di Torino Alberto Di Pace, al questore di Torino, Antonino Cufalo, al capo della Digos di Torino, Giuseppe Petronzi.
La svolta politica che indirizza l'intervento verso l'aggressione militare aperta ai "No Tav" ha le teste pensanti nel governo Letta-Berlusconi. È stato il ministro di polizia Alfano che immediatamente dopo il suo insediamento ha convocato il 7 maggio al Viminale una riunione del Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza pubblica alla presenza del presidente del Consiglio Letta per trattare, tra l'altro, il tema Valsusa. A questa riunione è immediatamente seguita il 14 maggio a Torino, sempre alla presenza di Alfano, l'organizzazione pratica di una prova generale di guerra aperta alla Valsusa, elaborata durante una riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Torino, dove le istituzioni nazionali, regionali e locali, decidevano l'"ampliamento dell'area di rispetto", l'"accelerazione della ratifica del trattato Italia-Francia", l'istituzione di una "task force governo-enti locali presso il ministero delle Infrastrutture e Trasporti", che col pretesto di "facilitare il dialogo con le comunità locali e le altre componenti del territorio", aveva in realtà lo scopo di commissariare di fatto le amministrazioni locali e facilitare l'imposizione della volontà del governo alla popolazione locala, l'incremento quantitativo di "forze dell'ordine" nella zona.
È su questa linea militare che tutte le istituzioni borghesi sono da un paio di mesi allineate e coperte nel tentativo di spezzare le reni alla rivolta popolare della Valsusa.
È sulla base di questa linea che la procura di Torino ha indicato e tuttora difende l'inquietante presenza la notte del 19 luglio dei pubblici ministeri Padalino e Rinaudo dentro il cantiere "evidentemente - denunciano i "No Tav" - con la volontà e la prospettiva di convalidare arresti che erano stati preparati ad hoc".
Una linea militare che ha come altra faccia della medaglia la manipolazione dell'opinione pubblica attraverso una campagna mediatica denigratoria e aggressiva che definisce ormai giornalmente i "No Tav" "facinorosi", "violenti allo stato puro", "criminali" e nella quale si è arruolato in prima linea il quotidiano del magnate De Benedetti, "La Repubblica", che ormai megafono del governo Letta-Berlusconi e del PD contro i "No Tav", rilancia e ribadisce gli insulti e le minacce ai manifestanti e alle masse popolari della Valsusa, giustifica il "salto dell'azione" della polizia e chiede tra le righe il pugno di ferro contro i "No Tav".
Il PMLI esprime solidarietà militante alle masse popolari della Val Susa e agli attivisti arrestati, tutti vittime di questa escalation della repressione fascista voluta dal governo Letta-Berlusconi. Noi diciamo che dal momento che il governo Berlusconi, prima, Monti, poi, e Letta-Berlusconi, adesso, hanno dichiarato guerra alla popolazione, ignorandone completamente l'inequivocabile opposizione di massa alla Tav non ci si può aspettare altro che una ribellione crescente e senza limiti nell'uso di tutte le forme di lotta per farsi ascoltare e porre fine a questo insopportabile e provocatorio stato di cose.
E deve essere chiaro che il vero motivo dell'escalation repressiva contro i "No Tav" risiede nel fatto che il governo Letta-Berlusconi, ben consapevole di non aver nulla da offrire alle masse, è costretto per rimanere in piedi ad affilare le armi in previsione di rivolte popolari, dando già per scontato che queste cresceranno inevitabilmente in autunno contro la politica di lacrime e sangue e di macelleria sociale imposta dall'Unione europea imperialista e già applicata con cinico accanimento dai governi Monti e Berlusconi che l'hanno preceduto.
Stroncare militarmente i No Tav che stanno diventando un modello e un esempio di determinazione per tutte le lotte in Italia è di vitale importanza per il governo Letta-Berlusconi. Viva allora la lotta popolare della Valsusa, difendiamola e appoggiamone tutte le iniziative, a partire dalla marcia popolare del prossimo 27 luglio!

24 luglio 2013